Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13925 del 06/07/2020

Cassazione civile sez. I, 06/07/2020, (ud. 13/12/2019, dep. 06/07/2020), n.13925

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24639/2015 proposto da:

B.S., in proprio e quale legale rappresentante della

Moviter s.r.l. e della Edilpiemonte s.r.l., elettivamente

domiciliato in Roma, Via Germanico n. 172, presso lo studio

dell’avvocato Panici Pier Luigi, rappresentato e difeso

dall’avvocato Di Ciollo Francesco, giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Unicredit Crediti Management Bank S.p.a., incorporante Aspra Finance

S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Via D. Chelini n. 5, presso lo

studio dell’avvocato Veroni Fabio, rappresentata e difesa

dall’avvocato Padelli Filippo, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2546/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 22/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza dei

13/12/2019 dal cons. Dott. SOLAINI LUCA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale CAPASSO

LUCIO, che ha concluso per l’inammissibilità o comunque il rigetto

del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La società Moviter srl, quale debitore principale e B.S. in proprio e là società Edilpiemonte srl quali fideiussori, convenivano in giudizio davanti al Tribunale di Latina, la Banca di Roma per opporsi al decreto ingiuntivo emesso dal predetto Tribunale, in favore di quest’ultima, per il pagamento dell’importo di Euro 448.434,19, oltre interessi dall’insorgenza del credito al soddisfo, per debito nascente da una scopertura di conto corrente, giusta certificazione ex art. 50 TUB emessa dal predetto Istituto di credito.

A supporto delle proprie ragioni, gli ingiunti deducevano, per quanto ancora d’interesse nella presente controversia, l’inesistenza del credito vantato dalla banca e di cui ai decreto ingiuntivo, posto che al rapporto-bancario in esame erano stati applicati interessi non dovuti, con illegittima applicazione della capitalizzazione trimestrale anatocistica e con illegittimo conteggio delle commissioni di massimo scoperto. Deducevano, altresì, che la banca aveva ingiustificatamente revocato gli affidamenti e chiedevano, in via riconvenzionale, il risarcimento dei danni conseguenti. Nella resistenza della banca, il Tribunale di Latina accoglieva parzialmente l’opposizione, escludendo la capitalizzazione trimestrale – sostituita dalla capitalizzazione annuale – degli interessi e delle commissioni di massimo scoperto (ritenendo irrilevante che tale illegittimità non fosse stata contestata nel corso del rapporto). Respingeva, inoltre, la domanda riconvenzionale, proposta dagli opponenti, di risarcimento dei danni conseguenti all’illegittima revoca degli affidamenti, ritenendo legittimo e corretto il recesso della banca.

Gli opponenti proponevano appello, lamentando l’omessa valutazione delle prove documentali prodotte, afferenti all’inadempimento contrattuale della banca, e deducevano l’inutilizzabilità della consulenza tecnica d’ufficio disposta in primo grado senza disporne la rinnovazione, e prospettando la nullità della capitalizzazione trimestrale degli interessi e delle commissioni di massimo scoperto. La Corte d’Appello ha dichiarato inammissibili, per quanto ancora d’interesse, tutti i quattro motivi dell’appello principale delle parti debitrici.

Quanto al prima motivo la Corte ha osservato che la doglianza concernente la mancata considerazione di documentazione prodotta, poichè non rinvenuta nel fascicolo di parte, mancava di qualsiasi specifico riferimento al contenuto dei documenti che il tribunale non avrebbe considerato e alle ricadute che la loro retta considerazione avrebbe prodotto sull’esito del giudizio; dunque, la censura non presentava il requisito, della specificità, ex art. 342 c.p.c. Nè l’assunto secondo cui dalla non meglio identificata documentazione sarebbe emerso l’inadempimento, della banca, nella revoca dell’affidamento, era idoneo a scardinare la motivazione della decisione di primo grado, secondo cui – premessa la legittimità del recesso della banca, ove pattiziamente concordato come nella specie, con il solo limite della buona fede avuto riguardo al grado di solvibilità del cliente – nella specie appunto l’esposizione debitoria della debitrice principale era grave e la banca aveva chiesto al cliente, senza esito, di presentare un piano di rientro. Nell’atto di appello, infatti, non era neppure posta in discussione la sussistenza di tale grave esposizione debitoria e la mancata risposta alla richiesta di un piano di rientro, ma ci si limitava ad evidenziare l’ampiezza delle garanzie offerte, confondendo dunque la solvibilità con la garanzia, quasi che alla banca sia dunque inibito il recesso da un affidamento sol che questo sia garantito.

Quanto al secondo motivo, la Corte ha osservato, che parte appellante lamentava, che il tribunale non avesse esteso l’indagine tecnica ad altri conti correnti, diversi da quelli il cui saldo era preteso in giudizio, accesi presso la banca appellata; e tuttavia, l’atto di appello – non indicava neppure quali fossero tali conti, nè per quale ragione gli interessati non li avessero prodotti e ne avessero invece chiesto l’acquisizione al, tribunale, sicchè la richiesta si risolveva nella sollecitazione di una indagine puramente, esplorativa.

Quanto al terzo motivo di appello, la Corte ha escluso, la sussistenza del presupposto della soccombenza dell’appellante sul capo oggetto di censura, con la quale veniva riproposta la tesi della illegittimità della clausola di capitalizzazione, trimestrale, che invece era stata accolta dal tribunale. Questo infatti, aveva appunto dichiarato illegittima la capitalizzazione trimestrale, determinando gli interessi non dovuti, per tale ragione, in Euro 76.871,66, Euro 1.004,17 ed Euro 6.807,86 per ciascuno dei conti correnti oggetto di causa. Quanto al quarto motivo d’appello, la Corte ha escluso che gli opponenti si fossero doluti, davanti al tribunale, dell’applicazione di commissioni di massimo scoperto da parte della banca; il tribunale aveva poi ritenuto che anche tali commissioni dovessero essere computate nella capitalizzazione trimestrale, contrariamente a quanto sostenuto dalla banca. Conseguentemente, il motivo di appello, nella parte relativa all’applicazione della commissione di massimo scoperto nel calcolo della capitalizzazione, era inammissibile per mancanza di soccombenza; nella, parte in cui, invece, si sosteneva la nullità della clausola recante la commissione di massimo scoperto, si trattava di questione nuova, con conseguente applicazione, almeno in linea di principio, dell’art. 345 c.p.c. E’ pur vero, poi, che la nullità è rilevabile anche d’ufficio; senonchè la tesi della nullità della clausola in questione per difetto di causa è destituita di fondamento, ove si consideri che il D.L. 29 gennaio 2008, n. 185, art. 2 bis conv. con modif. in L. 28 gennaio 2009, n. 2, ancorchè applicabile solo ai fatti successivi, riconosce la validità della clausola a condizione che essa sia convenientemente circoscritta e precisata. Nè sarebbe possibile, in concreto, un rilievo officioso della nullità per indeterminatezza dell’oggetto, non essendo dedotti i fatti a base di tale indeterminatezza ed apparendo viceversa la clausola sufficientemente determinata, tanto è vero che il CTU non ha avuto difficoltà a scorporare dall’importo a debito di Moviter quanto derivante dalla capitalizzazione trimestrale di detta commissione.

La società Moviter srl, quale debitrice principale, e B.S. in proprio e la società Edilpiemonte srl, quali fideiussori, ricorrono ora per cassazione sulla base di cinque motivi, illustrati da memoria, mentre la banca resiste con controricorso, anch’esso illustrato da memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

In via preliminare, va disattesa l’eccezione del controricorrente di tardività del ricorso, perchè notificato oltre il termine di sessanta giorni dalla notifica della sentenza d’appello, per il decorso del termine breve d’impugnazione, ex artt. 325-326 c.p.c., in quanto manca in atti la copia della sentenza notificata con le relate di notifica necessarie, al fine di mettere questa Corte in condizione di verificare la fondatezza dell’eccezione.

Con il primo motivo, i ricorrenti deducono il vizio di violazione di legge, in particolare degli artt. 337 e 342 c.p.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, in particolare, gli stessi censurano la declaratoria di inammissibilità del primo motivo di appello, osservando che i documenti di cui trattasi erano puntualmente elencati nell’indice allegato al fascicolo di primo grado e sostenendo, con vari argomenti di fatto, l’infondatezza del giudizio di insolvibilità della Moviter.

Il motivo è infondato quanto alla prima osservazione, considerato che dalla stessa trascrizione del motivo di appello contenuta nel ricorso per cassazione emerge come non fosse stata data, in realtà., alcuna indicazione sul contenuto dei documenti di cui trattasi, nè sulle ragioni della loro rilevanza in giudizio; il motivo, è inammissibile quanto alla seconda parte, con cui si censura il giudizio di non solvibilità della debitrice principale, in quanto vengono articolate critiche di puro merito.

Con il secondo motivo, viene prospettato sia il vizio di violazione di legge, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 sia il vizio di omessa motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, con riguardo alla declaratoria d’inammissibilità del secondo motivo d’appello, in particolare, i ricorrenti osservano che la indicazione dei conti correnti da acquisire, benchè non specificata nello svolgimento del motivo d’appello, era tuttavia contenuta nella parte narrativa dell’atto di appello stesso, alle pagg. 14-15, ove si osservava che i rapporti di c/c stipulati con la Banca di Roma, Ag. di (OMISSIS), con concessione di fido erano contraddistinti con i seguenti c/c nn. (OMISSIS)”.

Il motivo è infondato. Anche a prescindere dalla difficoltà di collegare la generica indicazione dei rapporti di conto corrente, contenuta nella illustrazione del motivo d’appello” con la elencazione di cui sopra, contenuta nella parte narrativa dell’atto di gravame, resta il fatto che la pur diffusa illustrazione del motivo di ricorso per cassazione e del motivo d’appello, in esso trascritto, non è idonea a superare (a qualificazione come meramente esplorativa – nel che si sostanzia la ratio decidendi della declaratoria d’inammissibilità del motivo in questione – attribuita dalla Córte d’appello alla richiesta di integrazione dell’indagine tecnica. Da. tale illustrazione, infatti, non emergono le precise ragioni per cui l’indagine sugli altri conti correnti avrebbe, prodotto effetti sull’accertamento relativo ai conti oggetto del decreto ingiuntivo o sulla domanda riconvenzionale degli opponenti.

Con il terzo motivo, i ricorrenti lamentano il vizio di violazione di legge, in ordirle al principio di legittimazione ad impugnare per soccombenza pratica, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è ciò censurando la declaratoria di inammissibilità del terzo motivo di appello, essi osservano, infatti, che la Corte d’appello non ha colto che, mentre il tribunale aveva escluso la capitalizzazione trimestrale applicando però quella annuale, con il predetto motivo: d’appello era stata chiesta l’eliminazione, altresì, della capitalizzazione annuale degli interessi, parimenti nulla secondo la giurisprudenza prevalente.

Il motivo è fondato, perchè effettivamente dal testo del motivo di appello, riprodotto nel ricorso risulta che la questione dell’esclusione della capitalizzazione annuale e di qualsiasi forma di capitalizzazione degli interessi era stata posta, sicchè non poteva dirsi che difettasse il requisito della soccombenza sulla domanda relativa all’anatocismo, considerata l’ampiezza delle conclusioni rassegnate nell’atto di opposizione in punto d’interessi (“dichiarare l’illegittimità e/o illiceità degli interessi fino ad ora percepiti dalla Banca di Roma”) e la rilevabilità d’ufficio, del resto, della nullità contrattuale. Con il quarto motivo, i ricorrenti denunciano il vizio di violazione di legge, in ordine al principio sancito dall’art. 345″;c.p.c. in quanto, erroneamente, la Corte d’appello aveva ritenuto inammissibile il quarto motivo d’appello, riguardo all’illegittimità degli oneri addebitati dalla banca relativi alle commissioni di massimo scoperto.

Il motivo è inammissibile.

Esso è così strutturato: si riporta il testo della sentenza impugnata in parte qua, quindi si riporta il testo del quarto motivo di appello; successivamente, l’ricorrenti svolgono una serie di considerazioni attinenti al tema – del tutto, estraneo alle statuizioni della Corte d’appello che sono oggetto di ricorso – del computo della commissione di massimo scoperto al fine dell’accertamento del superamento del tasso soglia dell’usura come determinato in base alle disposizioni di cui alla, L. n. 108 del 1996, nonchè alla fine, vengono svolte considerazioni in generale sulla nullità, per difetto di causa, di tale commissione. Nella articolazione del motivo manca qualsiasi specifico collegamento tra quanto statuito nella sentenza impugnata, quanto dedotto con il motivo d’appello e, soprattutto, le, ulteriori, considerazioni dei ricorrenti. Inoltre, la prima parte di queste ultime, relative, come si è visto, al tema dell’usura presunta, è inammissibile altresì per difetto di attinenza con la ratio della decisione impugnata; la seconda parte, infine, in. cui si sostiene in generale la nullità per difeuo di causa della commissione di massimo scoperto, è altresì inammissibile per genericità, non essendo specificato in cosa, esattamente, nella specie, consistesse la pattuizione e l’applicazione di tale commissione priva, com’è noto, di tipicità legale ed esprimentesi, nella pratica, in plurime varianti.

Il quinto motivo riguarda le spese processuali ed è perciò assorbito per effetto dell’accoglimento del terzo motivo. In conclusione, la sentenza impugnata va cassata, in accoglimento del terzo motivo di ricorso, con rinvio al giudice indicato in dispositivo, il quale prenderà in esame la questione della nullità della capitalizzazione annuale degli interessi e provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Accoglie il terzo motivo di ricorso, rigettato il primo e secondo e dichiarato inammissibile il quarto con assorbimento de quinto. Cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia, anche,per le spese del presente giudizio di legittimità, alla corte d’Appello di Roma, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 13 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2020

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