Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13925 del 24/06/2011

Cassazione civile sez. trib., 24/06/2011, (ud. 23/03/2011, dep. 24/06/2011), n.13925

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 9297/2006 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

BOVIMPORT SRL in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso la

cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato PERNA Sergio con studio in PALERMO VIA MASSIMO

D’AZEGLIO 8, (avviso postale), giusta delega in calce;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 86/2004 della COMM. TRIB. REG. di PALERMO,

depositata il 29/01/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

23/03/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE CARACCIOLO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAMBARDELLA Vincenzo, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Gli atti del giudizio di legittimità.

Il giorno 15.3.2006 è stato notificato alla “Bovimport srl”, un ricorso dell’Agenzia delle Entrate per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale descritta in epigrafe (depositata 29.1.2005) che ha disatteso l’appello proposto dall’Agenzia contro la sentenze della Commissione Tributaria Provinciale di Palermo n. 230/02/2002, con cui era stato accolto il ricorso della parte contribuente avverso avviso di rettifica ai fini IVA per l’anno 1991.

In data 13.4.2006 è stato notificato alla parte ricorrente il controricorso della parte intimata.

La controversia è stata discussa alla pubblica udienza del 23.3.2011, in cui il PG ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

2. I fatti di causa.

L’Agenzia ha notificato alla parte contribuente – a seguito di verifica fiscale conclusasi con PVC del 27.5.1993 – un avviso di rettifica ai fini IVA per l’anno 1991, fondato sull’assunto di omessa fatturazione di atti di acquisto di beni e di servizi (concernenti un’autovettura e le consulenze di un commercialista) nonchè di vendite di merci in evasione di imposta nonchè ancora di detrazioni di costi non inerenti, per una maggiore imposta totale di L. 106.496.000, comprensive di interessi.

Il ricorso proposto dalla società contribuente avanti alla CTP di Palermo è stato accolto in relazione a tutte le questioni oggetto di impugnazione e l’appello interposto dall’Agenzia avverso la decisione di primo grado è stato integralmente disatteso dalla locale Commissione Tributaria Regionale.

3. La motivazione della sentenza impugnata.

La sentenza della Commissione Tributaria Regionale, oggetto del ricorso per cassazione, è motivata nel senso che la modalità induttiva della rettifica operata non poteva considerarsi legittimamente utilizzata, in presenza di una acclarata regolare tenuta della contabilità e di una acclarata totale inerenza del fatturato agli acquisti effettuati, per come era risultato anche dai questionari compilati dai più significativi fornitori e clienti della società contribuente. Il giudicante evidenziava che, d’altronde, “i valori percentuali medi di settore non costituiscono un fatto storicamente provato” ai fini della presunzione di maggiori ricavi rispetto a quelli dichiarati, ed inoltre che il maggior reddito era stato determinato prendendo a campione solo alcuni generi di prodotta ed alcuni periodi dell’anno e non tutti, così come la percentuale di ricarico era stata calcolata non “su elementi certi ma in via congetturale, con riferimento ad un non meglio identificato senso comune e regole di ragionevolezza”.

Quanto ai singoli rilievi, la CTR aveva ritenuto: a) che per le prestazioni del commercialista la contribuente aveva credibilmente dichiarato che il compenso a ciò relativo era stato compreso in una fattura successivamente emessa; b) che la fattura di acquisto dell’autovettura era stata esibita ai verbalizzanti; c) che i costi per spese di rappresentanza o per riparazione di un automezzo apparivano realmente sostenuti e riferibili all’attività d’impresa;

d) che la contestazione relativa all’annotazione e contabilizzazione delle note di credito doveva essere respinta, perchè relativa a mercè effettivamente resa.

4. Il ricorso per cassazione Il ricorso per cassazione è sostenuto con tre motivi d’impugnazione e dichiarato il valore della causa nella misura di Euro 55.000.59 – si conclude con la richiesta che sia cassata la sentenza impugnata, con ogni conseguente statuizione.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

5. Il primo motivo d’impugnazione.

Il primo motivo d’impugnazione è collocato sotto la seguente rubrica: “Violazione dell’art. 112 c.p.c., per extrapetizione (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4)”.

La ricorrente agenzia assume che il giudicante ha preso in esame – respingendo sul punto il ricorso del contribuente – una questione (quella concernente l’annotazione e contabilizzazione delle note di credito) che non era mai stata fatta oggetto di controversia.

Sul punto – per ammissione della stessa parte controricorrente, che riconosce che la questione non era stata oggetto di impugnazione – la doglianza è coerente con i dati di fatto (essendo incontestato che il giudicante ha disatteso la “contestazione proposta dal ricorrente contribuente), ma è inammissibile per carenza di interesse. Ed invero la parte ricorrente non ha titolo a prospettare una questione di rilevanza puramente virtuale, non potendo per la stessa parte ricorrente derivare alcun effetto favorevole dall’accertamento dell’estraneità al thema decidendum di un capo di impugnazione che è rimasto comunque disatteso.

6. Il secondo motivo d’impugnazione.

Il secondo motivo d’impugnazione è collocato sotto la seguente rubrica: “Violazione dell’art. 112 c.p.c., per extrapetizione.

Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 – Omessa, e comunque insufficiente e contraddittoria motivazione (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3)”.

La parte ricorrente muove dal corretto assunto (raccordato alle pronunce in materia di questa Corte) che il dato della regolarità formale della contabilità di impresa non è preclusivo dell’accertamento di genere induttivo, atteso che ben possono essere state semplicemente omesse annotazioni relative ad operazioni che, altrimenti, sarebbero destinate a non venir mai accertate se non per diversa risultanza documentale.

Sul punto vale la pena di menzionate qui (per tutte) Cass. Sez. 5^, Sentenza n. 26341 del 16/12/2009, secondo cui: “In tema di accertamento dell’IVA, il ricorso al metodo induttivo – pur ammissibile, in presenza di contabilità formalmente regolare (ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54), quando l’attendibilità della stessa risulti inficiata da presunzioni contrarie, anche semplici, purchè gravi, precise e concordanti, nonchè (ai sensi dal D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 62 sexies, convertito nella L. 29 ottobre 1993, n. 427) in presenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, ovvero dagli studi di settore elaborati ai sensi del cit. D.L. n. 331, art. 62 bis – è illegittimo quando l’accertamento si fondi sull’unica presunzione dello sbilancio tra costi e ricavi, senza fare riferimento alcuno a studi di settore od indagini statistiche mirate, nè evidenziare che lo stato economico della ditta presenta caratteristiche di stranezza, singolarità e contrasto con elementari regole economiche di esperienza, tali da renderlo immediatamente percepibile come inattendibile secondo il senso comune”.

Tuttavia, come pure si desume dal l’anzidetto insegnamento, da sè solo il principio affermato dalla parte ricorrente – cioè quello secondo cui la regolarità delle scritture contabili non è sufficiente a precludere una rettifica di genere induttivo – pur risultando astrattamente corretto, non ha decisiva rilevanza ai fini della soluzione della presente controversia, poichè ciò che conta è che la Amministrazione procedente dia conto e comprovi l’esistenza di gravi incongruenze e comunque presunzioni, aliunde desunte.

dell’inattendibilità della contabilità nel suo complesso.

Nella specie di causa siffatte incongruenze sarebbero desumibili – a detta di parte ricorrente “dal fatto che i conti globali, come logicamente e dettagliatamente ricostruiti dai verificatori, non quadrano, cioè non combaciano con le scritture”.

Ed a questo proposito par di capire che la parte ricorrente lamenti non tanto la violazione del dato normativo quanto la contraddittorietà e insufficienza della motivazione de provvedimento di appello, nella parte in cui il giudicante ha fatto riferimento a “medie di settore” ed a “elementi congetturali”, pur essendo stata la ricostruzione del fatturato effettuata a campione, con modalità sia quantitativamente che qualitativamente adeguate. Secondo l’assunto di parte ricorrente, infatti, erano state prese in considerazione tutte le tipologie di merce oggetto dell’attività commerciale (sia pure con riferimento a periodi e stagioni opportunamente selezionati) e le percentuali di ricarico non erano state desunte in base alle medie di settore ma avevano costituito il risultato di una ricostruzione analitica, desunta dalla stessa contabilità aziendale, sulla scorta di un preciso metodo matematico.

Ma, è proprio con riferimento a tutti i predetti elementi di fatto che – per come recepiti nella motivazione della sentenza impugnata – sembra costituiscano il reale oggetto della censura, questa Corte non può non rilevare l’evidente insufficienza metodologica del motivo di impugnazione in primo luogo sotto il profilo della violazione del principio di necessaria autosufficienza del ricorso per cassazione.

Sarebbe infatti spettato alla parte ricorrente (che anzi avrebbe dovuto anche provvedere anche alla produzione dei supporti documentali in questo grado di giudizio, a mente dell’art. 369 c.p.c., n. 4) fare richiamo autosufficientemente idoneo dei materiale istruttorio su cui l’esistenza degli elementi di inattendibilità si fonda, onde consentire a questa Corte di apprezzare se ed in che cosa consista l’incoerenza o insufficienza della motivazione rispetto agli obbiettivi dati di causa.

Ciò non avendo la parte ricorrente fatto (poichè manca nella prospettazione ogni specifico riferimento ai dati di causa), il motivo di impugnazione si palesa, nel suo complesso, inammissibile, rimanendo assorbiti gli aspetti in cui fittiziamente si prospetta, sotto la tipologia della violazione di legge, una critica che – nella sua sostanza – è diretta contro il governo che il giudicante ha fatto del materiale istruttorio sottopostogli.

6. Il terzo motivo d’impugnazione.

Il terzo motivo d’impugnazione è collocato sotto la seguente rubrica: “Violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19 e dell’art. 2697 c.c. – Omessa e comunque insufficiente e illogica motivazione (in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

Con riferimento al rilievo analitico afferente alla non documentata detrazione di costi (per le consulenze del commercialista B.), la Agenzia ricorrente si duole che il giudice d’appello abbia ritenuto sufficiente la mera allegazione dell’esistenza di una fattura, in difetto della sua prova; con riferimento agli omaggi natalizi e ai costi di riparazione di un autoveicolo, la Agenzia si duole che il requisito dell’inerenza sia avvalorato in termini apodittici e senza specifico riferimento ad elementi di fatto.

Senonchè, dalla lettura della sentenza impugnata emerge che la Commissione di secondo grado non ha affatto giudicato sulla scorta delle mere allegazioni di parte ma con riferimento a documenti (le fatture, per quanto non specificamente identificate) risultanti dalle produzioni esistenti agli atti di causa ed ha sul punto ritenuto credibili e condivisibili le indicazioni di parte contribuente a proposito del collegamento esistente tra i costi annotati nelle predette fatture e l’attività aziendale, in tal modo sorreggendo il proprio convincimento su una valutazione del materiale istruttorio che è di sua esclusiva competenza, non spettando a questa Corte di sostituirsi al giudice di merito nell’apprezzamento dei fatti di causa, una volta che la motivazione sul punto sia astrattamente coerente e logica.

Non resta che concludere che anche quest’ultima censura è infondata e perciò da disattendersi.

La regolazione delle spese di lite per questo grado segue il criterio della soccombenza.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso. Condanna l’Agenzia ricorrente alla rifusione delle spese di lite che si liquidano, per questo grado, in Euro 2.200,00 di cui Euro 2.000,00 per onorario ed il resto per esborsi, oltre accessori di legge; per i precedenti gradi in Euro 1.800,00 per ciascun grado, di cui Euro 1.200,00 per onorario ed il resto per diritti, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 24 giugno 2011

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