Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13922 del 05/06/2017

Cassazione civile, sez. lav., 05/06/2017, (ud. 31/01/2017, dep.05/06/2017),  n. 13922

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27597-2015 proposto da:

B.G. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA FILIPPO NICOLA’ 22, presso lo studio dell’avvocato MARCO

CERICHELLI, rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCO BOLDRINI,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

ARCO SPEDIZIONI S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

BANCO DI S. SPIRITO, 48, presso lo studio dell’avvocato AUGUSTO

D’OTTAVI, rappresentata e difesa dall’avvocato ROBERTO SCISCA,

giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 245/2015 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 25/09/2015 R.G.N. 440/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

31/01/2017 dal Consigliere Dott. SPENA FRANCESCA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO PAOLA che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato FRANCO BOLDRINI;

udito l’Avvocato ROBERTO SCISCA.

Fatto

FATTI DEL PROCESSO

Con ricorso al Tribunale di Ancona L. n. 92 del 2012, ex art. 1, comma 48, B.G. impugnava il licenziamento disciplinare intimatogli in data 27 febbraio 2014 da ARCO SPEDIZIONI spa, per avere diffuso notizie diffamatorie e lesive dell’immagine della società concorrente ARTONI TRASPORTI spa, fatto di cui era stato era stato chiamato a rispondere civilmente il datore di lavoro; deduceva la assenza della giusta causa, anche sotto il profilo del difetto di proporzionalità.

Il Tribunale di Ancona accoglieva la domanda con ordinanza del 7.8.2014; con sentenza del 6 luglio 2015 (nr. 338/2015) respingeva la opposizione introdotta da ARCO SPEDIZIONI spa.

La Corte d’appello di ANCONA, con sentenza del 24-25.9.2015 (nr. 440/2015), accoglieva il reclamo di ARCO SPEDIZIONI spa e per l’effetto, in riforma della pronunzia del primo grado, rigettava la domanda originaria.

Per quanto rileva in causa, la Corte territoriale osservava che le due contestazioni disciplinari in questione addebitavano al dipendente la divulgazione presso i clienti della società concorrente ARTONI TRASPORTI spa del contenuto di una mail riservata, interna e strettamente confidenziale, inviatagli dal direttore commerciale della ARCO SPEDIZIONI, sig. A.M., che indicava una strategia commerciale di incremento della clientela.

Le giustificazioni dell’incolpato, che aveva affermato di ritenersi autorizzato alla divulgazione, costituivano un travisamento dei contenuti e della finalità della comunicazione ricevuta dal direttore commerciale.

La iniziativa, intenzionale, arbitraria e non autorizzata era contraria alle regole della correttezza commerciale e pregiudizievole della immagine del datore di lavoro; sussisteva la irreversibile lesione del vincolo fiduciario, indipendentemente dalla previsione della condotta tra le ipotesi sanzionabili con il licenziamento a tenore dell’art. 32 CCNL, la cui elencazione aveva carattere esemplificativo.

Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza B.G., articolato in sei motivi, illustrati con memoria.

Ha resistito con controricorso la società ARCO SPEDIZIONI spa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente ha dedotto violazione e falsa applicazione degli artt. 1324,1362,1366 e 1370 c.c..

Ha assunto che la Corte di merito aveva recepito le difese del datore di lavoro senza rilevarne la diversità rispetto al fatto contestato nella sede disciplinare.

La interpretazione dei contenuti della contestazione disciplinare era comunque affetta dal vizio di violazione dell’art. 1362 c.c., in quanto nelle due comunicazioni gli veniva addebitata la diffusione non autorizzata di notizie tratte dal sito internet dell’organizzazione cobas e non già la divulgazione di una mail aziendale riservata.

Anche la seconda contestazione, che pur faceva seguito alle giustificazioni da lui fornite riguardo alla mail ricevuta dal direttore commerciale, restava formulata nei termini della prima.

Il criterio ermeneutico di cui all’art. 1366 c.c., imponeva di interpretare la contestazione tutelando il ragionevole affidamento del lavoratore circa i precisi comportamenti di cui era chiamato a rispondere. Da ultimo, in caso di dubbio, la Corte di merito avrebbe dovuto fare ricorso al criterio della interpretazione contro l’autore della clausola ex art. 1370 c.c., essendo la contestazione disciplinare un atto unilaterale.

2. Con il secondo motivo il ricorrente ha dedotto- ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, – violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7 e della L. 15 luglio 1996, n. 604, art. 2.

Ha denunziato che la valorizzazione in causa di una condotta del dipendente diversa da quella contestata nella sede disciplinare costituiva violazione del principio di immodificabilità della contestazione degli addebiti, come già dedotto nei propri scritti difensivi in replica alle difese di controparte (pagine 10-12 della comparsa di costituzione e risposta depositata in data 11.9.2015 nel grado di reclamo).

I due motivi, in quanto connessi, devono essere esaminati congiuntamente.

Gli stessi sono infondati.

La Corte di merito ha ritenuto essere oggetto di contestazione nella sede disciplinare la trasmissione non autorizzata ad 84 clienti della società concorrente ARTONI TRASPORTI spa di comunicazioni interne riservate, obiettivamente idonee a ledere l’immagine commerciale della ditta concorrente.

Tale interpretazione è conforme al tenore letterale delle contestazioni (trascritte nell’attuale ricorso), nelle quali l’addebito concerne con chiarezza il compimento di atti di concorrenza sleale non autorizzati, dei quali la società datrice di lavoro era stata poi chiamata a rispondere civilmente.

La circostanza che le notizie e le valutazioni trasmesse ai clienti del settore fossero state comunicate al B. dal direttore commerciale della ARCO SPEDIZIONI spa non muta i termini della contestazione; trattasi, piuttosto, di un argomento a difesa, che il lavoratore ha puntualmente fatto valere tanto nella sede disciplinare che in causa, il che costituisce ulteriore conferma della specificità della contestazione e della pienezza del contraddittorio sui fatti addebitati.

Non ricorre, pertanto, il denunziato vizio di violazione dei canoni di interpretazione dell’atto di contestazione nè, conseguentemente, del principio di immodificabilità in causa dei termini del fatto contestato.

3. Con il terzo motivo il B. ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, nullità della sentenza in relazione all’art. 112 c.p.c., per omesso esame della proposta eccezione di immodificabilità della contestazione degli addebiti.

Il ricorrente ha riprodotto in questa sede il contenuto della comparsa di costituzione depositata in sede di reclamo, nella parte in cui egli lamentava la allegazione in giudizio da parte del datore di lavoro di fatti diversi da quelli contestati.

Il motivo è infondato.

La eccezione proposta è stata infatti implicitamente rigettata dal giudice del reclamo, avendo la Corte di merito interpretato la prima lettera di addebito- (dando atto che la seconda si esprimeva negli stessi termini della prima) – in senso conforme alle difese sulla giusta causa del licenziamento allegate in giudizio dal datore di lavoro. Tale interpretazione ex se escludeva, dunque, la violazione della L. n. 300 del 1970, art. 7.

4. Con il quarto motivo il ricorrente ha dedotto- ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, nullità della sentenza in relazione all’art. 112 c.p.c., per omesso esame della questione di falsa applicazione dell’art. 2106 c.c. e dell’art. 32 CCNL di categoria.

Ha esposto di avere allegato con la comparsa di costituzione in sede di reclamo non soltanto il difetto di proporzionalità della sanzione, ai sensi dell’art. 2106 c.c., e la mancata previsione della condotta tra le mancanze che giustificavano il licenziamento ai sensi dell’art. 32 CCNL ma anche che lo stesso art. 32 stabiliva che in ogni caso le sanzioni dovevano essere applicate per analogia di gravità rispetto ai casi previsti.

Il fatto sanzionato non era assimilabile per analogia di gravità ad alcuna delle mancanze che davano luogo al licenziamento ma unicamente alle ipotesi punibili con la sanzione conservativa della sospensione dal servizio.

Ha lamentato l’omesso esame da parte della Corte di merito di tale specifica eccezione.

Il motivo è infondato.

Il giudice del merito ha esaminato la questione, posta dal lavoratore sotto il profilo della violazione dell’art. 32 CCNL, respingendola sul rilievo che la elencazione ivi prevista aveva carattere meramente esemplificativo.

Non vi era, invece, la esigenza di una specifica motivazione in ordine alla analogia di gravità della condotta rispetto alle fattispecie punibili con sanzione conservativa a tenore del contratto collettivo, avendo la sentenza già stigmatizzato la rilevante gravità della condotta e la sua idoneità a ledere il rapporto fiduciario con il datore di lavoro.

5. Con il quinto motivo il ricorrente ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 2106 c.c. e dell’art. 32 CCNL di categoria.

Ha denunziato la violazione del principio di proporzionalità e gradualità delle sanzioni disciplinari.

6. Con il sesto motivo il ricorrente ha impugnato la sentenza – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18,comma 4 e dell’art. 32 CCNL di categoria.

Ha dedotto ricorrere l’ipotesi di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4, ovvero del fatto rientrante tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi o dei codici disciplinari applicabili.

Ha esposto che l’art. 32 del CCNL prevedeva che nei casi di mancanze non elencate le sanzioni disciplinari dovevano essere applicate riferendosi per analogia di gravità ai casi esaminati; l’addebito era riconducibile sotto questo profilo al fatto del “lavoratore che commetta qualunque atto che porti pregiudizio alla sicurezza della azienda” ovvero a quello del “lavoratore che esegua il lavoro affidatogli con provata negligenza”, puniti entrambi con sanzione conservativa (sospensione dal servizio e dalla retribuzione).

I motivi, che possono essere esaminati congiuntamente per la loro connessione, sono infondati.

Il giudice del reclamo ha correttamente osservato che le ipotesi di mancanze previste dal contratto collettivo come giustificanti il licenziamento rivestono carattere esemplificativo e non esaustivo.

Quanto al tenore del contratto collettivo, l’invocato art. 32, al paragrafo B), elenca le sanzioni conservative e le mancanze che danno luogo rispettivamente al rimprovero, alla multa ed alla sospensione; dispone da ultimo che ” nei casi non elencati le sanzioni saranno applicate riferendosi per analogia di gravità a quelli elencati”.

Tale previsione non è riferibile al licenziamento disciplinare, la cui disciplina è contenuta in un separato e successivo paragrafo (paragrafo C) ma alla sola graduazione delle sanzioni conservative.

Tale rilievo è confermato dalla considerazione che le stesse parti collettive danno atto che la elencazione delle mancanze che danno luogo a licenziamento disciplinare è compiuta soltanto “a titolo semplificativo e non esaustivo”; la applicazione per analogia della disciplina delle sanzioni ai casi non esaminati ha quale presupposto, invece, una pretesa di esaustività della disciplina collettiva.

Ogni questione si risolve, dunque, per il licenziamento nel verificare la esistenza o meno dei presupposti previsti della disciplina legale, del resto espressamente richiamata nell’accordo come unica fonte regolatrice; in altri termini, la applicazione analogica della disciplina contrattuale delle sanzioni trova il suo limite nella ipotesi in cui sia configurabile una giusta causa di licenziamento ex art. 2119 c.c..

Il giudice del merito ha dunque correttamente interpretato la previsione collettiva.

La censura neppure coglie nel segno in punto di violazione dell’art. 2106 c.c., avendo il giudice del reclamo correttamente ritenuto la giusta causa del licenziamento in ragione della ampia divulgazione presso la clientela della impresa concorrente, al fine di sviarne illegittimamente la clientela, di notizie e valutazioni riservate apprese per ragioni di servizio.

A tal fine la Corte di merito ha correttamente valorizzato sia la gravità dell’ inadempimento e la responsabilità risarcitoria derivatane in capo al datore di lavoro, che il grado della colpa, in ragione delle elevate competenze professionali del dipendente (quadro) e del grado di collaborazione richiesto.

Il ricorso deve essere conclusivamente respinto.

Le spese si compensano in ragione dell’esito alterno del giudizio nelle fasi di merito.

Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto- ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1 comma 17, (che ha aggiunto al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater) – della sussistenza dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 5 giugno 2017

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