Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13926 del 06/07/2020

Cassazione civile sez. I, 06/07/2020, (ud. 13/12/2019, dep. 06/07/2020), n.13926

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24937/2015 proposto da:

M.A.D., F.L., elettiva mente

domiciliati in Roma, Via Ovidio n. 32, presso lo studio

dell’avvocato Crastolla Guido Bruno, rappresentati e difesi

dall’avvocato Mongelli Piero, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

Banca Popolare Pugliese Soc. Coop. p.a., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via

Vallebona n. 59, presso lo studio dell’avvocato Cutrufo Maria

Stella, rappresentata e difesa dall’avvocato Pisanello Guido, giusta

procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6/2015 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 12/01/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/12/2019 dal cons. SOLAINI LUCA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale CAPASSO

LUCIO che ha concluso per il rigetto;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato Guido Pisanello che ha

chiesto il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

M.A.D. e F.L., quali debitore principale e fideiussore, convenivano in giudizio, davanti al Tribunale di Lecce, la Banca Popolare Pugliese per opporsi al decreto ingiuntivo emesso dal predetto Tribunale, in favore di quest’ultima per il pagamento dell’importo di Euro 111.274,30, oltre interessi e spese, per debito nascente da una scopertura di conto corrente, giusta certificazione ex art. 50 TUB emessa dal predetto Istituto di credito. A supporto delle proprie ragioni, gli ingiunti deducevano, per quanto ancora d’interesse nella presente controversia, l’inesistenza del credito vantato dalla banca e di cui al decreto ingiuntivo, posto che al rapporto bancario in esame erano stati applicati interessi non dovuti, con illegittima applicazione della capitalizzazione trimestrale anatocistica, con illegittimo conteggio delle c.m.s. e dei giorni di valuta. Chiedeva, pertanto, previa declaratoria di nullità delle predette clausole e previo ricalcolo di tutte le operazioni effettuate sul conto corrente, accertarsi il reale saldo tra le parti, alla stregua della normativa in materia.

Si costituiva la banca opposta, la quale eccepiva, tra l’altro, l’esistenza di un accordo scritto sugli interessi valido e legittimo.

Il Tribunale di Lecce accoglieva l’opposizione, perchè riteneva nulla la capitalizzazione trimestrale e dal conteggio del CTU risultava un credito a favore del correntista per Euro 2.500,12.

La banca proponeva appello, lamentando che il tribunale non aveva considerato che i conti correnti erano sorti tutti in epoca successiva al 2000, sicchè agli stessi doveva applicarsi la disciplina introdotta con delibera CICR del 9.2.2000; inoltre, deduceva sia l’inutilizzabilità della CTU perchè esplorativa e sia l’erroneità della stessa sotto vari profili.

La Corte d’appello accoglieva il gravame.

A sostegno dei propri assunti, la Corte distrettuale rilevava come il regolamento contrattuale tra le parti aveva espressamente disciplinato sia la clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi, sia l’applicazione delle c.m.s. che i giorni di valuta, alla luce della delibera CICR del 9.2.2000 che aveva reso legittime, a determinate condizioni, tali pattuizioni, in attuazione del disposto dell’art. 120, comma 2 del TUB, e richiamando il secondo conteggio del saldo predisposto dal ctu in primo grado.

M.A.D. e F.L., ricorrono ora per cassazione, sulla base di quattro motivi, illustrati da memoria, mentre, la banca resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, i ricorrenti deducono il vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per contrasto tra le risultanze istruttorie e la decisione di merito, con riferimento all’accezione di usurarietà degli interessi;

infatti il CTU aveva accertato il superamento del tasso soglia, ma la corte d’appello aveva omesso l’esame di tale aspetto del regolamento contrattuale.

Con il secondo motivo, i ricorrenti prospettano il vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per contrasto tra le risultanze istruttorie e la decisione di merito, in relazione all’erronea lettura delle conclusioni della relazione del CTU con riferimento all’errore di conteggio tra la quota capitale e la quota di interessi confondendo i dati delle risposte ai diversi quesiti fornita dal medesimo consulente e confondendo l’importo lordo con l’importo netto degli stessi interessi, che erano dovuti alla banca.

Con il terzo motivo, i ricorrenti lamentano il vizio di violazione norme di diritto, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., nonchè la mancanza di motivazione, ovvero motivazione insufficiente ovvero motivazione apparente, nella parte relativa all’interpretazione della relazione peritale sul conto n. (OMISSIS), che riguarderebbe una evidente omissione di conteggio (relativo al saldo), da cui la Corte distrettuale avrebbe “dedotto” conclusioni assenti dal costrutto peritale.

Con il quarto motivo, i ricorrenti denunciano il vizio di norme di diritto, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., con riferimento alla circostanza che la Corte del merito abbia disposto il rigetto dell’opposizione e la conferma del decreto ingiuntivo opposto, mentre avrebbe dovuto “statuire nel merito della vicenda”, dato che il decreto ingiuntivo era stato ormai caducato per effetto della revoca pronunciata dalla sentenza di primo grado.

Il primo motivo è inammissibile.

Infatti, la questione della usurarietà del tasso degli interessi non era stata affrontata dal tribunale, che aveva accolto l’opposizione dei correntisti sul solo profilo della illegittima capitalizzazione trimestrale degli stessi e non risulta – nè dalla sentenza impugnata, nè dallo stesso ricorso – essere stata riproposta dagli appellati, ai sensi dell’art. 346 c.p.c., in grado di appello (in quanto totalmente vittoriosi in primo grado, v Cass. sez. un. 11799/17); dunque non può più essere proposta in cassazione.

Il secondo motivo è inammissibile, sostanziandosi in censure di merito che non sono deducibili in sede di legittimità, neppure sotto il novellato vizio di omesso esame.

Il terzo motivo è inammissibile, perchè le censure attengono al merito dell’accertamento della Corte d’appello e, del resto, la motivazione si colloca al di sopra del “minimo costituzionale” mentre la sua insufficienza non è più contemplata come motivo di ricorso in cassazione, dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 novellato.

Il quarto motivo è inammissibile, per difetto d’interesse.

Infatti, la dedotta mancanza di una statuizione “nel merito”, cioè l’espressa pronuncia di condanna al pagamento della somma dovuta, si sostanzierebbe in una modifica puramente formale del dispositivo, atteso che la Corte d’appello ha accertato che la somma dovuta è proprio quella portata dal decreto ingiuntivo (p. 5 terz’ultimo capoverso).

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna i ricorrenti a pagare a Banca Popolare Pugliese, in persona del legale rappresentante in carica, le spese di lite del presente giudizio, che liquida nell’importo di Euro 2.500,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre il 15% per spese generali, oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ove dovuto, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello corrisposto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 13 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2020

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