Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13927 del 05/06/2017
Cassazione civile, sez. lav., 05/06/2017, (ud. 16/02/2017, dep.05/06/2017), n. 13927
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –
Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –
Dott. LORITO Matilde – Consigliere –
Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 18139/2011 proposto da:
D.I.A., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA PANAMA 74, presso lo studio dell’avvocato GIANNI EMILIO
IACOBELLI, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA C.
MONTEVERDI 16, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE CONSOLO, che
la rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 279/2011 della CORTE D’APPELLO di ROMA,
depositata il 18/02/2011 R.G.N. 1188/2009.
Fatto
RILEVATO
1. che con sentenza in data 14.1/18.2.2011 (nr. 279/2011) la Corte di Appello di Roma ha respinto l’appello proposto da D.I.A. avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede (nr. 18928/2008), che aveva respinto la domanda proposta dal D.I. nei confronti di POSTE ITALIANE spa per la dichiarazione della nullità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato tra le parti di causa per il periodo 1 novembre – 30 novembre 2000 per “esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione (…)” ai sensi dell’art. 8 CCNL 26.11.1194 e dell’accordo integrativo del 25.9.1997, ritenendo sussistere una ipotesi di scioglimento del contratto per mutuo consenso;
2. che avverso tale sentenza ha proposto ricorso D.I.A., affidato a quattro motivi, al quale ha opposto difese POSTE ITALIANE spa con controricorso;
3. che il ricorrente ha depositato tardivamente la memoria ex art. 378 c.p.c..
Diritto
CONSIDERATO
1. che la parte ricorrente ha impugnato la sentenza deducendo: – con il primo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4 -violazione e falsa applicazione degli artt. 100, 101, 112 e 418 c.p.c., in relazione agli artt. 24 e 111 Cost., per non avere la Corte di merito rilevato d’ufficio la decadenza della società Poste Italiane dalla proposizione della domanda riconvenzionale di risoluzione del rapporto di lavoro, essendosi la società limitata a proporre una eccezione sul punto;
– con il secondo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 – violazione e falsa applicazione degli artt. 434 e 437 c.p.c., anche in relazione all’art. 342 c.p.c., art. 112c.p.c., in relazione agli artt. 416, 418, 434, 436 e 437 c.p.c., dell’art. 329 c.p.c., per avere la Corte di merito accertato la risoluzione del rapporto di lavoro in assenza di domanda riconvenzionale e dunque ultra petita ed omesso di valutare l’error in procedendo commesso negli stessi termini dal giudice di primo grado; – con il terzo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 – violazione degli artt. 1421 e 1422 c.c., dell’art. 2697 c.c., dell’art. 2729 c.c., degli artt. 1362 c.c. e segg., nonchè omessa e contraddittoria motivazione su un fatto decisivo per il giudizio, per non avere la Corte adeguatamente considerato la imprescrittibilità della azione di nullità ed i principi di diritto affermati dalla giurisprudenza di questa Corte, per avere erroneamente interpretato la sua volontà, per avere illegittimamente posto a carico del lavoratore l’onere della prova del fatto estintivo del rapporto di lavoro;
– con il quarto motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4, 5 – violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 277 c.p.c., per omessa pronunzia sul capo di domanda relativo alla nullità del contratto a termine;
2. che ritiene il Collegio si debba respingere il ricorso;
3. che, infatti, i primi due motivi – che in quanto connessi, possono essere esaminati congiuntamente sono inammissibili – poichè denunziano vizi procedurali già commessi dal giudice del primo grado, che, per il principio dell’assorbimento delle nullità in mezzi di gravame, avrebbero dovuto essere denunziati in appello – e, comunque, infondati. Correttamente la Corte di merito ha esaminato la eccezione opposta da Poste Italiane giacchè la parte convenuta può introdurre nel processo una sua contrapposta pretesa o attraverso una domanda riconvenzionale – onde ottenere un provvedimento giudiziale a sè favorevole – oppure meramente in via di eccezione riconvenzionale, esprimendo così una richiesta che pur ampliando il tema della controversia non tende ad altro fine che non sia quello della reiezione della domanda;
il terzo motivo è infondato. Il giudice del merito – pur richiamando in sentenza anche la giurisprudenza, qui non condivisa, che valorizza il piano oggettivo della condotta, nel quadro di una presupposta valutazione sociale “tipica” (v. Cass. 6-7-2007 n. 15264 e da ultimo Cass. 5-6-2013 n. 14209)- ha del pari richiamato e correttamente applicato il principio, ripetutamente affermato da questa Corte, secondo il quale affinchè possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine nonchè di ulteriori circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo (ex plurimis: Cass. 10-11-2008 n. 26935, Cass. 28-9-2007 n. 20390, Cass. 17-12-2004 n. 23554, Cass. 18-11-2010 n. 23319, Cass. 11-3-2011 n. 5887, Cass. 4/8/2011 n. 16932; Cass. n.ri 3924, 4181, 7282, 7630, 7772, 7773, 13538, 14818/2015, nonchè Cass. 14809/2015). In punto di fatto ha accertato la intervenuta volontà della risoluzione del contratto con motivazione adeguata, facendo leva non soltanto sul decorso del tempo e sulla percezione del TFR ma anche sullo svolgimento da parte dell’appellante di altra attività lavorativa in via continuativa dall’anno 2002 al 2007 e sull’ “avvio di uno stabile rapporto lavorativo tuttora in essere” (foglio 3 della sentenza). Da ultimo non è conferente alla decisione la censura di violazione dell’art. 2697 c.c., poichè la sentenza impugnata non ha fatto applicazione della relativa regola di giudizio;
-il quarto motivo resta assorbito dal rigetto dei primi tre motivi di censura;
4. che le spese vengono regolate come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 200 per spese ed Euro 3.500 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 16 febbraio 2017.
Depositato in Cancelleria il 5 giugno 2017