Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13916 del 20/05/2021

Cassazione civile sez. lav., 20/05/2021, (ud. 03/02/2021, dep. 20/05/2021), n.13916

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10722-2015 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati

CLEMENTINA PULLI, MAURO RICCI, EMANUELA CAPANNOLO;

– ricorrente –

contro

B.D.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1589/2014 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 19/01/2015 R.G.N. 173/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/02/2021 dal Consigliere Dott. DANIELA CALAFIORE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VISONA’ STEFANO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato PATRIZIA CIACCI, per delega verbale Avvocato

EMANUELA CAPANNOLO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 1589 del 2014, la Corte d’appello di Bologna ha rigettato l’impugnazione proposta dall’INPS avverso la sentenza del Tribunale di Forlì di accoglimento della domanda proposta da B.D. al fine di ottenere la declaratoria di irripetibilità delle somme che l’INPS aveva chiesto in restituzione per la erronea attribuzione dei ratei di assegno sociale, erogato ai sensi della L. n. 118 del 1971, art. 19 percepiti dal 2009 al 2011.

2. La Corte territoriale ha respinto la tesi dell’Istituto incentrata sull’affermata applicazione della disciplina dell’indebito assistenziale contenuta nel D.L. n. 263 del 2003, art. 42, comma 5 conv. in L. n. 326 del 2003, anzichè di quella prevista nella L. n. 88 del 1989, art. 52 come interpretato autenticamente dalla L. n. 412 del 1991, art. 13 in quanto tali ultime disposizioni erano quelle applicabili alla fattispecie posto che l’INPS non aveva contestato la effettiva sussistenza di un proprio errore nell’erogazione del trattamento, effettuata nonostante la conoscenza dei dati reddituali ostativi comunicati con la dichiarazione del 26 agosto 1996; l’applicazione della L. n. 88 del 1989, art. 52 discendeva dalla l’identità di natura tra la L. n. 118 del 1971, art. 19 e la L. n. 153 del 1969, art. 26 come modificato dalla L. n. 335 del 1995.

4. Avverso tale sentenza ricorre per cassazione l’INPS sulla base di un motivo. B.D. è rimasto intimato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

5. Con l’unico motivo l’INPS deduce la violazione ed errata applicazione della L. n. 412 del 1991, art. 13, della L. n. 118 del 1971, art. 19 nonchè del D.L. n. 269 del 2003, art. 42, comma 5, conv. in L. n. 326 del 2003 e dell’art. 2033 c.c.

Si evidenzia che l’indebito era stato determinato dalla percezione di somme a titolo di assegno sociale derivante dalla trasformazione dell’assegno di invalidità civile L. n. 118 del 1971, ex art. 19 e che, per tale ragione, attesa la permanente natura assistenziale della prestazione indebita per superamento del limite reddituale, non può trovare applicazione la disciplina dell’indebito previdenziale contenuta nella L. n. 412 del 1991, art. 13 ma quella dell’indebito assistenziale che, in sostanza, si rinviene nel disposto dell’art. 2033 c.c. e nelle specifiche previsioni relative a ciascuna prestazione, secondo la discrezionale valutazione del legislatore, come disposto dal D.L. n. 269 del 2003, art. 42, comma 5, conv. in L. n. 326 del 2003 ma solo per ratei maturati prima del 2 ottobre 2003).

6. Il ricorso è infondato, dovendosi tuttavia correggere la motivazione ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c.

La formulazione del motivo si incentra sulla natura assistenziale e non previdenziale della prestazione indebita che è, come si è detto, l’assegno sociale erogato ai sensi della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 6.

Sostiene il ricorrente che se l’indebito è riferito ad una prestazione assistenziale, al di fuori delle ipotesi qui non ricorrenti espressamente regolate dalla legge, l’unica disciplina applicabile sarebbe l’art. 2033 c.c. che non subordina l’obbligo di restituzione a particolari stati soggettivi dell’accipiens ad eccezione della decorrenza degli interessi.

8. In linea generale, può affermarsi che sono prestazioni assistenziali quelle riconducibili all’art. 38, comma 1, laddove è disposto che quanti siano privi dei mezzi necessari per vivere hanno diritto al mantenimento ed all’assistenza sociale. Inoltre, per il D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112, art. 128 richiamato dalla L. n. 328 del 2000, art. 1, le prestazioni sociali constano di interventi configurabili quali attività relative alla predisposizione ed erogazione di servizi, gratuiti ed a pagamento, o di prestazioni economiche destinate a rimuovere e superare le situazioni di bisogno e di difficoltà che la persona umana incontra nel corso della vita.

9. All’interno di questo riferimento generale, che fornisce i parametri positivi di qualificazione delle prestazioni economiche pubbliche, va esaminata la misura economica dell’assegno sociale previsto dalla L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 6, la cui natura assistenziale non è possibile mettere seriamente in dubbio posto che, oltre che rispondere alle finalità sopra indicate, non attinge ad alcuna provvista contributiva gravando sulla fiscalità generale (Cass. n. 16088 del 2020).

10. Tale qualificazione induce a svalutare, ai fini dell’individuazione della disciplina dell’indebito, il rinvio testuale che la L. n. 88 del 1989, art. 52, comma 1 opera(va) alla pensione sociale di cui alla L. n. 153 del 1969, prestazione da cui origina l’assegno sociale.

11. Se è vero, infatti, che la L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 7, prevede – per quanto non diversamente disposto- l’applicazione all’assegno sociale delle disposizioni in materia di pensione sociale di cui alla L. 30 aprile 1969, n. 153, e succ. modif. e integ., va accordato maggior peso a considerazioni di tipo sistematico poggiate sulla significativa modifica, non solo terminologica, che la prestazione ha subito variando da “pensione” ad “assegno” posto che, come notato in dottrina, la trasformazione è sostanziale, perchè cambia la natura della prestazione medesima, che assume il carattere della provvisorietà laddove la pensione ha il carattere della definitività.

12. Dunque, contrariamente a quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, non può farsi applicazione della disciplina della ripetizione dell’indebito tracciata dalla L. n. 88 del 1989, art. 52 e dalla L. n. 412 del 1991, art. 13.

Tali disposizioni, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità (da ultimo vd. Cass. n. 31373 del 2019), sono infatti volte a disciplinare esclusivamente una indebita erogazione in relazione ad un rapporto previdenziale pensionistico, nè pare possibile adottare un’interpretazione analogica della citata disposizione introdotta dal legislatore del 1989, ostandovi la consolidata giurisprudenza di legittimità nel senso del carattere eccezionale delle disposizioni sull’indebito, non suscettibili di interpretazione analogica ed applicazione ad altre prestazioni previdenziali (v., fra le altre, Cass. n. 28517 del 2008; Cass. n. 3824 del 2011) o assistenziali indebite (v., fra le altre, Cass. nn. 15550 e 15719 del 2019, Cass. nn. 28771 e 5059 del 2018).

13. E’ vero, in sostanza, che, come sostiene l’INPS, in materia di indebito assistenziale non si possa fare applicazione della disciplina della L. n. 412 del 1991, art. 13, che si riferisce all’indebito previdenziale. Ma, deve pure darsi atto della giurisprudenza formatasi a proposito della disciplina dell’indebito assistenziale, a partire da quella che si è occupata di segnare i confini tra la generale sfera di applicabilità dell’art. 2033 c.c. e la disciplina espressa dallo speciale settore dell’ordinamento assistenziale.

14. La giurisprudenza della Corte Costituzionale in materia di indebito assistenziale pur affermando (con le ordinanze n. 264/2004 e n. 448/2000) che non sussiste un’esigenza costituzionale che imponga per l’indebito previdenziale e per quello assistenziale un’identica disciplina, ha ritenuto che operi anche “in questa materia un principio di settore, onde la regolamentazione della ripetizione dell’indebito è tendenzialmente sottratta a quella generale del codice civile” (ord. n. 264/2004). La Corte Costituzionale ha evidenziato che ” (…) il canone dell’art. 38 Cost., appresta al descritto principio di settore una garanzia costituzionale in funzione della soddisfazione di essenziali esigenze di vita della parte più debole del rapporto obbligatorio, che verrebbero ad essere contraddette dalla indiscriminata ripetizione di prestazioni naturaliter già consumate in correlazione – e nei limiti – della loro destinazione alimentare (C. Cost. n. 39 del 1993; n. 431 del 1993)”.

15. Su questa premessa, Cassazione n. 12406 del 2003 ha affermato che “(…) l’esigenza di interpretazione costituzionalmente orientata al rispetto dell’art. 38 Cost., comma 1, quanto alla necessaria protezione apprestata dal sistema di assistenza sociale, impone di considerare auto applicativo il principio di settore richiamato dalla (…) giurisprudenza della Corte costituzionale, inteso come idoneo a coprire tendenzialmente l’area dell’indebito assistenziale”.

Pertanto, restano disciplinate dall’art. 2033 c.c. solo le ipotesi in cui la fattispecie concreta difetti degli elementi essenziali per consentire l’ingresso all’interno del settore protetto, come ad esempio accade quando la prestazione sia stata erogata senza che il percettore ne abbia fatto domanda, ovvero quando non vi sia alcuna relazione tra la prestazione e la situazione di fatto esistente, poichè in entrambi i casi non si giustifica la deroga alla disciplina comune dell’indebito.

16. Una volta, però, che la concreta fattispecie si collochi all’interno del settore assistenziale, la giurisprudenza di questa Corte ha individuato, in relazione alle singole e diversificate fattispecie esaminate, una articolata disciplina che distingue vari casi, a seconda che il pagamento non dovuto afferisca, volta per volta, alla mancanza dei requisiti reddituali, di quelli sanitari, di quelli socio economici (incollocazione o disoccupazione) o a questioni di altra natura (come ad es. l’esistenza di ricovero ospedaliero gratuito nel caso dell’indennità di accompagnamento).

17. In tali direzioni si è andato consolidando il principio secondo il quale (Cass. n. 16080 del 2020; Cass. n. 11921 del 2015; Cass. n. 1446 del 2008), trova applicazione la regola, propria del sottosistema assistenziale, che esclude la ripetizione in presenza di situazioni di fatto variamente articolate, ma comunque aventi generalmente come minimo comune denominatore la non addebìtabilità all’accipiens della erogazione non dovuta ed una situazione idonea a generare affidamento. Regole specifiche ricorrono per l’indebito riconnesso al venire meno dei requisiti sanitari (L. n. 448 del 1998, art. 37, comma 8), che consente la ripetibilità fin dal momento dell’esito sfavorevole della visita di verifica, mentre altro discorso va fatto rispetto all’indebito riconnesso ai venire meno dei requisiti economici (in tal senso Cass. 28771 del 2018).

18. Il ricorrente sostiene che, rispetto al venire meno dei requisiti economici, la regola sarebbe quella di piena ripetibilità e che essa andrebbe desunta dal disposto del D.L. n. 269 del 2003, art. 42, comma 5, conv. in L. n. 326 del 2003 e ciò in quanto la disposizione, dopo avere demandato ad una determinazione interdirigenziale la fissazione delle modalità tecniche per le verifiche telematiche sui redditi, afferma che “non si procede alla ripetizione delle somme indebitamente percepite, prima della data di entrata in vigore del presente decreto, dai soggetti privi dei requisiti reddituali”. Sicchè, secondo l’ente erogatore, dalla limitazione della ripetibilità ai periodi anteriori rispetto all’entrata in vigore del decreto legge, dovrebbe trarsi la conclusione che, rispetto ai periodi successivi, varrebbe un regime di piena ripetibilità, secondo le regole civilistiche di cui all’art. 2033 c.c.

19. Tale conclusione, in conformità con quanto già espresso da Cass. n. 28771 del 2018 citata, non può però essere condivisa, in quanto le disposizioni richiamate non implicano un necessario contrasto rispetto alle precedenti previsioni generali secondo cui la ripetizione è ammessa solo dal momento dell’accertamento da parte dell’ente dell’indebito, previsioni da ravvisare secondo la giurisprudenza di questa Corte di cassazione nel quadro normativo costituito dal D.L. n. 850 del 1976, art. 3 ter, convertito in L. n. 29 del 1977, dal D.L. n. 173 del 1988, art. 3, comma 9, convertito nella L. n. 291 del 1988 (cfr. Cass. 1 ottobre 2015, n. 19638; Cass. 17 aprile 2014, n. 8970; Cass. 23 gennaio 2008, n. 1446; Cass. 28 marzo 2006, n. 7048; Cass. n. 1446 del 2008; Cass. 26 aprile 2002, n. 6091).

La disposizione in commento, per un verso, non contiene nulla di esplicito rispetto alla disciplina, per il futuro, della ripetibilità; del resto essa conserva comunque portata normativa, ove la si intenda quale generalizzata sanatoria del pregresso, estesa anche al caso in cui vi fossero già stati accertamenti di indebito, in connessione con le regole interdirigenziali di verifica che venivano contestualmente previste.

20. Dunque non può dirsi che la disposizione in questione abbia l’effetto di escludere l’indebito derivante dal venir meno dei requisiti reddituali dall’applicazione della citata disciplina generale dell’indebito assistenziale.

Anzi, dall’insieme delle norme e delle pronunce sopra esaminate si trae conferma del principio secondo il quale l’indebito assistenziale per venire meno dei requisiti reddituali, inteso rigorosamente quale venir meno del titolo all’erogazione di una prestazione che era stata chiesta e si aveva diritto a percepire, determina il diritto a ripetere le somme versate solo a partire dal momento in cui l’ente preposto accerti il superamento dei requisiti reddituali; ciò a meno che risulti provato che l’accipiens si trovasse, al momento della percezione, in situazione nella quale manchi l’affidamento alla cui tutela sono preposte le norme limitative della ripetibilità dell’indebito.

21. In definitiva, e con riguardo particolare alla presente fattispecie ove l’indebito risulta essersi determinato in ragione dei maggiori redditi percepiti ostativi all’assegno sociale erogato L. n. 335 del 1995, ex art. 3, comma 6, (coerentemente con quanto affermato da Cass. n. 16088 del 2020; Cass. n. 26036 del 15/10/2019; Cass. n. 28771 del 2018; Cass. n. 1446 del 2008) va riaffermato il principio secondo il quale, in assenza di norme specifiche che dispongano diversamente, l’indebito è ripetibile solo a partire dal momento in cui intervenga il provvedimento che accerta il venir meno delle condizioni di legge, e ciò a meno che non ricorrano ipotesi che escludano qualsivoglia affidamento dell’accipiens. La ripetizione sarà possibile in presenza di una situazione di fatto avente come minimo comun denominatore la non addebitabilità al percipiente della erogazione non dovuta e la presenza di un legittimo affidamento.

22. La sentenza impugnata, risolvendo la questione attraverso l’applicazione della L. n. 412 del 1991, art. 13, comma 1, che ha interpretato le disposizioni di cui alla L. 9 marzo 1989, n. 88, art. 52, comma 2, della non ha deciso, sotto tale profilo, in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte sopra indicata.

Tuttavia, dopo aver accertato in fatto che l’INPS non aveva mai disconosciuto di aver ricevuto la dichiarazione reddituale del 26 agosto 1998 attestante la percezione da parte del B. di un reddito annuo di Lire 22.265.000 derivante da pensione di invalidità e, quindi, ostativo alla fruizione dell’assegno sociale, ha dedotto, con procedimento logico presuntivo non criticato in questa sede, che non fosse addebitabile all’accipiens l’erronea erogazione e che, quindi, vi era una situazione idonea a fondare l’affidamento circa la effettiva spettanza del diritto.

23. Per le considerazioni che precedono, corretta la motivazione nei sensi di cui sopra, il ricorso deve essere rigettato.

Non si deve provvedere sulle spese del giudizio di legittimità in difetto di attività difensiva da parte di B.D..

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 3 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2021

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