Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13924 del 24/06/2011

Cassazione civile sez. trib., 24/06/2011, (ud. 15/03/2011, dep. 24/06/2011), n.13924

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 30872/2006 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12 presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

MAGLIFICIO ITES SRL;

– intimato –

avverso la sentenza n. 83/2005 della COMM. TRIB. REG. di FIRENZE,

depositata il 24/09/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

15/03/2011 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha chiesto il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’Ufficio II.DD. di Pistoia emise a carico della società Maglificio ITES srl un avviso di accertamento dei redditi per l’anno di imposta 1992; tale accertamento derivava da una verifica generale eseguito su altra società, la Gian Renè Pronto Moda, dalla quale sarebbero emerse operazioni commerciali non contabilizzate tra le due società.

In particolare, l’Ufficio – confrontando il numero di maglie fisicamente riscontrate nel magazzino della Gian Renè Pronto Moda con il numero che sarebbe dovuto risultare aggiungendo alla rimanenza a inizio 1992 (pari a zero, secondo le risultanze dal libo inventari) la differenza tra gli acquisti e le vendite documentati da fatture – aveva dedotto che nel 1992 la ditta sottoposta a verifica aveva acquistato 1.458 maglie dalla ITES. L’avviso fu impugnato dalla ITES e venne quindi annullato dai giudici tributar in primo e in secondo grado; in particolare, la Commissione Tributaria Regionale ritenne il ragionamento induttivo dell’Ufficio meno convincente di quello, alternativo, proposto dalla contribuente, la quale sosteneva che, partendo dalla rimanenza fisicamente riscontrate in sede ispettiva, si sarebbe dovuto procedere a ritroso, conteggiando le vendite e gli acquisti contabilizzati e, così, pervenire a correggere il dato delle rimanenza a inizio 1992, che doveva presumersi iscritto erroneamente nel libro inventari, anche in considerazione della inverosimiglianza di una rimanenza “zero” a inizio esercizio.

L’Agenzia ricorre per cassazione contro la sentenza della Commissione Tributaria Regionale, sulla scorta di un unico complesso motivo, denunciando l’illogica e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia e la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 39 e 40 e art. 2709 c.c., e, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

La Maglificio ITES srl non ha depositato controricorso.

Il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 15.3.011 in cui il PG ha concluso come in epigrafe.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

La ricorrente censura la sentenza impugnata per avere illogicamente considerato il ragionamento induttivo della contribuente – che si fonda sull’ipotesi di un errore nelle scritture (libro inventario) del terzo Gian Renè Pronto Moda – più attendibile del ragionamento induttivo dell’Amministrazione, che si fonda sulle risultanze di tali scritture.

In particolare, l’Ufficio era pervenuto all’accertamento nei confronti della ITES sulla scorta delle seguenti osservazioni:

1) nel libro inventario della Gian Renè Pronto Moda risultava annotata all’1.1.92 una rimanenza di maglie pari a zero;

2) gli acquisti di maglie documentati con fattura erano pari a 2.400 e le vendite di maglie documentate con fattura erano pari a 2.209;

3) al momento della verifica si sarebbero dunque dovute rinvenire in giacenza maglie in numero di (2.400-2.209 =) 191;

4) in effetti i militari della Guardia di Finanza accertarono una giacenza fisica di maglie in numero di 1.649.

Da tali risultanze ispettive l’Ufficio ha tratto la deduzione che la differenza tra il numero di maglie presenti fisicamente nel magazzino al momento della verifica (1.649) e il numero di maglie corrispondente al saldo tra acquisti e vendite fatturale (191), si giustificasse, partendo da una giacenza “zero” a inizio esercizio, solo ipotizzando che la Gian Renè Pronto Moda avesse acquistato senza fatturazione maglie dalla ITES, in numero di (1.649-191=) 1.458. Da ciò la conclusione dell’addebito alla ITES dell’omessa fatturazione per 1.458 maglie.

La ITES, nel giudizio di impugnazione dell’avviso di accertamento, ha sostenuto che la differenza tra il numero di maglie presenti fisicamente nel magazzino della Gian Renè Pronto Moda al momento della verifica e il numero di maglie corrispondente alla differenza tra acquisti e vendite fatturale poteva giustificarsi ipotizzando che la giacenza di maglie a inizio esercizio non fosse “zero”, come riportato nel libro inventario, ma 1.458; in sostanza la contribuente contrapponeva all’ipotesi dell’acquisto dalla ITES di 1.458 maglie non fatturate, sostenuta dall’Ufficio, l’ipotesi della mancata registrazione della giacenza di 1.458 maglie alla data dell’1.1.92 nel libro inventario della Gian Renè Pronto Moda.

La Commissione Tributaria Regionale ha ritenuto più convincente l’ipotesi ricoslruttiva della difesa ITES, argomentando come tale ipotesi, partendo dal dato certo delle rimanenze fisiche rilevate dalla Guardia di Finanza all’atto della verifica presso la Società Gian Renè Pronto Moda, si basi sull’integrazione di tale dato, in un percorso a ritroso, con la somma algebrica degli acquisti e delle vendite del periodo anteriore; per contro, il calcolo dell’Ufficio si fonderebbe su un dato – il “saldo zero” delle rimanenze risultanti dal libro inventari della società verificata – privo di valore probatorio nei confronti della ITES. La difesa erariale censura il ragionamento della Commissione Tributaria Regionale assumendo, per un verso, che esso sarebbe illogico (“non si comprende come il giudice d’appello consideri più convincente l’operazione proposta dal ricorrente rispetto a quella avanzata dall’Amministrazione, partendo entrambi da elementi certi riscontrati presso la società che ha acquistato la merce dalla ricorrente” pag. 3, righi 12-15 del ricorso) e, per altro verso, che esso contrasterebbe col principio, desumibile dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, secondo cui nella prova per presunzioni è sufficiente che il fatto da dimostrare derivi come conseguenza del fatto noto, ricavabile anche dalle scritture contabili di un terzo, alla stregua dei canoni di ragionevole probabilità. Per la ricorrente, quindi, l’avviso di accertamento dovrebbe giudicarsi legittimo, non avendo la contribuente contrastato il ragionamento dell’Ufficio in modo logico e razionale, ma avendo a tale ragionamento contrapposto un diverso ragionamento basato sull’ipotesi, non supportata da alcuna prova, di un errore nelle risultanze del libro inventano della Gian Renè Pronto Moda.

Osserva la Corte che il ricorso della difesa erariale, ancorchè intitolato sia al vizio di motivazione che alla violazione di legge, di fatto non contiene alcuna censura in diritto della sentenza impugnata, giacchè in tale sentenza non si riviene alcuna statuizione contrastante con il principio di diritto che la ricorrente chiede alla Corte di affermare (pag. 5, righi 1-5, del ricorso), ossia il principio secondo cui, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, nella prova per presunzioni è sufficiente che il fallo da dimostrare derivi come conseguenza del fatto noto, ricavabile anche dalle scritture contabili di un terzo, alla stregua di canoni di ragionevole probabilità.

L’Agenzia contesta in sostanza la congruità e logicità dell’apprezzamento di fatto operato dalla Commissione Tributaria Regionale, laddove essa – preso atto della discrepanza tra le giacenze contabili e le giacenze effettive di maglie presso la società Gian Renè Pronto Moda – ha ritenuto che delle due spiegazioni astrattamente ipotizzargli per giustificare tale discrepanza fosse più persuasiva quella della contribuente, basata sull’ipotesi di un errore nelle registrazioni del libro inventario della Gian Renè Pronto Moda, che quella dell’Ufficio, basata sulla ipotesi di vendile non fatturate di maglie dalla ITES alla Gian Renè Pronto Moda. Ma la critica della ricorrente non individua effettivi punti di illogicità o contraddittorietà della motivazione della sentenza gravata, limitandosi, invece, a riproporre in sede di legittimità le medesime argomentazioni svolte dall’Ufficio davanti ai giudici di merito. La difesa erariale in sostanza, con le sue argomentazioni, non evidenzia vizi del percorso di formazione del convincimento del giudice di merito, ma chiede alla Corte di cassazione di formulare un giudizio di fatto diverso da quello formulato da quel giudice. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.

Si veda, per l’affermazione dell’inammissibilità de ricorso per cassazione che risulti fondato su motivi che impingono nel merito della controversia, da ultimo, Cass. 7394/2010: “E’ inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con il quale la sentenza impugnata venga censurata per vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, qualora esso intenda far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice al diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, prospetti un preteso migliore e più appagante coordinamento dei dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito di discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della disposizione citata. In caso contrario, infatti, tale motivo di ricorso si risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, e perciò in una richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione. (Nella specie la S.C., in controversia concernente l’impugnativa di un licenziamento per giustificato motivo aggettivo, ha ritenuto che non fosse configurabile la censura per vizio di motivazione della decisione nella prospettazione di una diversa lettura delle risultanze istruttorie dalle quali sarebbe emerso che il datore di lavoro avrebbe dovuto adibire il lavoratore licenziato a differenti mansioni nell’ambito dell’azienda)”; si vedano, tra le tante conformi, le sentenze 15693/2004, 17076/2007, 6064/2008.

Non vi è luogo a regolazione di spese, in mancanza di costituzione dell’intimata.

P.Q.M.

la Corte, dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 24 giugno 2011

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