Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13920 del 22/05/2019

Cassazione civile sez. I, 22/05/2019, (ud. 20/02/2019, dep. 22/05/2019), n.13920

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sui ricorso 9024/2015 proposto da:

Comune di Corigliano Calabro, in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma, Viale Carso n. 23, presso lo

studio dell’avvocato Viteritti Mariantonietta, rappresentato e

difeso dagli avvocati Longo Antonio, Viteritti Natale, giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

P.A.; P.R.; P.G.;

P.V.; M.L., interveniente e cessionaria del credito

all’indennità di esproprio di quest’ultimo; P.I.;

C.A.; tutti elettivamente domiciliati in Roma,

Circonvallazione Clodia n. 86, presso lo studio dell’avvocato

Candiano Nicola, che li rappresenta e difende unitamente

all’avvocato Minnicelli Amerigo, giusta procura in calce al

controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

avverso la sentenza n. 1397/2014 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 07/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

20/02/2019 dal Cons. Dott. PARISE CLOTILDE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 1397/2014 pubblicata il 7/10/2014, la Corte d’Appello di Catanzaro, pronunciando in unico grado, accoglieva per quanto di ragione l’opposizione alla stima proposta da P.A., P.R., P.G., P.V., P.I. e C.A., i primi cinque proprietari dei beni oggetto di esproprio e l’ultima usufruttuaria, con l’intervento di M.L., cessionaria del credito all’indennità di esproprio di P.V., rideterminava in Euro 1.320.330,00 l’indennità per l’esproprio dei beni per cui è causa dovuta dal Comune di Corigliano Calabro e ordinava al suddetto Comune il deposito di detta somma presso la Cassa Depositi e Prestiti a disposizione degli attori, in proporzione alla quota dei diritti di proprietà o di altro diritto reale di relativa spettanza di ciascuno, detratto quanto eventualmente già corrisposto, oltre interessi legali dal 12-5-2005 al deposito della somma. La Corte d’appello di Catanzaro disattendeva l’eccezione preliminare di decadenza dalla proposta opposizione alla stima sollevata dal Comune nei confronti delle attrici P.I. e C.A., riteneva di dover determinare l’indennità di espropriazione relativa al capannone facente parte del complesso costruttivo oggetto di esproprio considerando il solo suolo di sedime ed attribuiva a quest’ultimo il valore venale del terreno edificabile, quantificato in Euro 239.680,00 (pag. n. 17 sentenza impugnata). I Giudici d’appello osservavano che la parte centrale dell’immobile in questione insisteva sulla particella (OMISSIS) del foglio di mappa (OMISSIS), estesa mq. 345, del Comune di Corigliano Calabro, catastalmente di proprietà di detto Comune, e pertanto ritenevano abusivamente realizzata la costruzione di detto capannone mediante attività di occupazione di terreno altrui.

2. Avverso questa sentenza, ricorre il Comune di Corigliano Calabro affidandosi a due motivi, resistiti con controricorso da P.A., P.R., P.G., P.V., M.L., P.I. e C.A., che propongono ricorso incidentale affidato a due motivi.

3. Il Comune di Corigliano Calabro ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso principale il Comune, per quanto riguarda la posizione di P.A., P.R., P.G., P.V. e M.L., sostiene che questi ultimi non abbiano rispettato, nel proporre opposizione alla stima, il termine dilatorio di trenta giorni previsto dal D.P.R. n. 327 del 2001, art. 27, comma 2, richiamato dall’art. 54, D.P.R. citato, decorrente dalla comunicazione di avvenuto deposito della relazione di stima presso l’ente espropriante. Secondo l’Ente ricorrente durante tale termine dilatorio non è possibile proporre opposizione alla stima, potendo questa proporsi solo durante i successivi trenta giorni, come previsto dal D.P.R. n. 327 del 2001, art. 54.

2. Con il secondo motivo il Comune, relativamente alla posizione di P.I. e C.A., ritiene che l’opposizione alla stima sia stata da queste proposta oltre il termine perentorio di trenta giorni previsto dal D.P.R. n. 327 del 2001, art. 54, comma 1. La Corte territoriale avrebbe errato nel conteggiare il termine di cui all’art. 54 citato a decorrere dal 9 aprile 2005, anzichè dal giorno 8 aprile 2005, data, quest’ultima, di scadenza del primo termine dilatorio. La notifica dell’opposizione alla stima era avvenuta il 9 maggio 2005, e quindi, ad avviso del ricorrente, oltre il termine di trenta giorni ex art. 54 citato, considerata la decorrenza di detto termine dal giorno 8 aprile 2005.

3. P.A., P.R., P.G., P.V., M.L., P.I. e C.A. propongono ricorso incidentale, affidato a due motivi.

3.1. Con il primo motivo lamentano “Violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4, nullità della sentenza e n. 5 omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti”, con riferimento alla natura abusiva della costruzione del capannone ed alla consequenziale esclusione dal diritto all’indennità di esproprio in relazione a detto bene. I controricorrenti assumono che la Corte territoriale abbia fatto derivare il carattere abusivo della costruzione solo dall’asserita, ma indimostrata, occupazione parziale di un bene altrui, senza indicare in base a quale principio di diritto o norma cogente in vigore all’epoca della costruzione, avvenuta prima del 1956, fosse fondata la corrispondente affermazione di abusività. Osservano i controricorrenti che la ricostruzione giuridica e fattuale censurata non trova riscontro nelle conclusioni di cui alla CTU espletata, secondo la quale i fabbricati espropriati e demoliti erano stati costruiti legittimamente, come affermato anche dai tecnici del Comune di Corigliano incaricati di redigere gli atti espropriativi. Oltre alla formale intestazione catastale della piccola striscia di terreno in capo al Comune, ad avviso dei controricorrenti nulla era emerso sul reale assetto proprietario o sulla natura di quel terreno, che per oltre cinquanta anni non solo non era stato utilizzato per fini pubblici, ma neppure avrebbe potuto esserlo in quanto il terreno era inglobato in una costruzione privata e non accessibile a chiunque. Non può quindi ritenersi dimostrata, ad avviso dei controricorrenti, la proprietà pubblica del terreno su cui era stato parzialmente eretto il capannone solo sulla base della formale intestazione catastale in capo al Comune e la Corte d’appello non ha fornito alcuna argomentazione giustificativa al riguardo.

3.2. Con il secondo motivo lamentano, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione dell’art. 91 c.p.c., sia per la mancata ricorrenza dei presupposti giustificativi della compensazione parziale, nella misura della metà, delle spese di lite, avuto riguardo alla palese e rilevantissima sproporzione tra l’indennità determinata dal Collegio Arbitrale e quella liquidata in giudizio, di valore superiore al triplo della prima, sia per l’erronea applicazione dei parametri giudiziali ministeriali, in relazione allo scaglione di valore applicabile.

4. I due motivi di ricorso principale, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, sono infondati.

4.1. La giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che la previsione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 54, costituisce la codificazione del principio, costantemente affermato (Cass. n. 17604/2013; 11406/2012; 20997/2008; 11054/2001; da ultimo Cass. n. 5517/2017; Cass. ord. n. 3074/2018 e n. 23311/2018), secondo cui, emanato il provvedimento ablativo, sorge contestualmente, ed è per ciò stesso azionabile, il diritto del proprietario a percepire il giusto indennizzo di cui all’art. 42 Cost. – che si sostituisce al diritto reale e non è subordinato alla liquidazione in sede amministrativa-. Al proprietario espropriato sono concesse due azioni: l’una di determinazione dell’indennità di esproprio e l’altra di opposizione alla stima, a seconda se sia o meno stata calcolata l’indennità definitiva, che è demandata alla Commissione Provinciale ed, in alternativa, al collegio dei tecnici di cui all’art. 21. L’art. 54 si pone in consonanza con la sequenza procedimentale prevista dall’art. 20, commi 11 e 12; artt. 22, 23 e art. 26, commi 11, del T.U., in base alla quale – come già accadeva nel sistema di cui alla L. n. 865 del 1971 – la pronuncia del decreto di esproprio segue di regola la sola offerta dell’indennità provvisoria, che, a norma dell’art. 23, comma 1, lett. c, deve essere indicata nel provvedimento e precede logicamente la determinazione dell’indennità definitiva. Nell’ipotesi eccezionale in cui il decreto tardi, invece, ad essere emesso e tuttavia nelle more sia egualmente determinata l’indennità definitiva (ad opera della Commissione provinciale ovvero del collegio dei tecnici) insorge la sola necessità che nel decreto di esproprio sia indicata anche la determinazione dell’indennità suddetta (art. 27 e art. 23, lett. d, ove significativamente la nomina dei tecnici è considerata solo “eventuale”)” (Cass. ord. n. 3074/2018). Nella predetta sequenza procedimentale il termine dilatorio previsto dall’art. 27, comma 2, del T.U., espressamente richiamato dell’art. 54, comma 1, rimasto in vigore anche dopo l’introduzione del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 29, ha la chiara finalità di attribuire alle parti un periodo temporale di differimento affinchè le stesse possano valutare la stima e decidere se accettarla oppure opporvisi.

La giurisprudenza di questa Corte ha altresì chiarito, con riferimento a fattispecie, come quella in esame, non assoggettate alla disciplina di cui al D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 29 – in vigore dal 6-10-2011-, che il termine perentorio di cui all’art. 54, comma 2, ora abrogato, del D.P.R. citato, non corrisponde a quello dilatorio di cui all’art. 27, comma 2, del D.P.R. medesimo (Cass. n. 4880/2011, citata anche dal Comune ricorrente, e Cass. n. 28791/2018). Occorre precisare che nelle sentenze da ultimo richiamate la tematica dell’opposizione alla stima proposta prima della scadenza del termine dilatorio di cui all’art. 27, non era oggetto specifico del contendere e pertanto solo come obiter dictum è stata affermata l’obbligatorietà del rispetto di quel termine.

4.2. Ciò posto, è priva di fondamento la censura formulata con il primo motivo dal Comune.

4.3. Preliminarmente deve rilevarsi che l’eccezione di tardività di cui si sta trattando è stata sollevata dal Comune solo nel presente giudizio, ma deve essere esaminata perchè inerente a questione di diritto che non necessita di accertamenti di fatto, essendo documentato che il decreto di espropriazione del 12-5-2004 è stato notificato il 17-52004 e l’avviso di deposito della relazione di stima redatta dal collegio di tre tecnici (nota prot. n. 8418 del 7-3-2005)4 è stato comunicato il 10-3-2005 ad P.A., l’8-3-2005 a P.R., il 14-3-2005 a P.G., il 9-3-2005 a P.V. (doc. C/n. 25 del Comune). Le suddette parti hanno impugnato la stima con atto di citazione notificato il 7-4-2005.

4.4. Tanto precisato, il D.P.R. n. 327 del 2001, art. 27, deve interpretarsi tenendo conto della sua ratio e della necessità del suo coordinamento non solo con la previsione di cui all’art. 54, comma 2, citato, ora abrogato ma applicabile ratione temporis nel caso in esame, ma principalmente con il principio generale già richiamato (p. 4.1), sancito anche dalla Corte Costituzionale con la sentenza 22 febbraio 1990 n. 67, secondo cui deve essere riconosciuta all’espropriato la facoltà di adire il giudice ai fini della determinazione dell’indennità di esproprio anche prima della stima definitiva e comunque prima che inizi a decorrere il distinto termine perentorio di cui si è detto.

Partendo da quest’ultimo profilo, poichè, una volta emanato il provvedimento ablativo, sorge contestualmente, ed è per ciò stesso azionabile, il diritto del proprietario a percepire il giusto indennizzo di cui all’art. 42 Cost., l’unica esegesi dell’art. 27, compatibile con detto principio conduce ad escludere che possa dichiararsi improponibile l’azione dell’espropriato proposta prima della scadenza del termine dilatorio.

Diversamente opinando risulterebbe all’evidenza impedito al proprietario l’esercizio del diritto di cui si è detto.

Inoltre la declaratoria di improponibilità dell’azione potrebbe determinare effetti non solo processuali, ma anche sostanziali, ossia preclusivi della reiterabilità della domanda di merito, stante il concomitante decorso del termine perentorio di cui all’art. 54, comma 2, ed ostano, a tale conclusione, profili di illegittimità costituzionale (cfr. sentenza n. 111/2012 della Corte Costituzionale in tema di condizione di proponibilità dell’azione, nell’ipotesi disciplinata dall’art. 145 codice assicurazioni private).

Con riferimento ad un ulteriore ed assorbente aspetto, può aggiungersi che, anche qualora il rispetto del termine dilatorio si configuri come condizione dell’azione e la completa decorrenza dello stesso avvenga in corso di causa, come nel caso di specie e come di regola avverrà, stante la brevità di detto termine, dovrebbe ritenersi in ogni caso cessata la causa di improponibilità e regolarmente instaurato il giudizio, in applicazione dei principi dell’effettività della tutela giurisdizionale e del giusto processo (così tra le tante Cass. n. 4703/2006 e Cass. n. 11261/2016, nella similare ipotesi di sopravvenienza in corso di causa del decreto di esproprio nei giudizi di opposizione alla stima).

Avuto, infine, riguardo alla ratio dell’art. 27, consistente unicamente nel garantire uno spatium deliberandi ai soggetti legittimati ad opporsi alla stima, dal mancato rispetto, da parte dell’espropriato, del termine dilatorio non può derivare alcuna lesione dei diritti di tutti gli altri soggetti del rapporto espropriativo, i quali, anzi, se ne avvantaggiano, dal momento che potranno proporre a loro volta opposizione pure a termine scaduto, con il solo limite del rispetto di forma e termini per la riconvenzionale, qualora intendano azionare una contropretesa che vada oltre il rigetto della domanda principale (Cass. n. 17022 del 2008 e Cass. n. 716 del 2011).

4.5. Anche il secondo motivo di ricorso principale è infondato.

Per il notificante il termine della notifica decorre dalla consegna all’ufficiale giudiziario (Corte Cost. n. 28 del 2004), avvenuta, nel caso di specie, il 6 maggio 2005 (cfr. relata di notifica dell’atto di citazione di P.I. e C.A. nel fascicolo di dette parti).

Ad ogni buon conto, anche a voler considerare il dies a quo ex art. 54 citato decorrente dal giorno 8 aprile 2005, come adduce il Comune ricorrente, la notifica sarebbe comunque valida, poichè il giorno 8 maggio 2005 cadeva di domenica e, conseguentemente, il termine andava a scadere il lunedì successivo, 9 maggio 2005, giorno della notifica dell’atto.

5. Il primo motivo di ricorso incidentale è infondato.

5.1. Ai sensi del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 3, l’espropriato è il soggetto che risulti proprietario secondo i registri catastali, salvo che sia fornita prova contraria sull’effettiva titolarità, ed è incontroverso il fatto che il Comune di Corigliano Calabro sia proprietario secondo i registri catastali della particella (OMISSIS) del foglio di mappa (OMISSIS) del Comune di Corigliano Calabro, estesa mq. 345, su cui insiste, in parte, il capannone costruito in aderenza alla palazzina (cfr. pag. n. 11 e n. 15 della sentenza impugnata).

Le doglianze, svolte con riferimento alla violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5, non colgono nel segno, limitandosi i controricorrenti a sostenere indimostrate l’occupazione parziale del bene altrui e la natura abusiva della costruzione, pur a fronte dell’evidenza del dato catastale di cui si è detto. Inoltre i controricorrenti censurano la motivazione della sentenza impugnata sul punto in quanto apodittica, illogica e contraddittoria, adducendo, in fatto, la sussistenza di implicito consenso del Comune alla realizzazione del capannone sul sedime di proprietà dell’Ente stesso.

Per i ricorsi proposti avverso sentenze depositate dopo l’11.9.2012, in seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un fatto storico, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia decisivo ai fini di una diversa soluzione della controversia (Cass. S.U. n. 8053/2014 e tra le tante da ultimo Cass. n. 22598/2018).

Premesso che nella fattispecie in esame trova applicazione l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come novellato nel 2012 – la sentenza impugnata è stata depositata il 7/10/2014-, non ricorrono nè il vizio motivazionale, nè l’omesso esame di fatto decisivo nei termini precisati, poichè la Corte territoriale ha chiaramente esplicitato le ragioni della decisione sulla questione controversa, disattendo motivatamente le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio e prendendo in esame il dato di fatto che ha reputato decisivo – proprietà del Comune in base ai registri catastali-, con apprezzamento di merito incensurabile.

6. Il secondo motivo di ricorso incidentale è fondato per quanto di ragione.

6.1. La statuizione relativa alla compensazione per metà delle spese di lite non si ravvisa censurabile, atteso che nella sentenza impugnata sono stati specificati i giusti motivi idonei a giustificare la corrispondente decisione, in base all’art. 92 c.p.c., vigente ratione temporis, ed implica un apprezzamento di merito la valutazione sugli elementi di fatto rilevanti a quello scopo.

6.2. E’ fondata la doglianza che riguarda la violazione dei parametri giudiziali di cui al D.M. n. 140 del 2012, che è applicabile ratione temporis (la decisione collegiale è stata assunta nella camera di consiglio del 18-3-2014 – così Cass. n. 17577/2018). Avuto riguardo allo scaglione da Euro 500.001,00 a Euro 1.500.000,00, individuato in base al decisum (l’indennità è stata rideterminata nell’importo di Euro 1.320.330,00, al netto delle somme già poste a disposizione degli opponenti), la liquidazione effettuata per l’intero dalla Corte territoriale nell’importo pari a Euro 2.100 per compensi non è rispettosa dei parametri giudiziali di cui al citato D.M., che prevede, in relazione al suindicato scaglione, per le fasi di studio, introduttiva, istruttoria e decisoria il compenso minimo complessivo di Euro 10.854.

7. In conclusione il ricorso incidentale trova accoglimento, quanto al secondo motivo nei limiti precisati, mentre sono infondati il primo motivo di ricorso incidentale e i due motivi di ricorso principale. La sentenza impugnata deve essere, in conseguenza, cassata, limitatamente al motivo parzialmente accolto, senza rinvio, in quanto, non occorrendo procedere ad ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito con la liquidazione, nell’intero, per il giudizio avanti alla Corte d’appello, della somma di Euro 16.000 a titolo di compenso ex D.M. n. 140 del 2012, in favore dei controricorrenti. La soccombenza di dette ultime parti nel presente giudizio con riguardo al primo motivo, di valore nettamente preminente rispetto al secondo, accolto solo parzialmente, consente di compensare integralmente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

8. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, giusta dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso principale, accoglie il ricorso incidentale, quanto al secondo motivo nei limiti precisati in motivazione, rigettato il primo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo è parzialmente accolto, e decidendo la causa nel merito liquida, nell’intero, per il giudizio avanti alla Corte d’appello, la somma di Euro 16.000 a titolo di compenso exD.M. n. 140 del 2012, in favore dei controricorrenti.

Dichiara interamente compensate tra le parti le spese relative al giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, giusta dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 20 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2019

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