Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13932 del 20/05/2021

Cassazione civile sez. III, 20/05/2021, (ud. 13/01/2021, dep. 20/05/2021), n.13932

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29435-2019 proposto da:

O.E., elettivamente domiciliato in ROMA, presso lo studio

dell’avvocato VALERIO GALLO, rappresentato e difeso dall’avvocato

LIDIA BIANCO SPERONI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso la sentenza n. 1286/2019 della CORTE D’APPELLO DI BRESCIA,

depositata il 22/08/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/1/2021 dal Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

O.E., cittadino (OMISSIS), ha chiesto alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis);

a sostegno della domanda proposta, il ricorrente ha dedotto di essere fuggito dal proprio paese per il timore di subire violenze di carattere ritorsivo da parte di uno zio per ragioni di carattere ereditario;

la Commissione Territoriale ha rigettato l’istanza;

avverso tale provvedimento O.E. ha proposto, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35 ricorso dinanzi al Tribunale di Brescia, che ne ha disposto il rigetto con ordinanza in data 31/8/2017;

tale ordinanza, appellata dal soccombente, è stata confermata dalla Corte d’appello di Brescia con sentenza in data 22/8/2019;

a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha evidenziato l’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento delle forme di protezione internazionale invocate dal ricorrente, tenuto conto: 1) del giudicato interno formatosi sulla valutazione di inattendibilità del racconto di vita del richiedente; 2) della mancanza, nei territori di provenienza del ricorrente, di condizioni tali da integrare, di per sè, gli estremi di una situazione generalizzata di conflitto armato; 3) della insussistenza di un’effettiva situazione di vulnerabilità suscettibile di giustificare il riconoscimento dei presupposti per la c.d. protezione umanitaria;

il provvedimento della Corte d’appello è stato impugnato per cassazione da O.E. con ricorso fondato su tre motivi;

il Ministero dell’Interno, non costituito in termini mediante controricorso, ha depositato atto di costituzione ai fini dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

col primo motivo, il ricorrente censura il provvedimento impugnato nella parte in cui ha ritenuto inattendibile il proprio racconto, in violazione dei criteri legalmente imposti ai fini del riscontro di credibilità del richiedente la protezione internazionale, nonchè dell’onere di cooperazione istruttoria posto a carico dell’organo giudicante;

il motivo è inammissibile;

osserva al riguardo il Collegio come il ricorrente abbia prospettato il vizio in esame senza cogliere in modo specifico la ratio individuata dal giudice a quo a sostegno della decisione assunta;

sul punto, varrà richiamare il principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale, il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, siccome per denunciare un errore occorre identificarlo (e, quindi, fornirne la rappresentazione), l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito, considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4 (Sez. 3, Sentenza n. 359 del 11/01/2005, Rv. 579564 – 01);

nella specie, avendo la corte territoriale disatteso la domanda dell’ O. sul presupposto del giudicato interno formatosi sulla valutazione di inattendibilità del racconto di vita del richiedente, l’odierna censura della ricorrente, nel riproporre la questione della violazione dei criteri legalmente imposti ai fini del riscontro di credibilità del richiedente la protezione internazionale, nonchè dell’onere di cooperazione istruttoria posto a carico dell’organo giudicante, dimostra di non essersi punto confrontato con la decisione impugnata, con la conseguente inammissibilità della censura per le specifiche ragioni in precedenza indicate;

col secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione, da parte della corte territoriale, del c.d. dovere di cooperazione istruttoria, per avere il giudice a quo trascurato di procedere in modo adeguato ed esaustivo all’analisi delle fonti di informazione richiamate con riguardo alle condizioni di sicurezza del paese di provenienza del ricorrente;

il motivo è infondato;

al riguardo – ferme le considerazioni più sopra riportate, in ordine all’inammissibilità delle censure riferite alla valutazione di inattendibilità delle dichiarazioni rese dal ricorrente – varrà considerare come, nel caso di specie, la corte territoriale abbia correttamente provveduto ad attivare i propri doveri di cooperazione istruttoria attraverso l’estensione della propria cognizione alle informazioni sul paese di origine dell’odierno ricorrente, dando ampiamente conto delle fonti dalle quali ha tratto le proprie conclusioni circa l’insussistenza, nel Paese di provenienza del ricorrente, delle condizioni legittimanti la sua richiesta di protezione, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 riferendosi a fonti di informazioni specifiche e adeguatamente aggiornate, dalle quali ha tratto la conclusione dell’impossibilità di riconoscere, nella regione di provenienza del ricorrente, situazioni di violenza generalizzata nel quadro di conflitti armati interni, a nulla rilevando le alternative fonti segnalate dal ricorrente, trattandosi di informazioni generiche, e in ogni caso inidonee a fornire adeguata contezza degli specifici presupposti oggettivi legittimanti il riconoscimento della protezione sussidiaria in contrasto con i contenuti informativi privilegiati dalle scelte probatorie (legittimamente) operate dal giudice d’appello nell’esercizio dei propri poteri di apprezzamento discrezionale delle fonti istruttorie;

col terzo motivo, il ricorrente censura il provvedimento impugnato nella parte in cui ha rigettato la sua domanda di protezione umanitaria, senza tener conto delle condizioni di criticità sociale e istituzionale del paese di provenienza, nonchè del percorso di integrazione da lui intrapreso nel nostro Paese;

il motivo è fondato;

al riguardo, osserva il Collegio come, secondo l’interpretazione fatta propria dalla giurisprudenza di questa Corte, in tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato (Sez. U, Sentenza n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062 – 02);

peraltro, a fronte del dovere del richiedente di allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, la valutazione delle condizioni socio-politiche del Paese d’origine del richiedente deve avvenire, mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche di cui si dispone pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione, sicchè il giudice del merito non può limitarsi a valutazioni solo generiche ovvero omettere di individuare le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte, potendo incorrere in tale ipotesi, la pronuncia, ove impugnata, nel vizio di motivazione apparente (Sez. 1 -, Ordinanza n. 13897 del 22/05/2019, Rv. 654174 – 01);

nel caso di specie, il giudice a quo, dopo aver dato atto dell’avvenuto inserimento lavorativo del ricorrente nel contesto sociale italiano, si è inammissibilmente limitato ad asserire apoditticamente l’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento della cosiddetta protezione umanitaria, trascurando totalmente di approfondire e circostanziare gli aspetti dell’indispensabile valutazione comparativa tra la situazione personale ed esistenziale attuale del richiedente sul territorio italiano, e la condizione cui lo stesso verrebbe lasciato in caso di rimpatrio, al fine di attestare (anche attraverso l’individuazione delle specifiche fonti informative suscettibili di asseverare le conclusioni assunte in relazione alle condizioni generali del paese di origine, indipendentemente da quanto attestato con riguardo alla domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria) che il ritorno del richiedente nel proprio paese non valga piuttosto a esporlo al rischio di un abbandono a condizioni di vita non rispettose del nucleo minimo dei diritti della persona; e tanto, indipendentemente dalla circostanza che tale rischio possa farsi risalire (o meno) a fattori di natura economica, politica, sociale, culturale, etc.;

ciò posto, il discorso giustificativo in tal guisa elaborato dal giudice a quo deve ritenersi tale – al di là dell’assorbente rilievo riguardante la violazione delle norme che presiedono al riconoscimento della c.d. protezione umanitaria – da non integrare gli estremi di una motivazione adeguata sul piano del c.d. minimo costituzionale;

sulla base delle argomentazioni che precedono, rilevata la fondatezza del terzo motivo (disattesi i primi due), dev’essere disposta la cassazione della sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con il conseguente rinvio alla Corte d’appello di Brescia, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio.

PQM

Accoglie il terzo motivo; dichiara inammissibile il primo e rigetta il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, e rinvia alla Corte d’appello di Brescia, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte di cassazione, il 13 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2021

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