Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13922 del 03/06/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 13922 Anno 2013
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: BANDINI GIANFRANCO

SENTENZA

sul ricorso 17358-2008 proposto da:

51403 g£05- E5
POSTE ITALIANE S.P.Ar,

in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata
in ROMA, VIALE MAllINI 134, presso lo studio
dell’avvocato FIORILLO LUIGI, rappresentata e difesa
dall avvocato GRANOZZI GAETANO, giusta delega in atti;
– ricorrenti –

2013

contro

1413

CARUCCI ANNA MARIA; – intimata –

avverso la sentenza n. 1113/2007 della CORTE D’APPELLO

Data pubblicazione: 03/06/2013

di CATANZARO, depositata il 20/06/2007 r.g.n. 7/06;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza

del

18/04/2013

dal

Consigliere

Dott.

GIANFRANCO BANDINI;
udito l’Avvocato ANNA BUTTAFOCO per delega GRANOZZI

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO, che ha concluso
per l’accoglimento del ricorso.

GAETANO;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

confermò la pronuncia di prime cure dichiarativa della nullità del
termine apposto al contratto intercorso fra la Poste Italiane spa e
Carucci Anna Maria, relativo al periodo dall’8.10 al 31.12.2002, in
riferimento ad “esigenze tecniche, organizzative e produttive anche
di carattere straordinario conseguenti ai processi di riorganizzazione,
ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul
territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche, owero
conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove
tecnologie, prodotti o servizi nonché all’attuazione delle previsioni di
cui agli accordi del 17, 18 e 23 ottobre, 11 dicembre 2001 e 11
gennaio 2002, 13 febbraio e 17 aprile 2002”.
Avverso la suddetta sentenza della Corte territoriale, la Poste
Italiane spa ha proposto ricorso per cassazione fondato su
quattordici motivi e illustrato con memoria.
L’intimata Carucci Anna Maria non ha svolto attività difensiva.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo e il secondo motivo, formulati rispettivamente per
violazione di norme di diritto e per vizio di motivazione, la ricorrente
si duole dell’intervenuta reiezione, da parte della Corte territoriale,
dell’eccezione di intervenuta risoluzione del rapporto per mutuo
l rtr
consenso, in relazione all’inerzia mantenutaldaavoaoedopola
3

Con sentenza del 26.4 – 20.6.2007 la Corte d’Appello di Catanzaro

scadenza del contratto a termine e fino alla manifestazione della

Secondo il condiviso orientamento di questa Corte (cfr, ex plurimis,
Cass., n. 23554/2004), nel giudizio instaurato ai fini del
riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a
tempo indeterminato (sul presupposto dell’illegittima apposizione al
relativo contratto di un termine finale ormai scaduto), per la
configurabilità di una risoluzione del rapporto per mutuo consenso è
necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo
trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonché
alla stregua delle modalità di tale conclusione, del comportamento
tenuto dalla parti e di eventuali circostanze significative – una chiara
e certa comune volontà delle parti medesime di porre
definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo; la valutazione del
significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto
compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili
in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto.
Nel caso in esame la Corte di merito ha ritenuto di disattendere la
tesi secondo cui la mancanza di una più tempestiva reazione della
lavoratrice alla estromissione configurerebbe un suo consenso alla
risoluzione del rapporto alla scadenza del termine apposto,
osservando, in conformità ai principi sulla ripartizione degli oneri
probatori, che nessuna prova era stata fornita dalla parte eccipiente
4

volontà di ripristinare la funzionalità di fatto del rapporto.

(ossia la Poste Italiane spa) in ordine alla sussistenza di circostanze

delle parti di voler porre definitivamente fine al rapporto lavorativo e
tali conclusioni, in quanto prive di vizi logici o errori di diritto,
resistono alle censure mosse con il primo motivo di ricorso.
Neppure risulta fondato il secondo, poiché le istanze istruttorie
attraverso le quali, secondo l’assunto della ricorrente, avrebbe potuto
accertarsi l’eventuale reperimento di altra attività lavorativa dopo la
scadenza del termine, rivestivano carattere meramente esplorativo,
non risultando essere stata dedotta se e quale ulteriore attività
lavorativa sarebbe stata intrapresa; di talché non può evidentemente
ritenersi la decisività di una circostanza soltanto genericamente
ipotizzata e, come tale, non precisata nei suoi contenuti in tesi
sintomatologici di una volontà risolutiva del rapporto dedotto in
giudizio.
2. Non può ritenersi l’avvenuta pretesa formazione del giudicato
interno in relazione al rilievo del primo Giudice secondo cui la norma
contrattuale avrebbe dovuto ritenersi legittima nel suo collegamento
alle esigenze straordinarie connesse al processo di riorganizzazione
aziendale, ai parametri delle innovazioni tecnologiche ovvero
all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o
servizi, non configurandosi tale affermazione come contraria
all’accoglimento della svolta eccezione di nullità del termine per la
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dalle quali avrebbe potuto effettivamente ricavarsi la comune volontà

carenza di specificazione delle ragioni giustificatrici, posto che

intercorrente tra la previsione contrattuale e la singola assunzione a
termine è dimostrativa della dedotta assenza, ovviamente con
riferimento al contratto dedotto in giudizio, della ragione
giustificatrice della clausola contestata.
Deve quindi essere disatteso anche il terzo motivo di ricorso, con il
quale la ricorrente ha dedotto la violazione del suddetto preteso
giudicato interno.
3. La Corte territoriale ha ritenuto la nullità della clausola appositiva
del termine per avere la parte datoriale addotto a sua giustificazione
un elenco “generico e inconcludente di causai!’ e per il mancato
rapporto delle svariate causali alle esigenze dell’ufficio a cui era
destinata la lavoratrice e alle mansioni che la stessa avrebbe dovuto
svolgere, evidenziando che anche i richiamati accordi collettivi
facevano riferimento a generali esigenze di riposizionamento del
personale e a procedure di mobilità, senza tuttavia specificare se
dette esigenze fossero presenti, e in che misura, nell’ufficio presso il
quale era stata assunta l’appellata e investissero l’area operativa che
la riguardava.
Tale impostazione è stata diffusamente censurata, sotto distinti
profili, per violazione di norme di diritto e di vizio di motivazione, con i

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proprio la ritenuta carenza di prova del nesso di causalità

motivi dal quarto al decimo, che, fra loro connessi, possono essere

Con tali motivi viene in particolare dedotta l’idoneità, al fine di
soddisfare le esigenze di specificazione richieste dall’art. 1 dl.vo n.
368/01, del richiamo per relationem al contenuto agli accordi
sindacali indicati nel contratto; il vizio di motivazione in ordine alla
idoneità allo scopo suddetto degli accordi sindacali richiamati;
l’indebita inversione dell’onere della prova e, comunque, l’idoneità
delle prove costituite e costituende offerte da essa ricorrente, anche
in considerazione del principio di non contestazione; il vizio di
motivazione in ordine alla mancata ammissione delle prove orali
richieste.
3.1 La questione all’esame è già stata affrontata dalla giurisprudenza
di questa Corte e risolta con l’affermazione del principio secondo cui
l’apposizione di un termine al contratto di lavoro, consentita dall’art. 1
dl.vo n. 368/01, a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo,
organizzativo o sostitutivo, che devono risultare specificate, a pena
di inefficacia, in apposito atto scritto, impone al datore di lavoro
l’onere di indicare in modo circostanziato e puntuale, al fine di
assicurare la trasparenza e la veridicità di tali ragioni, nonché
l’immodificabilità delle stesse nel corso del rapporto, le circostanze
che contraddistinguono una particolare attività e che rendono
conforme alle esigenze del datore di lavoro, nell’ambito di un
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esaminati congiuntamente.

determinato contesto aziendale, la prestazione a tempo determinato,

temporanea della prestazione e le esigenze produttive ed
organizzative che la stessa sia chiamata a realizzare e la
utilizzazione del lavoratore assunto esclusivamente nell’ambito della
specifica ragione indicata ed in stretto collegamento con la stessa;
spetta al giudice di merito accertare, con valutazione che, se
correttamente motivata ed esente da vizi giuridici, resta esente dal
sindacato di legittimità, la sussistenza di tali presupposti, valutando
ogni elemento, ritualmente acquisito al processo, idoneo a dar
riscontro alle ragioni specificatamente indicate con atto scritto ai fini
dell’assunzione a termine, ivi compresi gli accordi collettivi intervenuti
fra le parti sociali e richiamati nel contratto costitutivo del rapporto
(cfr, ex plurimis, Cass., nn. 2279/2010; 10033/2010; 16303/2010).
Ed invero l’esplicitazione delle ragioni dell’apposizione del termine
può risultare anche indirettamente dal contratto di lavoro, attraverso
il riferimento ad altri testi scritti accessibili dalle parti, in particolare
nel caso in cui, data la complessità e la articolazione del fatto
organizzativo, tecnico o produttivo che è alla base della esigenza
dell’assunzione a termine, questo risulti analizzato in specifici
documenti, specie a contenuto concertativo, richiamati nella causale
di assunzione; nel caso in esame il contratto di assunzione, come
accertato dai Giudici del merito, conteneva l’espresso richiamo agli
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sì da rendere evidente la specifica connessione fra la durata solo

accordi del 17, 18 e 23 ottobre, 11 dicembre 2001 e 11 gennaio

date atto, fra l’altro, che la Società avrebbe continuato a fare ricorso
all’attivazione di contratti a tempo determinato per sostenere il livello
del servizio di recapito durante la fase di realizzazione dei processi di
mobilità.
3.2 Per ciò che riguarda l’incombenza dell’onere probatorio, deve
ancora essere richiamata la già ricordata sentenza di questa Corte n.
2279/2010, la quale, sviluppando argomentazioni già adottate in
precedenti pronunzie (Cass., nn. 12985/2008; 14011/2004;
7468/2002), ha rilevato che detto onere, contrariamente all’assunto
della ricorrente, deve essere posto a carico del datore di lavoro.
Con tale pronuncia è stato infatti posto in evidenza che – già prima
dell’introduzione del comma anteposto all’art. 1 dl.vo n. 368/01
dall’art. 39 legge n. 247/07, per il quale “il contratto di lavoro
subordinato e’ stipulato di regola a tempo indeterminato” – il suddetto

art. 1 aveva confermato il principio generale secondo cui il rapporto
di lavoro subordinato è normalmente a tempo indeterminato,
costituendo pur sempre l’apposizione del termine una ipotesi
derogatoria; ha rilevato, inoltre, che la tecnica legislativa adottata dal
decreto legislativo – secondo la quale l’apposizione del termine “è
consentita”

solo

“a fronte”

di determinate specifiche ragioni

derogatorie – impone di considerare che le ragioni stesse, proprio
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2002, 13 febbraio e 17 aprile 2002″, in base ai quali le parti si erano

perché adottate in deroga, sono normalmente da provare in giudizio

alla posizione del datore di lavoro delle situazioni derogatorie è
elemento normalmente significativo del conseguente carico
probatorio in giudizio; ha, infine, evidenziato che tale risultato
ermeneutico è imposto dal richiamo della cosiddetta clausola di non
regresso contenuta nella direttiva a cui il decreto dà attuazione e per
il riferimento al contenuto della delega posto alla base del decreto
legislativo, che è limitato all’attuazione della direttiva, la quale non
contiene disposizioni che si attaglino ad una diversa distribuzione
dell’onere della prova con riguardo al primo o unico contratto di
lavoro a tempo determinato.
La Corte territoriale ha sostanzialmente aderito ai testé ricordati
principi di ripartizione dell’onere della prova, con riferimento alla
necessaria sussistenza delle esigenze indicate negli accordi anche
in relazione all’area operativa che interessava la lavoratrice, e ciò
costituisce altresì implicita reiezione della censura relativa ad una
pretesa violazione, da parte del primo Giudice, del principio di
corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato in relazione alla dedotta
mancata contestazione della lavoratrice della sussistenza di un
processo di riposizionamento del personale sull’intero territorio
nazionale.

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da chi le deduce a sostegno delle proprie difese e che la pertinenza

3.3 Nel caso che ne occupa la Corte territoriale ha preso

richiamati, evidenziando, come già ricordato, che si riferivano
soltanto a generali esigenze di posizionamento del personale e a
procedure di mobilità senza tuttavia specificare se dette esigenze
fossero presenti, e in che misura, nell’ufficio presso il quale era stata
assunta l’appellata e investissero l’area operativa che la riguardava.
Ne consegue l’infondatezza delle censure svolte in ordine alla
mancata ammissione della prova testimoniale diretta a provare che
la fase attuativa delle procedure di mobilità originate dagli accordi del
17 e 23 ottobre 2001 aveva prodotto gli effetti diretti anche sulla
unità produttiva a cui la ricorrente era stata applicata, atteso che la
mancanza, nel capitolato, di riferimenti specifici a puntuali
circostanze di fatto, atte ad evidenziare come e perché le procedure
di mobilità avessero inciso sulla unità produttiva di applicazione,
comporta che la prova testimoniale si risolveva nella richiesta di un
inammissibile giudizio sulla sussistenza dei presupposti necessari a
legittimare l’apposizione del termine.
Né, al riguardo, appare pertinente il richiamo alla facoltà del giudice
di richiedere chiarimenti al teste o di esercitare i propri poteri istruttori
officiosi, posto che la prima facoltà presuppone l’ammissibilità dei
capitoli di prova così come formulati ed entrambe restano comunque
circoscritte dall’ambito delle allegazioni ritualmente dedotte dalle
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espressamente in considerazione il contenuto degli accordi sindacali

parti, laddove, come ritenuto dalla Corte territoriale, ciò che faceva

prova) delle specifiche circostanze atte ad ricollegare causalmente
all’assunzione a termine in parola le esigenze individuate, con
riferimento al territorio nazionale, dagli accordi richiamati.
3.4 La decisione qui impugnata risulta quindi conforme ai principi più
volte affermati in materia da questa Corte.
Ed invero è stato precisato (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 10033/2010;
11785/2012) che l’apposizione di un termine al contratto di lavoro,
consentita dall’art. 1, dl.vo n. 368/01 a fronte di ragioni di carattere
tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, che devono risultare
specificate, a pena di inefficacia, in apposito atto scritto, impone al
datore di lavoro l’onere di indicare in modo circostanziato e puntuale,
al fine di assicurare la trasparenza e la veridicità di tali ragioni,
nonché l’immodificabilità delle stesse nel corso del rapporto, le
circostanze che contraddistinguono una particolare attività e che
rendono conforme alle esigenze del datore di lavoro, nell’ambito di
un determinato contesto aziendale, la prestazione a tempo
determinato, si da rendere evidente la specifica connessione fra la
durata solo temporanea della prestazione e le esigenze produttive
ed organizzative che la stessa sia chiamata a realizzare e la
utilizzazione del lavoratore assunto esclusivamente nell’ambito della
specifica ragione indicata ed in stretto collegamento con la stessa.
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difetto era proprio l’allegazione (che è necessario presupposto della

Tale accertamento, di spettanza del giudice del merito, è stato

risulta quindi conforme a diritto ed altresì congruamente motivata,
onde resiste alle censure all’esame.
4. Con l’undicesimo mezzo, denunciando violazione di plurime
disposizioni di legge, la ricorrente, invocata in particolare
l’applicabilità alla fattispecie del disposto dell’art. 1419 cc, si duole
che la Corte territoriale abbia ritenuto la trasformazione del rapporto
di lavoro a termine in rapporto a tempo indeterminato.
La censura non può esser accolta, avendo questa Corte già avuto
modo di rilevare che l’art. 1 divo n. 368/01, anche anteriormente alla
modifica introdotta dall’art. 39 legge n. 247/07, ha confermato il
principio generale secondo cui il rapporto di lavoro subordinato è
normalmente a tempo indeterminato, costituendo l’apposizione del
termine un’ipotesi derogatoria pur nel sistema, del tutto nuovo, della
previsione di una clausola generale legittimante l’apposizione del
termine “per ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o
sostitutivo”,

cosicché, in caso di insussistenza delle ragioni

giustificative del termine, e pur in assenza di una norma che sanzioni
espressamente la mancanza delle dette ragioni, in base ai principi
generali in materia di nullità parziale del contratto e di
eterointegrazione della disciplina contrattuale, nonché alla stregua
dell’interpretazione dello stesso art. 1 citato nel quadro delineato

svolto, nei termini sopra descritti, nella sentenza impugnata, che

dalla direttiva comunitaria 1999/70/CE (recepita con il richiamato

di lavoro subordinato, tracciato dalle pronunce della Corte
Costituzionale n. 210 del 1992 e n. 283 del 2005, all’illegittimità del
termine e alla nullità della clausola di apposizione dello stesso
consegue l’invalidità parziale relativa alla sola clausola e l’instaurarsi
di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato (cfr, ex plurimis,
Cass., n. 12985/2008).
Onde coerentemente la Corte territoriale ha ritenuto che la clausola
risolutiva inserita nel contratto di lavoro dedotto in causa doveva
ritenersi sostituita dalla normativa di cui all’art. 1 dl.vo n. 368/01.
5. I restanti mezzi sono inerenti alle conseguenze risarcitorie
riconosciute dalla Corte territoriale (quantificazione del risarcimento
in misura pari alle retribuzioni maturate fino alla effettiva
riammissione in servizio, con decorrenza dalla messa a disposizione
della prestazione lavorativa, avvenuta nel caso di specie con la
missiva del 27.3.2003) con la conferma della decisione di primo
grado.
5.111 dodicesimo mezzo è inammissibile, posto che il quesito di diritto
ai sensi dell’art. 366 bis cpc (applicabile ratione temporis al presente
ricorso), si risolve nella mera riproposizione della regula iuris già
applicata dalla Corte territoriale (necessità della costituzione in mora
del datore di lavoro); così come è inammissibile il profilo di doglianza

decreto) e nel sistema generale dei profili sanzionatori nel rapporto

secondo cui la ricordata missiva del 27.3.2003 non conterrebbe

richiedere un esame fattuale non consentito in sede di legittimità, sia
perché, in violazione del principio di autosufficienza, non è trascritto
in ricorso il contenuto del documento suddetto
5.211 tredicesimo motivo investe, denunciando vizio di motivazione,

l’eccezione di aliunde perceptum; il quattordicesimo, denunciando
violazione di norme di diritto, ancora l’eccezione di

aliunde

perceptum e quella, ai sensi dell’art. 1227 cc, del preteso concorso

colposo del creditore.
Trattasi di questioni non trattate dalla Corte territoriale, onde la
ricorrente, per evitare una pronuncia di inammissibilità delle relative
censure, avrebbe dovuto riportare in ricorso il contenuto delle
doglianze svolte al riguardo avverso la pronuncia di prime cure, sì da
consentire alla Corte di valutare la loro specificità e conseguente
ammissibilità, a tanto non valendo la dedotta mera riproposizione di
istanze istruttorie (peraltro a carattere sostanzialmente esplorativo e,
perciò, inammissibili) già avanzate (ed evidentemente non accolte) in
primo grado, né tanto meno, la generica indicazione di essersi doluta
della condanna alla corresponsione delle retribuzioni maturate senza
detrazione dell’aliunde perceptum.
6. Va considerato, in via di principio, che costituisce condizione

necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius
15

alcuna offerta della prestazione di lavoro, sia perché viene a

superveniens, che abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una

in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura
nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui
perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr, Cass. 8
maggio 2006 n. 10547).
In tale contesto, è altresì necessario che il motivo di ricorso che
investe, anche indirettamente, il tema coinvolto dalla disciplina
sopravvenuta, oltre ad essere sussistente, sia altresì ammissibile
secondo la disciplina sua propria.
Nel caso in esame i motivi che investono il tema al quale è riferibile
0
la disciplina di cui all’art. 32, commi 5 , 6° e 7°, legge n. 183/10 sono
il dodicesimo, il tredicesimo e il quattordicesimo, i quali, come
evidenziato, sono inammissibili.
Deve quindi convenirsi per l’inapplicabilità nel presente giudizio del
ricordato ius superveniens.
7. In definitiva il ricorso va rigettato; non è luogo a pronunciare sulle
spese, in difetto di attività difensiva dell’intimata.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.
Così deciso in Roma il 18 aprile 2013.

nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia

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