Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13917 del 05/06/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 05/06/2017, (ud. 10/01/2017, dep.05/06/2017),  n. 13917

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11865-2014 proposto da:

R.L., C.F. (OMISSIS), V.G. C.F. (OMISSIS),

PO.GE. C.F. (OMISSIS), PA.SA. C.F. (OMISSIS), tutti

elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 9, presso lo

studio dell’avvocato ANTONELLA MASTROCOLA, rappresentati e difesi

dagli avvocati CARLO MANCUSO, DOMENICO MANCUSO, giusta delega in

atti;

– ricorrenti –

contro

AUTOSTRADE PER L’ITALIA S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

L.G. FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato ENZO MORRICO, che

la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 1192/2012 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 02/05/2013 R.G.N. 536/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/01/2017 dal Consigliere Dott. MATILDE LORITO;

udito l’Avvocato CARLO MANCUSO;

udito l’Avvocato VALERIA COSTANTINO per delega verbale Avvocato ENZO

MORRICO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato che ha concluso per il rigetto di entrambi i

ricorsi.

Fatto

FATTI DI CAUSA

P.A. e V.G. adivano il Tribunale di Salerno per conseguire pronuncia di accertamento della illegittimità dei termini apposti ad una serie di contratti di lavoro a tempo determinato stipulati con la società Autostrade per l’Italia s.p.a. e della intercorrenza fra le parti di un rapporto di lavoro sùbordinato a tempo indeterminato:

In tale giudizio intervenivano aì sensi dell’art. 105 c.p.c., fra gli altri, R.L., Pa.Sa., P.G. lamentando a propria volta, la nullità o illegittimità dei contratti a termine stipulati fra le parti per necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie, o per motivi di espansione del traffico in determinati periodi dell’anno.

Il giudice adito emetteva sentenza non definitiva, con cui dichiarava l’intercorrenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con decorrenza 16/6/1996 fra il R. e la società Autostrade, oltre alle retribuzioni spettanti a far tempo dal 5/10/2004.

Con sentenza definitiva n.4257/2008 accertava quanto ai ricorrenti P., V., Pa. e Po., la decorrenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato rispettivamente, per il primo, dal 1 luglio, e per gli altri dal 10 luglio 2003 e condannava la società al pagamento delle retribuzioni maturate dall’ottobre 2004.

Detta pronuncia veniva parzialmente riformata dalla Corte d’Appello di Salerno adita in via principale dalla società Autostrade per l’Italia che, in parziale accoglimento di detto gravame, condannava la società al pagamento di dieci mensilità in favore di R.L., e di sei mensilità in favore degli altri litisconsorti, ai sensi della L. 24 novembre 2010, n. 183, art. 32.

Avverso tale decisione interpongono ricorso per cassazione R.L., Pa.Sa., Po.Ge. e V.G., affidato ad unico motivo successivamente illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c..

Resiste con controricorso la società intimata che spiega ricorso incidentale sostenuto da sei motivi.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il rilievo potenzialmente assorbente di ogni altra questione induce ad esaminare con priorità il ricorso incidentale proposto dalla società Autostrade per l’Italia.

Con il primo motivo del ricorso incidentale si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 105 c.p.c..

Si censura l’impugnata sentenza per aver ritenuto legittimo l’intervento in causa dei lavoratori R.L., Pa.Sa., Po.Ge. sulla scorta del generico rilievo relativo alla identità delle pretese dagli stessi azionate rispetto a quelle introdotte dai ricorrenti principali. Si deduce, per contro, l’insussistenza di alcuna connessione sotto il profilo del petitum o della causa petendi della domanda proposta dagli intervenienti, che non consentiva di giustificare lo svolgimento di un símultaneus processus. Nel caso di specie, infatti, l’unico motivo sotteso all’intervento dei terzi, era da ricercarsi nel fatto che la società aveva stipulato con essi, nel corso degli anni, contratti di lavoro a termine al pari dei ricorrenti che avevano introdotto il giudizio di primo grado.

2. Il motivo è fondato.

Va infatti rimarcato – come anche affermato in dottrina – che la regola generale posta a fondamento della disciplina dell’intervento risiede nel fatto che attraverso di esso si realizza un litisconsorzio in un processo in corso sicchè, quando il litisconsorzio che in tal modo si attua è facoltativo, la legittimazione all’intervento di un terzo si fonda su una connessione oggettiva (in quanto affermata) fra l’azione in corso e quella che il terzo vuole esercitare o che si vuole esercitare contro di lui.

L’art. 105 c.p.c. disciplina infatti l’intervento volontario enunciando innanzitutto, al primo comma, la regola generale per cui la legittimazione all’intervento è fondata su una connessione oggettiva. L’intervento spontaneo può quindi avvenire da parte del terzo che voglia far valere un diritto che egli affermi essere effettivamente connesso con quello che costituisce oggetto del processo già pendente, sia sotto il profilo del petitum che della causa petendi.

In tale prospettiva si collocano gli approdi ai quali è pervenuta questa Corte secondo cui per l’ammissibilità’ dell’intervento principale (quando il terzo faccia valere il suo diritto in confronto di tutte le parti) o litisconsortile (ovvero adesivo autonomo, quando il terzo faccia valere il suo diritto in confronto di alcuna di esse) è sufficiente a farlo ritenere ammissibile la circostanza che la domanda dell’interveniente presenti una connessione od un collegamento con quella di altre parti relative allo stesso oggetto sostanziale, tali da giustificare un simultaneo processo (cfr. Cass. 11/7/2011 n. 15208, Cass. 23/3/2011 n. 6703), particolarmente allorchè la tutela del diritto vantato dall’interveniente sia incompatibile con quella vantata dall’una e/o dall’altra delle parti originarie (cfr. cass. 27/6/2007 n. 14844; Cass. 12/6/2006 n. 13557; Cass. 3/11/2004 n. 21060).

3. E’ stato al riguardo chiarito che il diritto che, a norma dell’art. 105 c.p.c., comma 1, il terzo può far valere in un processo pendente tra altre parti, in conflitto con esse o solo con alcune di esse, deve essere relativo all’oggetto, ovvero dipendente dal titolo, e, quindi, individuabile rispettivamente con riferimento al “petitum”, o alla “causa petendi” (vedi in motivazione Cass. cit. n.15208/2011, Cass.1/6/2004 n. 10530; Cass.22/10/2002 n. 14901).

Alla luce dei summenzionati principi, risulta evidente come nel caso in esame – al contrario di quanto affermato dalla corte di appello – non sia ravvisabile uno stretto collegamento logico e una palese connessione tra le domande inizialmente proposte dalle parti originarie del processo e le domande avanzate dagli interventori in via di intervento litisconsortile. Manca, infatti un unitario provvedimento datoriale cui connettere, sotto il profilo del petitum ovvero della causa petendi, l’interesse dei terzi ad intervenire nel processo, i quali non avrebbero potuto ricevere alcun pregiudizio, neanche di ordine pratico, dalla pronuncia resa inter alios, nei confronti dei ricorrenti principali, in relazione ai distinti ed autonomi contratti di lavoro a termine con essi stipolati.

Consegue dalle esposte considerazioni, la decisione della causa nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2 non essendo necessario esperire ulteriori accertamenti in fatto, con declaratoria di inammissibilità dell’intervento di R.L., Pa.Sa. e Po.Ge., e la reiezione del ricorso dagli stessi proposto. Le spese dell’intero processo possono, quindi, compensarsi fra le parti in ragione della complessità delle questioni trattate.

4. Con il secondo mezzo di impugnazione si denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 230 del 1962, art. 1, comma 2 con riferimento alla statuizione relativa alla illegittimità dei contratti per le intervenute proroghe, richiamandosi al riguardo i principi consolidati nella giurisprudenza di legittimità secondo cui la forma scritta ad substantiam è richiesta solo per l’apposizione del termine di durata e non anche per le situazioni di fatto che, a norma degli artt. 1 e 2 stessa legge, giustificano il ricorso al contratto a termine e la relativa proroga.

5. Con il terzo motivo si deduce violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4. Ci si duole che la Corte distrettuale abbia rigettato l’impugnazione proposta dalla società avverso la sentenza n. 1354 del 2009 nella parte in cui il giudice di prima istanza aveva dichiarato l’illegittimità dei termini apposti ai contratti stipulati nel 2003 dai lavoratori Pa., Po. e V., per sostituzione di lavoratori in ferie omettendo ogni specifica motivazione al riguardo.

6. Con il quarto motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2 c.c.n.l. di settore in base al quale è consentita l’apposizione di un termine alla durata del contratto per necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie o permessi nel periodo giugno-settembre e dicembre-gennaio. Si deduce la legittimità di detti contratti in quanto stipulati nell’arco temporale indicato dalla disposizione contrattuale collettiva.

7. Con il quinto motivo è denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. Si lamenta che la Corte distrettuale non abbia consentito di dimostrare la sussistenza dell’esigenza posta a fondamento del ricorso al lavoro a termine, nonostante avesse formulato specifiche richieste istruttorie in primo grado, reiterate in grado di appello.

8. Con il sesto motivo si deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32 criticandosi la quantificazione del danno stabilita dal giudice del gravame giacchè, in applicazione del citato art. 32, comma 6 il limite massimo della indennità avrebbe dovuto esser ridotto alla metà.

9. Il collegio reputa di dover applicare il principio processuale della ragione più liquida che consente di sostituire il principio dell’ordine delle questioni da trattare, di cui all’art. 276 c.p.c. con quello di evidenza, traendo detto principio, fondamento dalle disposizioni di cui agli artt. 24 e 111 Cost., interpretati nel senso che la tutela giurisdizionale deve risultare effettiva e celere per le parti in giudizio (cfr. Cass. S.U. 8.5.2014 n.9936; Cass. 28.5.2014 n.12002, Cass. Cass. 19/8/2016 n.17214).

Nell’ottica descritta, ritiene di poter esaminare in via pregiudiziale ed assorbente, il terzo motivo di ricorso.

10. Detto motivo è fondato.

Deve considerarsi che il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 applicabile nella fattispecie, introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). L’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

La parte ricorrente deve dunque indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) e all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui ne risulti l’esistenza, il “come” e il “quando” (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la “decisività” del fatto stesso” (Cass. sez. un. 22/9/2014 n. 19881). Nella riformulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 è dunque scomparso ogni riferimento letterale alla “motivazione” della sentenza impugnata e, accanto al vizio di omissione (seppur cambiato d’ambito e di spessore), non sono più menzionati i vizi di insufficienza e contraddittorietà. Ciò a supporto della generale funzione nomofilattica della Corte di Cassazione, quale giudice dello ius constitutionis e non, se non nei limiti della violazione di legge, dello ius litigatoris.

In questa prospettiva, proseguono le Sezioni Unite, la scelta operata dal legislatore è quella di limitare la rilevanza del vizio di motivazione, quale oggetto del sindacato di legittimità, alle fattispecie nelle quali esso si converte in violazione di legge: e ciò accade solo quando il vizio di motivazione sia così radicale da comportare, con riferimento a quanto previsto dall’art. 132 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per “mancanza della motivazione”.

Pertanto, l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità quale violazione di legge costituzionalmente rilevante attiene solo all’esistenza della motivazione in sè, e si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”,. nel “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”.

11. Applicando i suddetti principi alla fattispecie qui scrutinata, non può prescindersi dal rilievo che lo specifico l’iter motivazionale seguito dai giudici dell’impugnazione sia riconducibile ad una motivazione apparente, giacchè, pur facendo riferimento genericamente alla “espositiva in fatto, quale richiamante i principi di diritto dominanti in materia applicantisi agli sviluppi processuali”, in cui si faceva riferimento ai contratti stipulati successivamente al 2003 ed alla loro nullità in quanto collegati ad una esigenza superlavorativa estiva, non esplicita in guisa intellegibile le ragioni di reiezione del gravame interposto dalla società Autostrade avverso la sentenza n.1354/2009 avente ad oggetto tali contratti.

Discende, da quanto sinora detto, che il motivo va accolto, restando assorbiti gli altri successivi in ordine logico.

Logicamente assorbito è altresì l’unico motivo con il quale il ricorrente principale Vitolo ha denunciato violazione e falsa applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, commi 5 e 7 nonchè degli artt. 112 e 324 c.p.c. criticando gli approdi ai quali è pervenuta la Corte di merito in ordine alla domanda risarcitoria, sul rilievo della inapplicabilità alla fattispecie, della disposizione di cui al richiamato art. 32.

12. La sentenza, con riferimento alla posizione del V., deve essere quindi cassata con rinvio alla Corte designata in dispositivo che procederà a scrutinare la questione inerente alla legittimità dei termini apposti ai contratti stipulati a far tempo dal 2003, disponendo anche in ordine alle spese inerenti al presente giudizio di legittimità.

Infine si dà atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti principali R.L., Pa.Sa. e Po.Ge., dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

 

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso incidentale, e, decidendo nel merito, dichiara inammissibile l’intervento di R.L., Pa.Sa., Po.Ge. e compensa fra le parti le spese dell’intero processo. Accoglie altresì il terzo motivo del ricorso incidentale nei confronti di V.G., assorbiti gli altri motivi. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’Appello di Salerno in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio. Dichiara assorbito il ricorso principale proposto da V.G. e rigetta quello proposto dagli altri ricorrenti.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti principali R., Pa. e Po., dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 10 gennaio 2016.

Depositato in Cancelleria il 5 giugno 2017

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