Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13930 del 06/07/2020

Cassazione civile sez. I, 06/07/2020, (ud. 22/06/2020, dep. 06/07/2020), n.13930

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – rel. Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio P. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24341/2014 proposto da:

Piccolo Costruzioni Generali S.r.l., in persona del suo legale

rappresentante p.t., in proprio e quale capogruppo mandataria

dell’Associazione Temporanea di Imprese costituita con Edil Sud

S.a.s. rappresentato e difeso dall’Avv. Giuseppe Romano ed

elettivamente domiciliato in Roma, Via Orazio 31, presso lo studio

dell’Avv. Angelo Caliendo, giusta procura in margine al ricorso

– ricorrente –

contro

Comune di Noceto, in persona del Sindaco p.t. elettivamente

domiciliato in Roma Via Bisagno 14 presso lo studio dell’Avv.

Riccardo Tagliaferri, che lo rappresenta e difende unitamente

all’Avv. Giuliano Gervasoni, giusta procura in margine al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’Appello di Firenze n. 418/2014;

depositata dell’11/03.2014

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/06/2020 dal Cons. SAMBITO MARIA GIOVANNA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con lodo, depositato il 6.11.2008, il Collegio arbitrale, costituito per la soluzione delle controversie inerenti al contratto d’appalto concluso tra la S.r.l. Piccolo Costruzioni ed il Comune di Noceto per la realizzazione della locale scuola materna ed elementare, ha rigettato le prime nove delle venticinque riserve sottoscritte dalla Società nel corso del contratto, il cui corrispettivo era stato pattuito, a corpo, in Euro 4.201.059,78.

La Corte d’Appello di Firenze, con sentenza dell’11.3.2014, ha rigettato l’impugnazione proposta dall’appaltatrice, evidenziando, per quanto d’interesse, che:

a) non sussisteva la dedotta decadenza ex art. 829 c.p.c., n. 6, avendo il lodo pronunciato entro il termine prorogato, in quanto, oltre al periodo di sessanta giorni disposto su accordo tra le parti, le proroghe erano da riconnettere, rispettivamente, ai casi di cui alla lett. b) (espletamento della CTU richiesta dalle parti) ed a) (acquisizione di documenti) dell’art. 820 c.p.c., e non al successivo supplemento di CTU;

b) la lamentata contraddittorietà della motivazione non costituiva una causa di nullità, riferendosi l’art. 829 n. 11 alla contraddittorietà tra statuizioni; nullità che, peraltro, non sussisteva in quanto il principio dell’immutabilità dei prezzi dell’appalto “a corpo” era derogabile in costanza di specifici presupposti, nella specie insussistenti;

c) non poteva trovare applicazione l’art. 2041 c.c., in quanto l’eventualità della sopravvenienza di uno squilibrio tra costi e ricavi era stata prevista ed accettata ed inoltre difettava il requisito della sussidiarietà, in riferimento al disposto di cui al D.L. n. 66 del 1989, art. 23.

Per la cassazione della sentenza, l’Impresa ha proposto ricorso con quattro motivi, resistiti con controricorso dal Comune di Noceto.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo, deducendo la violazione e falsa applicazione dell’art. 820 c.p.c., la ricorrente censura la statuizione sub a) di parte narrativa ed afferma che il lodo è nullo per scadenza del termine.

La ricorrente rileva che il collegio arbitrale si è costituito il 19 gennaio 2007: la scadenza per il deposito del lodo, inizialmente fissata al 15 settembre, era stata proroga di 180 giorni per l’esperimento della CTU con nuova scadenza al 14 marzo 2008, termine ulteriormente prorogato, su accordo tra le parti, di sessanta giorni con scadenza del 12 maggio 2008. L’ulteriore periodo di 180 giorni, disposto con ordinanza del n. 10 del 2008, era in realtà servito per ammettere una nuova CTU, al cui espletamente era funzionale la riapertura dell’istruttoria con l’ordine al Comune di produrre la documentazione. Nell’affermare cosa diversa, la Corte d’Appello si era, dunque, illegittimamente sostituita al Collegio arbitrale, allo scopo di sanare la maturata nullità.

2. Col secondo motivo, la ricorrente lamenta, sempre in riferimento alla statuizione sub a) della narrativa, la violazione degli artt. 820 e 829 c.p.c. e l’omesso esame del fatto decisivo per il giudizio relativo alla discrezionalità decisionale degli arbitri di disporre il supplemento di consulenza: nel sostenere che i documenti di cui era stata disposta l’acquisizione erano irrilevanti ai fini della decisione, essa Impresa non aveva “fornito un giudizio soggettivo, e lesivo della sfera discrezionale del collegio” ma aveva espresso “una censura basata su dati oggettivi”. Anche per tale verso, il termine per il deposito del lodo non doveva ritenersi prorogato.

3. I motivi, da valutarsi congiuntamente per la loro connessione, sono inammissibili.

4. Ed, infatti: 1) la ricorrente non riporta il tenore dell’ordinanza n. 10 del 2008 del Collegio arbitrale e neppure le considerazioni svolte nel lodo a sostegno del rigetto dell’eccezione di decadenza sollevata da essa Impresa con atto del 25.9.2008; 2) non provvede, poi, ad indicare se i documenti siano stati prodotti, nè la sede in cui gli atti stessi sarebbero in tesi rinvenibili (fascicolo d’ufficio o in quelli di parte). I motivi, che si fondano su tali atti e che addebitano alla Corte d’Appello di aver vicariato alle carenze della decisione arbitrale, nell’ascrivere la seconda proproga ad atti istruttori piuttosto che al supplemento di CTU, mancano, dunque, di specificità (Cass. SU n. 34469 del 2019; n. 7701 del 2016), tenuto conto che il potere di esame diretto di atti e documenti, rimesso al giudice di legittimità nel caso di denuncia di errores in procedendo, presuppone che la censura sia stata proposta dal ricorrente in modo conforme alle regole fissate al riguardo dal codice di rito, e, quindi, conforme alle prescrizioni dettate dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, (cfr. Cass. SU n. 20181 del 2019).

5. Tale vizio è dunque esiziale, considerato anche che il controricorrente ha riportato (pag. 12) alcuni passaggi dell’ordinanza 10/2008, che danno conto di un ordine di esibizione emesso nei confronti del Comune e della proroga contestualmente emessa per il deposito del lodo, e che, ad ogni modo, le critiche non incontrano la sentenza, che ha richiamato (pag. 2, ultimo cpv) e condiviso gli argomenti già svolti dagli arbitri, secondo i quali l’ulteriore proroga era dovuta a ragione istruttoria diversa dall’indagine peritale. Resta da aggiungere che l’apprezzamento circa l’utilità della documentazione acquisita, la necessità di disporre un supplemento di indagini peritali ed il giudizio di coerenza tra quesiti formulati e risposta dell’Ausiliare attiene all’evidenza al merito della valutazione del Collegio arbitrale, che è insindacabile, e, per di più, costituisce una critica fuori tiro, trattandosi qui di stabilire se il termine per il deposito del lodo sia stato o meno rispettato.

6. Con il terzo motivo, la ricorrente deduce la violazione dell’art. 829 c.p.c., per la contraddittorietà del ragionamento posto dal Collegio arbitrale, che, dopo aver rilevato che anche per l’appalto a corpo era possibile la modifica del prezzo, lo ha ritenuto troppo basso per legittimare la relativa pretesa. Tale argomentare, avallato dalla Corte d’Appello, è palesemente contraddittorio, afferma la ricorrente, che sottolinea come la contraddizione si rivela ancor più marcata in riferimento al rigetto della domanda d’ingiustificato arricchimento, che avrebbe dovuto esser applicata, proprio, per l’impossibilità di adottare rimedi contrattuali.

7. Col quarto motivo, la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 829 c.p.c., n. 11, per non avere la Corte d’Appello rilevato che era stata censurata la contraddittorietà tra “diverse statuizioni del collegio arbitrale o meglio tra le varie parti del dispositivo, tra loro inconciliabili”; tale contraddittorietà precludeva la possibilità di comprendere la ratio decidendi, “per sostanziale inesistenza della motivazione”.

8. Il quarto motivo, da esaminare con priorità rispetto al terzo, è inammissibile: a fronte della statuizione contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui era stata denunciata la contraddittorietà della motivazione, la ricorrente omette del tutto di riportare la censura, così incorrendo nel medesimo vizio sopra rilevato al p. 4. Sotto altro profilo, il disposto di cui all’art. 829 c.p.c., n. 11, sanziona con la nullità il contrasto tra le diverse componenti del dispositivo, ovvero tra la motivazione e il dispositivo, a fronte dell’irrilevanza di ogni contraddittorietà interna tra le diverse parti della motivazione non espressamente prevista tra i vizi che comportano la nullità del lodo. Il profilo secondo cui la motivazione non consentirebbe di ricostruire l’iter logico e giuridico della decisione arbitrale è del tutto generico, e presenta profili di novità constando esser stata dedotta una mera contraddittorietà della motivazione.

9. L’esame del terzo motivo è, in conseguenza, inammissibile, non solo, perchè esso incide su un argomento svolto, all’evidenza, ad abundantiam dalla Corte d’Appello, ma anche perchè: a) il giudizio di questa Corte è riferito alla sentenza d’appello ed è veicolato dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 6, che non consente più la deduzione della contraddittorietà della motivazione; b) la censura è, pure, rivolta ad una valutazione di merito relativa all’insussistenza in concreto dei presupposti per la modificabilità dei prezzi, ammissibile, in date ipotesi, anche, negli appalti a corpo; c) non è censurato efficacemente il rilevato difetto di sussidiarietà, che preclude il ricorso all’azione di arricchimento senza causa, in costanza di titolo contrattuale e, sotto altro profilo, la affermata carenza di impegni di spesa, D.L. n. 66 del 1989, ex art. 23.

10. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre accessori. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 22 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2020

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