Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13923 del 06/07/2020

Cassazione civile sez. I, 06/07/2020, (ud. 13/12/2019, dep. 06/07/2020), n.13923

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15366/2015 proposto da:

M.F., elettivamente domiciliato in Roma, Via della Vite n.

32, presso lo studio dell’avvocato Da Riva Grechi Francesco, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Griffo Giuseppe,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Banca Popolare di Milano S.c.ar.l., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via

Pompeo Magno n. 3, presso lo studio dell’avvocato Gianni Saverio,

rappresentata e difesa dall’avvocato Rescigno Matteo, giusta procura

a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4608/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 19/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/12/2019 dal cons. Dott. SOLAINI LUCA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale CAPASSO

LUCIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato Giuseppe Griffo che ha chiesto

l’accoglimento;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato Saverio Gianni che ha

chiesto il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

M.F. conveniva in giudizio, davanti al Tribunale di Milano, la Banca Popolare di Milano scarl (in seguito BPM), chiedendo l’annullamento delle operazioni d’intermediazione finanziaria poste in essere dalla Banca senza autorizzazione con riferimento sia a titoli quotati in mercati regolamentati che a prodotti finanziari c.d. derivati e la condanna a risarcimento dei danni conseguenti. Si costituiva, la banca, che oltre a resistere all’azione spiegava domanda riconvenzionale di condanna al pagamento dei saldi passivi dei conti correnti oggetto di controversia, pari all’importo di Euro 1.183.011,13, oltre eventuali altri oneri, interessi e spese.

Il tribunale all’esito de giudizio di querela di falso, positivamente esperito su buona parte delle sottoscrizioni degli ordini d’investimento prodotti dalla banca (31 firme su un totale di 37) e dell’espletamento di CTU contabile, ha concluso per il parziale accoglimento della domanda riconvenzionale proposta da BPM nei confronti de M., eri operata a compensazione con il credito risarcitorio riconosciuto in capo a quest’ultimo, condannava l’attore a pagare alla banca convenuta la somma complessiva di Euro 1.469.627,29, oltre interessi convenzionali dal 30.4.2011 al saldo. In particolare, il giudice di primo grado teneva conto sia della dichiarazione di falsità delle sottoscrizioni apposte su 31 ordini d’investimento e la genuinità delle sottoscrizioni apposte su tutti gli altri ordini prodotti in giudizio dalla banca, sia della tardività delle domande, volte ad ottenere l’annullamento dei rapporti contrattuali inter partes e a censurare il contratto di conto corrente e di fido che erano state proposte dal M., solo in sede di precisazione delle conclusioni.

Veniva proposto gravame da entrambe le parti e la Corte d’appello accoglieva l’appello incidentale della BPM e respingeva l’appello principale del M.. condannando quest’ultimo a pagare a BPM la somma di Euro 2.731.154.29, oltre interessi convenzionali dal 30.4.2011 al saldo.

La sentenza è motivata come segue:

– non vi è spazio per L’applicazione dell’onere della prova di aver agito, secondo la diligenza richiesta, gravante sull’intermediario, ai sensi dell’art. 23, u.c. TUF, in quanto l’attore non aveva ottemperato al preliminare onere di allegazione, avendo solo genericamente allegato la violazione, degli obblighi di comportamento da parte della banca; inoltre, “per quanto riguarda la domanda di risarcimento del danno conseguente alla nullità di operazioni di investimento non autorizzate dall’attore, il richiamo all’art. 23 TUF non appare pertinente, in quanto tale norma trova applicazione soltanto nei giudizi di risarcimento dei danni da inadempimento.

contrattuale delle obbligazioni poste a carico degli intermediari finanziari”;

– è infondata la deduzione di nullità di tutte le operazioni finanziarie poste in essere per difetto di forma scritta ad susbantiam, ex art. 31 Reg. CONSOB 11522/1998, atteso che tale forma è prevista soltanto per il contratto quadro e non per i singoli ordini emessi in esecuzione di esso;

– attesa la genericità delle allegazioni dell’attore nell’atto introduttivo della lite, è corretta la statuizione del tribunale che – ritenendo specificata la domanda soltanto mediante la proposizione di querela di falso incidentale in ordine alla sottoscrizione degli ordini prodotti in giudizio dalla convenuta – ha delimitato l’oggetto del giudizio all’esame delle sole operazioni di investimento impugnate con la predetta querela;

– attesa ancora una volta la genericità delle allegazioni dell’attore, la regola del già richiamato art. 23 TUF quanto all’onere probatorio non può essere applicata neppure con riguardo alle operazioni in derivati citate dall’attore;

– pertanto, l’appello principale è da rigettare;

– invece, è da accogliere l’appello incidentale della banca, riguardante l’accoglimento della domanda risarcitoria dell’investitore con riferimento a 31 ordini d’investimento recanti la sua firma apocrifa, che tuttavia, la banca giustifica con l’emissione comunque di ordini verbali successivamente trascritti dal suo funzionario;

– infatti, attesa la non necessità della forma scritta degli ordini di investimento, la sola falsità della sottoscrizione non è sufficiente ad escludere l’esistenza e validità degli ordini in questione, la maggior parte dei quali impartiti nella prima metà dell’anno 2000, allorchè, per espressa ammissione dell’attore nell’atto introduttivo del giudizio, tutte le operazioni finanziarie erano state da lui regolarmente ordinate; inoltre, la versione dell’appellante incidentale trova riscontro nel fatto che il cliente aveva ricevuto regolarmente sia i fissati bollati relativi alle operazioni eseguite, nonchè gli estratti del conto corrente e non aveva sollevato contestazioni. M.F. ricorre per cassazione contro la predetta sentenza della Corte milanese affidando l’impugnazione a cinque motivi, illustrati da memoria. Resiste con controricorso, illustrato da memoria, la banca convenuta.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, il ricorrente deduce il vizio di omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e precisamente: a) che ben 31 dei 37 ordini di acquisto di titoli azionari erano stati dichiarati falsi dal tribunale con statuizione non impugnata; b) che gli ulteriori 48 ordini di acquisto/vendita di titoli azionari, prodotti dalla banca, erano stati dal CTU ritenuti “di scarso valore per il basso contenuto di informazioni intellegibili e oltretutto non verificabili nel conto corrente di riferimento e statisticamente insufficienti per fare considerazioni di natura tecnica”; c) che dalla CTU contabile è emersa l’impossibilità di “riconciliare le movimentazioni relative ai titoli derivati con gli estratti conto e gli ordini di acquisto e vendita prodotti agli atti”. Con il secondo motivo, il ricorrente prospetta il vizio di violazione di legge, in particolare, dell’art. 23 TUF, in riferimento agli artt. 21, 28, 29 e 31 reg. Consob 11522/98, e degli artt. 2697 e 1832 c.c., in quanto: a) la mancata contestazione degli estratti conto e dei fissati bollati non impedisce la successiva formulazione di censure in giudizio circa la validità ed efficacia dei rapporti sottostanti; b) il requisito della forma scritta previsto dall’art. 23 TUF si applica a tutti i contratti relativi alle prestazioni d’investimento, tra cui rientrano gli ordini di acquisto di valori mobiliari ai sensi dell’art. comma 1, lett. e) TUF e non solo al contratto quadro; c) è erronea la statuizione della Corte territoriale secondo cui l’art. 23, u.c. TUF trova applicazione soltanto nei giudizi risarcitoti, ed, inoltre, la medesima Corte non si era avveduta che nella specie, tale domanda era stata effettivamente proposta per violazione degli obblighi di diligenza nella prestazione dei servizi d’investimento finanziario, con la richiesta di condanna al risarcimento dei danni subiti; d) che quand’anche il ricorrente avesse autorizzato le operazioni effettuate dall’intermediaria per suo conto fino a tutto il 2000, ciò non gli avrebbe comunque potuto impedire di denunciare la violazione degli obblighi di diligenza da parte della banca e di pretendere il conseguente risarcimento.

Con il terzo motivo, il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 23 TUF, nonchè dell’art. 31 reg. Consob n. 11522/98 e dell’art. 1352 c.c.. Propone la tesi dell’estensione del requisito della forma scritta anche agli ordini impartiti in esecuzione del contratto-quadro, e sostiene che, comunque, nella specie anche il contratto quadro prevedeva tale requisito per gli ordini.

Con il quarto motivo, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 21 TUF, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè erroneamente, la Corte d’appello non aveva ritenuto che la banca fosse tenuta a risarcire il danno, una volta accertato l’inadempimento ai sensi della norma di cui alla rubrica, in riferimento ad anche solo una parte delle operazioni poste poste in essere banca.

Con il quinto motivo il ricorrente censura la violazione dell’art. 21 TUF. in combinato con gli artt. 26, 27, 28, 29 e 31 reg. Consob n. 11522/98. La censura ha per oggetto la responsabilità della banca per le operazioni su derivati, esclusa dalla Corte d’appello a causa della genericità dall’attore che sostiene in questa sede che quanto all’assunta genericità delle sue allegazioni “sarà sufficiente rinviare a quanto già in precedenza esposto” ed osserva, quindi, che le operazioni di cui trattasi erano prive di qualsivoglia documentazione, indicando una serie di violazioni dei propri obblighi che sarebbero state commesse dall’intermediaria.

Il primo motivo è infondato, quanto al fatto sub a) in quanto la Corte d’appello non ne ha omesso l’esame, ma ha trattato dei 31 ordini d’investimento con firma apocrifa, nell’ambito dell’esame del motivo d’appello incidentale, ritenendolo superabile alla luce di una valutazione “integrata” delle risultanze istruttorie; il motivo è, invece, inammissibile, quanto ai fatti sub b) e c), in quanto non ne è stata argomentata la decisività, se non con considerazioni generiche e non concludenti.

Il secondo motivo è inammissibile, quanto ai profili sub a) e d) in quanto la Corte d’appello (richiamando la pronuncia di primo grado) ha” accertato che l’attore aveva solo genericamente allegato, la violazione degli obblighi di comportamento imposti agli intermediari finanziari, ma non aveva chiarito in cosa si sarebbe articolata la condotta inadempiente, al di là dell’esecuzione di ordini con firma dell’attore contraffatta; il profilo sub b) è infondato, – atteso che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la forma scritta, a pena di nullità, per contratti relativi alla prestazione di servizi di investimento, si riferisce ai soli contratti quadro e non ai singoli ordini di investimento (o disinvestimento) che vengano poi impartiti dal cliente all’intermediario la cui validità non è invece soggetta a requisiti formali, salvo diversa previsione dello stesso contratto quadro (v. Cass. n. 19759/17); il profilo sub c) è inammissibile, perchè incidente su un passaggio della motivazione attinente alla domanda di nullità delle operazioni di investimento (in quanto, non autorizzate), non già a quella – richiamata dal ricorrente – di risarcimento per violazione degli obblighi di comportamento dell’intermediario.

Il terzo motivo è infondato per quanto riguarda la necessità della forma scritta per i singoli ordini di investimento (secondo Cass. n. 19759/17 citata) mentre è inammissibile, nella seconda parte, perchè presuppone accertamenti di fatto (le previsioni del contratto quadro in punto di forma degli ordini di investimento) non contenuti nella sentenza impugnata e che non sono eseguibili in sede di legittimità.

Il quarto motivo è inammissibile, perchè la Corte d’appello non ha affatto accertato la violazione degli obblighi gravanti sulla banca ai sensi dell’art. 21 cit., data la genericità delle allegazioni dell’attore, per una parte, e data, per il resto, l’accertata insussistenza di operazioni, non autorizzate denunciate dall’attore.

Il quinto motivo è inammissibile, perchè, la ratio della decisione della Corte territoriale a proposito dei derivati, consiste nella genericità dell’allegazione dell’attore, ed è censurata in maniera del tutto generica, ossia mediante il rinvio a precedenti specificazioni della domanda, che in realtà non sono affatto contenute nel ricorso.

Il ricorso va, quindi, rigettato e le spese di lite seguono la soccombenza e sono e sono liquidate come in dispositivo.

PQM

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente a pagare alla Banca popolare di Milano scarl, in persona del legale rappresentante pt, le spese del giudizio di legittimità che liquida nell’importo di Euro 18.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre il 15% per spese generali, oltre accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ove dovuto, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello corrisposto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 13 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2020

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