Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13929 del 20/05/2021

Cassazione civile sez. III, 20/05/2021, (ud. 13/01/2021, dep. 20/05/2021), n.13929

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 37446-2019 proposto da:

L.C., elettivamente domiciliato in ROMA, presso la CORTE

SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato ANNA

LOMBARDI BAIARDINI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– resistente –

avverso la sentenza n. 331/2019 della CORTE D’APPELLO DI PERUGIA,

depositata il 27/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/1/2021 dal Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

L.C., cittadino del (OMISSIS), ha chiesto alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politica, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis);

a sostegno della domanda proposta, il ricorrente ha dedotto di essere fuggito dal proprio paese allo scopo di sottrarsi ai soprusi e alle violenze subite ad opera di gruppi di ribelli locali;

la Commissione Territoriale ha rigettato l’istanza;

avverso tale provvedimento L.C. ha proposto, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35 ricorso dinanzi al Tribunale di Perugia, che ne ha disposto il rigetto con ordinanza del 24/8/2018;

tale provvedimento, appellato dal soccombente, è stato confermato dalla Corte d’appello di Perugia con sentenza depositata in data 27/5/2019;

a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha evidenziato l’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento delle forme di protezione internazionale invocate dal ricorrente, tenuto conto: 1) della mancata corrispondenza delle ragioni di fuga del ricorrente dal paese di origine con i presupposti di legittimazione della protezione internazionale rivendicata; 2) della mancanza, nei territori di provenienza del ricorrente, di condizioni tali da integrare, di per sè, gli estremi di una situazione generalizzata di conflitto armato; 3) della insussistenza di un’effettiva situazione di vulnerabilità suscettibile di giustificare il riconoscimento dei presupposti per la c.d. protezione umanitaria;

il provvedimento della Corte d’appello è stato impugnato per cassazione da L.C. con ricorso fondato su tre motivi, illustrati da successiva memoria;

il Ministero dell’Interno non ha svolto difese in questa sede.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

col primo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere il giudice a quo erroneamente condotto l’esame dell’attendibilità delle dichiarazioni rese dal ricorrente nel corso del giudizio, in violazione dei criteri specificamente imposti dalla legge ai fini della lettura del racconto di vita del richiedente la protezione internazionale;

il motivo è inammissibile;

osserva il Collegio come il ricorrente abbia prospettato il vizio in esame senza cogliere in modo specifico la ratio individuata dal giudice a quo a sostegno della decisione assunta;

sul punto, varrà richiamare il principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale, il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, siccome per denunciare un errore occorre identificarlo (e, quindi, fornirne la rappresentazione), l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito, considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4 (Sez. 3, Sentenza n. 359 del 11/01/2005, Rv. 579564 – 01);

nella specie, avendo la corte territoriale disatteso la domanda dell’odierno ricorrente sul presupposto della mancata corrispondenza delle ragioni di fuga dal paese di origine con i presupposti di legittimazione della protezione internazionale rivendicata (senza nulla argomentare in ordine all’eventuale attendibilità del relativo racconto di vita), l’odierna censura, nel riproporre la questione dell’erronea conduzione dell’esame di attendibilità delle dichiarazioni rese dal ricorrente nel corso del giudizio, dimostra di non essersi punto confrontata con la decisione impugnata, con la conseguente inammissibilità della doglianza per le specifiche ragioni in precedenza indicate;

con il secondo motivo, il ricorrente censura il provvedimento impugnato sotto il profilo del mancato riconoscimento della protezione sussidiaria relativa all’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, alla lett. b) per avere la corte territoriale erroneamente adempiuto ai propri doveri di cooperazione istruttoria, con particolare riferimento all’acquisizione delle informazioni necessarie ai fini della ricostruzione dei rischi di rimpatrio in ragione della sostanziale inidoneità delle istituzioni del proprio paese a difenderlo dalle gravi minacce e dalle violenze subite nel corso della propria storia personale;

il motivo è fondato;

osserva il Collegio come il giudice a quo abbia disatteso l’istanza di protezione sussidiaria avanzata dall’odierno ricorrente sul presupposto della concreta insussistenza, nel caso in esame, di un effettivo rischio di danno grave rilevante ai fini del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 connesso al relativo rientro in patria, essendosi il richiedente limitato a prospettare il ricorso di un preteso pericolo concreto per la propria incolumità in considerazione delle violenze subite ad opera di gruppi di ribelli locali, senza giustificare in modo congruo il mancato ricorso alla protezione delle autorità statali;

al riguardo, evidenzia il Collegio come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, il diritto alla protezione sussidiaria non può essere escluso dalla circostanza che a provocare il danno grave per il cittadino straniero siano soggetti privati, qualora nel Paese d’origine non vi sia un’autorità statale in grado di fornirgli adeguata ed effettiva tutela, con il conseguente dovere del giudice di effettuare una verifica officiosa sull’attuale situazione di quel Paese e, quindi, sull’eventuale inutilità di una richiesta di protezione alle autorità locali (Sez. 1, Ordinanza n. 26823 del 21/10/2019, Rv. 655628 – 01; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 16356 del 03/07/2017, Rv. 644807 – 01);

nel caso di specie, il giudice a quo, si è inammissibilmente limitato ad affermare l’impossibilità di riconoscere la protezione sussidiaria invocata dal ricorrente, non avendo quest’ultimo adeguatamente giustificato il mancato ricorso alla protezione da parte delle autorità statali, così trascurando di esercitare i propri poteri di istruzione ufficiosa (nel quadro dei doveri di cooperazione istruttoria imposti dalla legge) attraverso l’approfondimento di tali ultimi rilievi al fine di individuare, in termini positivi e concreti, le specifiche fonti informative suscettibili di comprovare l’effettiva idoneità delle istituzioni (OMISSIS) a cautelare l’incolumità dei propri cittadini in relazione a situazioni di vulnerabilità di origine privata così determinate;

col terzo motivo, il ricorrente censura il provvedimento impugnato nella parte in cui ha rigettato la sua domanda di protezione umanitaria, senza tener conto delle condizioni di criticità sociale e istituzionale del paese di provenienza, nonchè del percorso di integrazione da lui intrapreso nel nostro Paese;

il motivo è fondato;

al riguardo, osserva il Collegio come, secondo l’interpretazione fatta propria dalla giurisprudenza di questa Corte, in tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato (Sez. U, Sentenza n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062 – 02);

peraltro, a fronte del dovere del richiedente di allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, la valutazione delle condizioni socio-politiche del Paese d’origine del richiedente deve avvenire, mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche di cui si dispone pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione, sicchè il giudice del merito non può limitarsi a valutazioni solo generiche ovvero omettere di individuare le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte, potendo incorrere in tale ipotesi, la pronuncia, ove impugnata, nel vizio di motivazione apparente (Sez. 1 -, Ordinanza n. 13897 del 22/05/2019, Rv. 654174 – 01);

nel caso di specie, il giudice a quo, dopo aver omesso alcuna indicazione in ordine all’eventuale processo di integrazione del ricorrente nel tessuto socio-economico italiano, ha totalmente trascurato di approfondire e circostanziare gli aspetti dell’indispensabile valutazione comparativa tra la situazione personale ed esistenziale attuale del richiedente sul territorio italiano, e la condizione cui lo stesso verrebbe lasciato in caso di rimpatrio, al fine di attestare (anche attraverso l’individuazione delle specifiche fonti informative suscettibili di asseverare le conclusioni assunte in relazione alle condizioni generali del paese di origine, indipendentemente da quanto attestato con riguardo alla domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria) che il ritorno del richiedente nel proprio paese non valga piuttosto a esporlo al rischio di un abbandono a condizioni di vita non rispettose del nucleo minimo dei diritti della persona; e tanto, indipendentemente dalla circostanza che tale rischio possa farsi risalire (o meno) a fattori di natura economica, politica, sociale, culturale, etc.;

ciò posto, il discorso giustificativo in tal guisa elaborato dal giudice a quo deve ritenersi tale – al di là dell’assorbente rilievo riguardante la violazione delle norme che presiedono al riconoscimento della c.d. protezione umanitaria – da non integrare gli estremi di una motivazione adeguata sul piano del c.d. minimo costituzionale;

sulla base di tali premesse, rilevata la fondatezza del secondo e del terzo motivo (e dichiarato inammissibile il primo), deve essere disposta la cassazione della sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, con il conseguente rinvio alla Corte d’appello di Perugia, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

Accoglie il secondo e il terzo motivo; dichiara inammissibile il primo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, e rinvia alla Corte d’appello di Perugia, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte di cassazione, il 13 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2021

 

 

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