Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13932 del 06/07/2020

Cassazione civile sez. I, 06/07/2020, (ud. 17/12/2019, dep. 06/07/2020), n.13932

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 33580/2018 proposto da:

S.K.B., elettivamente domiciliato in Napoli Via G.

Porzio N. 4, Centro Dir. Is. F12, Int. 23/24 presso lo studio

dell’avvocato Di Rosa Clementina che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, elettivamente domiciliato in Roma Via Dei

Portoghesi 12 Avvocatura Generale Dello Stato. che lo rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di CAMPOBASSO, depositata il

22/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/12/2019 dal Cons. FIDANZIA ANDREA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Campobasso, con decreto depositato in data 22.10.2018, ha rigettato la domanda proposta da K.B.S., cittadino del Bangladesh di etnia rohingya, volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale o, in subordine, della protezione umanitaria.

E’ stato, in primo luogo, ritenuto che difettassero i presupposti per il riconoscimento in capo al richiedente dello status di rifugiato, per essersi il ricorrente allontanato dal Bangladesh per motivi di natura essenzialmente privata e di tipo economico (costui aveva riferito, in sede di Commissione territoriale, di essere partito dal Bangladesh dopo aver contratto debiti e di temere, in caso di rientro in patria, di non riuscire a pagare i creditori e di non poter far sposare le sorelle).

Al richiedente è stata inoltre negata la protezione sussidiaria, essendo stata ritenuta l’insussistenza di una situazione di violenza generalizzata nel suo paese di provenienza.

Il ricorrente non è stato comunque ritenuto meritevole del permesso per motivi umanitari per carenza di una condizione di vulnerabilità.

Ha proposto ricorso per cassazione K.B.S., affidandolo a tre motivi.

Il Ministero dell’Interno si è costituito in giudizio con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3,5,6,7,8 e 14.

Espone il ricorrente di aver subito discriminazioni, minacce e violenze, oltre a trattamenti disumani e degradanti, nel paese d’origine a causa dell’appartenenza alla minoranza rohingya, la quale è vittima di tremende persecuzioni. Ne consegue che, in caso di rientro nel paese d’origine, sarebbe esposto al concreto ed attuale pericolo di subire trattamenti inumani e degradanti se venisse detenuto nelle prigione del Bangladesh.

Il ricorrente lamenta l’omessa cooperazione istruttoria da parte della Commissione territoriale e del Tribunale di Campobasso in ordine ai fatti dallo stesso rappresentati, idonei ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato, anche alla luce delle notizie ricavabili dalle più autorevoli COI e fonti internazionali, che riferiscono di decessi, torture e maltrattamenti nei confronti della minoranza etnica rohingya.

Infine, il ricorrente espone di aver diritto comunque al riconoscimento della protezione sussidiaria, tenuto conto della peculiare situazione socio-politica del Bangladesh e dell’elevato grado di violenza indiscriminato e diffuso ivi presente.

2. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.

Espone il ricorrente di avere, in ogni caso, diritto alla protezione umanitaria in conseguenza della sua peculiare condizione di vulnerabilità dovuta alla giovane età, alle tensioni sociali di natura politica ed etnica, all’avvenuta integrazione nel tessuto socio culturale Europeo.

3. Con il terzo motivo è stato dedotto l’omesso esame di fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Il ricorrente lamenta che il Tribunale ha omesso di considerare che il Bangladesh è sconvolto dalla violenza diffusa ed indiscriminata perpetrata da gruppi armati legati al fondamentalismo di matrice jihadista che, operando in stretta sinergia con l’ISIS, reprimono con la forza ogni forma di libertà religiosa e di opposizione alla loro azione criminale.

Sul punto, si duole dell’inadeguatezza e della superficialità dell’istruttoria espletata.

4. Il primo motivo è fondato.

Va osservato che il ricorrente lamenta di essere vittima in Bangladesh di atti discriminatori e persecutori a causa della sua appartenenza all’etnia rohingya, che, comporta – secondo quanto dallo stesso riferito già in sede di audizione innanzi alla Commissione territoriale – l’impossibilità di svolgere lavori pubblici, o qualsiasi altro incarico pubblico, di iscriversi ad un partito, di esercitare, in generale, i suoi diritti civili e sociali, e, in ogni caso, il generale trattamento di tale minoranza, da parte della comunità, come cittadini di grado inferiore.

Se è pur vero che – come riportato dal Tribunale – all’origine dell’allontanamento del ricorrente dal Bangladedh vi sono anche motivi di natura economica, non vi è dubbio che tale rilievo non sia dirimente, dovendo comunque il giudice accertare che, in caso di rientro nel paese d’origine, il richiedente non sarebbe soggetto a persecuzione per motivi di razza, intendendo per tale, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8, lett. a), anche l’appartenenza ad un determinato gruppo etnico.

Orbene, tenuto conto che, a norma della l. cit. art. 7, comma 2, lett. b), gli atti di persecuzione rilevanti ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato possono, tra l’altro, assumere la forma di provvedimenti legislativi, amministrativi, di polizia o giudiziari, discriminatori per loro stessa natura o attuati in modo discriminatorio, il Tribunale di Campobasso, nell’esame della domanda, in virtù dell’obbligo di cooperazione istruttoria che incombe sul giudice di merito, avrebbe dovuto, a norma dell’art. 3, comma 3, lett. a), verificare tutti i fatti pertinenti che riguardano il paese d’origine al momento dell’adozione della decisione, comprese le disposizioni legislative e regolamentari e relative modalità di applicazione, al fine di accertare se effettivamente o meno la minoranza rohingya, normativamente, o nell’applicazione delle disposizioni legislative o regolamentari, sia discriminata in Bangladesh nell’esercizio dei propri diritti civili e non possa accedere a lavori, incarichi, come tutti gli altri cittadini del Bangladesh.

Il giudice di merito non ha adempiuto, sotto tale profilo, all’obbligo di cooperazione istruttoria – a differenza dell’accertamento compiuto in ordine alla sussistenza o meno in Bangladesh di una situazione di violenza diffusa ed indiscriminata – limitandosi a dare atto nel proprio decreto che il ricorrente aveva riferito di essersi sentito discriminato a causa della propria etnia e ritenendo genericamente non circostanziata tale affermazione.

La sentenza impugnata deve essere quindi cassata in relazione al motivo accolto con rinvio al Tribunale di Campobasso, in diversa composizione, che dovrà altresì provvedere sulle spese di lite del giudizio di legittimità.

5. Il secondo ed il terzo motivo sono assorbiti.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo, assorbiti il secondo ed il terzo, cassa la sentenza impugnata e rinvia al Tribunale di Campobasso, in diversa composizione, per nuovo esame.

Così deciso Roma, il 17 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2020

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