Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13930 del 05/06/2017

Cassazione civile, sez. lav., 05/06/2017, (ud. 23/02/2017, dep.05/06/2017),  n. 13930

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10521/2015 proposto da:

AUTOSTRADE PER L’ITALIA S.P.A., P.I. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, L.G.

FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato ENZO MORRICO, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

S.A., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA GERMANICO 172, presso lo studio dell’avvocato PIER LUIGI PANICI,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIOVANNI

GIOVANNELLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7566/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 22/10/2014 R.G.N. 7276/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/02/2017 dal Consigliere Dott. IRENE TRICOMI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso;

udito l’Avvocato FRANCESCO RAIMONDO BOCCIA per delega orale Avvocato

ENZO MORRICO;

udito l’Avvocato GIOVANNI GIOVANNELLI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’Appello di Roma, con la sentenza n. 7566 del 2014, rigettava l’appello proposto dalla società Autostrade per l’Italia spa nei confronti di S.A., avverso la sentenza emessa tra le parti dal Tribunale di Roma, e confermava quest’ultima sia pure con diversa motivazione.

2. Il Tribunale aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento intimato allo S. con lettera del 20 ottobre 2009, con condanna della società datrice di lavoro a reintegrare il lavoratore nel posto occupato al momento del licenziamento, oltre al risarcimento del danno in misura pari alla retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del recesso alla reintegra.

3. L’Azienda aveva mosso al lavoratore la seguente contestazione: “nell’ambito dei controlli di competenza della direzione del tronco sulla qualità e sulla gestione del servizio autostrade, il Responsabile esazione e personale V.G. e l’ingegner P.A., il giorno 19 settembre 2009, mentre si trovavano a percorrere il tratto autostradale di competenza del Centro servizio 3, in coincidenza temporale con parte della sua prestazione lavorativa, prevista dalle 22.00 del giorno 18 settembre 2009, alle 6.00 del giorno 19 settembre 2009, rilevavano che alle 3,06 circa, il mezzo aziendale targato (OMISSIS), affidato per il servizio a lei e al suo collega signor D.L.A., sostava sul piazzale del posto di manutenzione di (OMISSIS) e vi rimaneva completamente inoperoso fino alla 4,45 circa.

Inoltre dai dati telepass dell’apparato installato sul predetto automezzo targato (OMISSIS) risulta che il primo ingresso in autostrada per l’inizio delle attività di pattugliamento veniva effettuato alle h. 23,22, mentre l’ultima uscita al casello di (OMISSIS) per fine attività avveniva alle h. 5,22.

Infine nel rapporto di servizio predisposto da lei e dal sig. S.A. (recte: D.L.A., come si evince dalla contestazione riprodotta nel ricorso), è registrato un intervento di rimozione ostacolo dalle h. 2,20 alle h. 2,30, 10 KM a sud di (OMISSIS), non coerente con i dati telepass, dall’esame dei quali risulta che il mezzo usciva al casello di (OMISSIS) alle h. 2,23 per poi rientrare in autostrada alle h. 4,47. Di tale rimozione non è stata comunque informata la sala radio, contrariamente a quanto previsto dalle disposizioni di servizio del 24 febbraio 2009…”.

4. Il Tribunale, esaminando la deduzione di mancata proporzionalità tra i fatti contestati e la sanzione irrogata, ha osservato che, secondo quanto disposto dalla L. n. 183 del 2010, art. 30, comma 3, la contestazione disciplinare deve essere confrontata con il CCNL, il quale nel caso di specie, legittima il licenziamento esclusivamente nei casi di gravi infrazioni alla disciplina o alla diligenza nel lavoro o provochi all’azienda un grave nocumento morale o materiale, mentre sanziona con misure più Ivi ipotesi di comportamento che, pur arrecando danni all’azienda, non giustificano la sanzione espulsiva. Il giudice di primo grado ha, quindi, ricondotto in parte alla sanzione della multa, e in parte a quella della sospensione, gli addebiti contestati, dichiarando l’illegittimità del licenziamento.

5. La Corte d’Appello escludeva che ratione temporis, potesse trovare applicazione la L. n. 183 del 2010 e affermava che il licenziamento era viziato per difetto di proporzionalità.

Dopo aver richiamato la giurisprudenza di legittimità in ordine al rapporto tra disciplina legale e disciplina collettiva dell’illecito disciplinare nonchè sul rilievo dei precedenti, ha escluso che i fatti in questione, complessivamente valutati, come dedotto dalla società datrice di lavoro, erano idonei ad integrare una condotta gravemente inadempiente sì da giustificare una sanzione espulsiva, che pure rimane extrema ratio.

6. Per la cassazione della sentenza resa in grado di appello ricorre la società Autostrade per l’Italia spa, prospettando quattro motivi di ricorso.

7. Resiste il lavoratore con controricorso.

8. Entrambe le parti hanno depositato memoria, in prossimità dell’udienza pubblica.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso è prospettata la violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3).

Assume la ricorrente che la Corte d’Appello non ha considerato che al lavoratore non era stato contestato solo il mancato svolgimento della propria attività lavorative per oltre due ore (consistente nel ritardato inizio turno e nella sosta del mezzo dalle h. 2,30 alle h. 4,45 circa) ma anche di non aver svolto attività di pattugliamento sulla tratta assegnata, al fine di prevenire eventuali situazioni di pericolo per gli utenti e, comunque, intervenire tempestivamente in caso di necessità (con ciò esponendo il datore di lavoro ad azioni di responsabilità da parte degli utenti per la mancata adozione delle necessarie misure di sicurezza sulla rete autostradale), di non aver avvisato la sala radio per il mancato svolgimento dell’attività lavorativa, di aver iniziato il turno di pattugliamento solo alle 23,22, di aver riportato nel rapporto un intervento di rimozione ostacolo incompatibile con i dati telepass, con conseguente legittimità e proporzionalità del recesso.

2. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2106 c.c. e della L. n. 300 del 1970, art. 7 (art. 360 c.p.c., n. 3).

La Corte d’Appello affermava la mancanza di proporzionalità sulla base del carattere del tutto eccezionale della condotta, in quanto verificatasi dopo venti anni di rapporto con l’azienda, senza precedenti disciplinari o richiami.

In tal modo la Corte d’Appello interpretava erroneamente le suddette disposizioni atteso, la mancanza di rilievo che si fosse trattato di una condotta isolata.

3. Con il terzo motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3).

La ricorrente impugna la valutazione operata dalla Corte d’Appello circa la mancanza di giusta causa, assumendone la censurabilità in cassazione, in particolare con riguardo al rilievo attribuito alla mancata produzione di danni, con la conseguenza che la rilevanza disciplinare non sarebbe data dalla condotta tenuta dal lavoratore, quanto dai danni derivati, anche nei confronti di terzi.

Sussisteva la giusta causa, anche a prescindere dai danni provocati, in ragione delle mansioni espletate dal lavoratore, ausiliario alla viabilità, funzionali alla sicurezza della circolazione autostradale.

4. I suddetti motivi devono essere trattati congiuntamente in ragione della loro connessione. Gli stessi sono fondati nei termini di seguito indicati.

5. Preliminarmente, va ricordato, per un compiuto inquadramento della fattispecie, anche se la relativa statuizione della Corte d’Appello non è stata censurata sul punto, che anche qualora non trovi applicazione ratione temporis la L. n. 183 del 2010, viene in rilievo il principio più volte affermato da questa Corte (ex multis, Cass., n. 11860 del 2016), secondo cui “deve escludersi che, ove un determinato comportamento del lavoratore, invocato dal datore di lavoro come giusta causa di licenziamento, sia contemplato dal contratto collettivo come integrante una specifica infrazione disciplinare cui corrisponda una sanzione conservativa, essa possa formare oggetto di una autonoma e più grave valutazione da parte del giudice, a meno che non si accerti che le parti avevano inteso escludere, per i casi di maggiore gravità, la possibilità della sanzione espulsiva (Cass. n. 9223 del 2015; Cass. n. 13353 del 2011; Cass. n. 1173 del 1996)”.

6. Passando all’esame dei primi tre motivi di ricorso, rileva il Collegio che questa Corte, con diverse pronunce (Cass., n. 12195 del 2014, n. 24574 del 2013, n. 2579 del 2009) ha affermato che qualora il licenziamento sia intimato per giusta causa e siano stati contestati al dipendente diversi episodi rilevanti sul piano disciplinare, ciascuno di essi autonomamente considerato costituisce base idonea per giustificare la sanzione, salvo che la parte che vi abbia interesse provi che solo presi in considerazione congiuntamente, per la loro complessiva gravità, essi siano tali da non consentire la prosecuzione, nemmeno provvisoria, del rapporto di lavoro e pertanto, ove emerga l’infondatezza di uno o più degli addebiti contestati, quelli residui mantengono la loro astratta idoneità a giustificare il recesso.

La sussistenza in concreto di una giusta causa di licenziamento va accertata in relazione sia della gravità dei fatti addebitati al lavoratore desumibile dalla loro portata oggettiva e soggettiva, dalle circostanze nelle quali sono stati commessi nonchè dall’intensità dell’elemento intenzionale -, sia della proporzionalità tra tali fatti e la sanzione inflitta, con valutazione dell’inadempimento in senso accentuativo rispetto alla regola generale della “non scarsa importanza” dettata dall’art. 1455 cod. civ. (Cass., n. 21017 del 2015, n. 10842 del 2016).

Tale assunto si basa su una consolidata ricostruzione giurisprudenziale della nozione di giusta causa nell’ambito del licenziamento disciplinare, in base alla quale, trattandosi dell’applicazione di un concetto indeterminato, l’accertamento deve essere svolto in base agli specifici elementi oggettivi e soggettivi della fattispecie concreta, quali tipo di mansioni affidate al lavoratore, il carattere doloso o colposo dell’infrazione, le circostanze di luogo e di tempo, le probabilità di reiterazione dell’illecito, il disvalore ambientale della condotta quale modello diseducativo per gli altri dipendenti (citata Cass., n. 10842 del 2016).

7. Nella specie, la qualificazione giuridica dei fatti e il giudizio di sussunzione dei fatti contestati nell’ambito della clausola generale della giusta causa non è stato effettuato dalla Corte territoriale in sintonia con i principi elaborati da questa Corte.

Il giudice di secondo grado ha ricondotto le mancate operazioni di pattugliamento sulla tratta assegnata da effettuare al fine di prevenire eventuali situazioni di pericolo per gli utenti (condotta su cui verteva il primo motivo di appello, si. v. pag. 3, lettera a, della sentenza di appello, e la censura riportata nel primo motivo del presente ricorso), nell’addebito “sosta del mezzo” (pag. 5 della sentenza di appello).

Ha, quindi, affermato (pag. 5 della sentenza) che detta sosta, dalle 2,30 alle 4,45, circa, non aveva ridotto sensibilmente l’attività di pattugliamento del turno assegnato, vanificandone addirittura il controllo della tratta, che (pag. 6 della sentenza) la sosta non era stata eccessivamente lunga ed era stata effettuata a breve distanza dalla tratta da vigilare, e che non risultavano verificatisi fatti compromettenti la sicurezza o tanto meno l’assistenza agli utenti.

In tal modo, la Corte d’Appello, per un verso non ha effettuato l’accertamento rimessogli tenendo presente l’autonoma valenza dell’addebito del mancato pattugliamento rispetto alla sosta del mezzo, addebito che pure il giudice di secondo grado ha riconosciuto contestuale alla sosta del mezzo, e dunque rientrante nelle attività che il lavoratore era chiamato a svolgere come ausiliario alla viabilità (qualifica indicata nel presente ricorso e non contestata nel controricorso); per altro verso ha dato rilievo nella valutazione della gravità dei fatti, anche a dati aleatori ed eventuali, la mancata verificazione di criticità per la sicurezza e l’assistenza agli utenti, che esulano dall’inadempimento contrattuale, da vagliare secondo i parametri sopra indicati, anche in ragione delle mansioni svolte dal lavoratore.

8. Con il quarto motivo è dedotta la violazione della L. n. 604 del 1966, art. 3 (art. 360 c.p.c., n. 3).

Erroneamente la Corte d’Appello non ha ritenuto che la condotta del lavoratore integrasse il notevole inadempimento di cui al citato art. 3 e cioè giustificato motivo di licenziamento.

9. All’accoglimento dei primi tre motivi di ricorso, nei sensi sopra indicati, segue l’assorbimento del quarto motivo.

10. La sentenza della Corte d’Appello di Roma va cassata in relazione ai primi tre motivi accolti nei termini sopra indicati e rinviata, in relazione ai suddetti motivi come accolti, alla medesima Corte di Appello in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio. Assorbito il quarto motivo di ricorso.

PQM

 

La Corte accoglie nei sensi di cui in motivazione i primi tre motivi di ricorso. Assorbito il quarto motivo. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia anche per le spese del presente giudizio alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 5 giugno 2017

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