Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13915 del 22/05/2019

Cassazione civile sez. I, 22/05/2019, (ud. 08/11/2018, dep. 22/05/2019), n.13915

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7818/2014 proposto da:

Studio C. – Studio di Ingegneria Civile – Associazione

Professionale, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma, via Principessa Clotilde n. 2,

presso lo studio dell’avvocato Clarizia Angelo, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato Rostagno Simona, giusta procura in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Fallimento (OMISSIS) s.p.a., in persona del curatore avv.

M.R., elettivamente domiciliato in Roma, Via Giuseppe Avezzana n.

13, presso lo studio dell’avvocato Lendvai Alessandro, che lo

rappresenta e difende, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5084/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 01/10/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

08/11/2018 dal Cons. Dott. ALDO ANGELO DOLMETTA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.- Nell’ottobre del 1999 lo Studio C. ha presentato domanda di insinuazione nel passivo fallimentare della s.p.a. (OMISSIS), a titolo di compenso per attività professionale svolta nell’interesse di questa (“sviluppo di progetti esecutivi in forma cantierabile, realizzato a favore di società appaltatrice di lavori pubblici per il committente Anas e per l’esecuzione di lotti di strade della penisola italiana). Il giudice delegato non ha ammesso il credito, ritenendo non provata la sussistenza del rapporto tra lo Studio C. e la (OMISSIS).

2.- Con sentenza del maggio 2002, il Tribunale di Roma ha respinto l’opposizione all’esclusione proposta dallo Studio, osservando, in particolare, come questo non avesse provato il conferimento dell’incarico professionale da parte della (OMISSIS) in bonis, nè l’effettivo svolgimento di un’attività professionale in esecuzione di questo.

3.- La Corte di Appello di Roma, con pronuncia dell’ottobre 2005, ha poi respinto l’impugnazione proposta avverso la decisione del Tribunale, sulla base del diverso e pregiudiziale rilievo del “difetto di legittimazione attiva dello Studio C. rispetto ai crediti maturati dai singoli professionisti, per le prestazioni effettuate in favore della società”.

4.- Con sentenza depositata il 15 luglio 2011, n. 15694, questa Corte ha accolto il quinto motivo del ricorso formulato dallo Studio C., altresì respingendo il ricorso in via incidentale proposto dal Fallimento (OMISSIS).

La Corte ha ritenuto, in particolare, che “il giudice del merito ha offerto una interpretazione riduttiva del fenomeno associativo fra professionisti, configurandolo da un lato come univocamente finalizzato alla divisione delle spese e alla gestione congiunta dei proventi e, dall’altro, come inidoneo ad attribuire all’associazione la titolarità di un rapporto professionale”. “Tale configurazione” – si è proseguito – “non è in linea nè con la normativa vigente, atteso che l’art. 36 c.c., stabilisce che l’ordinamento interno e l’amministrazione delle associazioni non riconosciute sono regolati dagli accordi tra gli associati, nè con l’esito degli accertamenti compiuti dal giudice del merito sul contenuto dei detti accordi, considerato che la sentenza impugnata è priva di riferimenti in punto di fatto ipoteticamente idonei a legittimare la conclusione ivi formulata. Da ciò deve dunque desumersi che è ben possibile che nella fattispecie oggetto di esame l’accordo fra gli associati avesse un contenuto diverso da quello indicato dalla Corte territoriale e pertanto, per la parte di interesse, che gli associati possano avere negozialmente attribuito all’associazione la legittimazione a stipulare contratto e ad acquisire la titolarità di rapporti poi delegati ai singoli aderenti e da essi personalmente curati”.

Sulla scorta di tali considerazioni, la Corte ha cassato con rinvio la sentenza impugnata.

5.- Riassunto il giudizio avanti alla Corte di Appello di Roma, quest’ultima, con pronuncia depositata il primo ottobre 2013, ha “respinto l’appello proposto avverso la sentenza del Tribunale di Roma, sezione fallimentare, n. 17667/2002”.

Con “riferimento alla questione pregiudiziale e assorbente del difetto di legittimazione attiva della associazione professionale Studio C. – rilevata d’ufficio dalla Corte di Appello nella sentenza cassata -alla stregua dei profili individuati dalla Corte di Cassazione e ritenuto condizionanti la affermazione della legittimazione ad agire dell’associazione”, infatti, il giudice del rinvio ha ritenuto la “insussistenza della stessa, incombendo indubbiamente sulla parte che chiede l’ammissione al passivo fallimentare di fornirne la prova”. “Sotto questo aspetto, deve rilevarsi” – ha spiegato la Corte romana – “che non si rinviene in atti il fascicolo di parte di primo grado della odierna appellante”.

“Il fascicolo non consta essere stato ridepositato in occasione della costituzione nel presente giudizio di rinvio dalla parte”. E’ in atti altresì il fascicolo di parte della odierna appellante relativo al giudizio di cassazione, con ivi allegato fascicolo di parte del primo grado, che pure compare nell’indice del primo giudizio di appello sub doc. n. 66″: “ma, in difetto di formale produzione in questa fase di detti fascicoli di parte con attestazione di nuovo deposito ex art. 74 disp. att. c.p.c. da parte della cancelleria si deve ritenere che la mancanza del doc. sub n. 66 non sia imputabile ad inadeguata conservazione del fascicolo da parte della cancelleria”.

“Il mancato rinvenimento dei fascicoli di parte non può che essere imputato alla parte medesima. D’altro canto, i documenti si considerano ritualmente prodotti in giudizio quando siano posti nella reale disponibilità dell’ufficio per essere inseriti nel fascicolo di parte con l’adempimento delle formalità previste dagli artt. 74 e 87 disp. att. c.p.c.. Ne consegue che in caso di mancato rinvenimento nel giudizio di appello, affinchè sorga l’obbligo del giudice di disporne la ricerca, con i mezzi a sua disposizione, eventualmente disponendo l’attività ricostruttiva del loro contenuto, la parte è tenuta a dedurre e a riscontrare di avere adempiuto le formalità per il loro deposito”.

6.- Avverso quest’ultima pronuncia ricorre lo Studio C., articolando due motivi di cassazione.

Resiste con controricorso il Fallimento.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

7.- Il primo motivo di ricorso è rubricato “violazione e falsa applicazione degli artt. 115,165 e 169 c.p.c. e art. 74 disp. att. c.p.c. e art. 2729 c.c., ex art. 360 c.p.c., n. 3”.

Sostiene in proposito il ricorrente che la “funzione dell’art. 74 disp. att. c.c., comma 4, è quella di attestazione dell’avvenuto deposito dei documenti presso la cancelleria del giudice adito”; pertanto, la “stessa non può assurgere a una presunzione iuris et de iure nell’ipotesi in cui detta attestazione non si rinvenga con conseguente capitale pregiudizio per la parte che non riesca a dimostrare l’avvenuto deposito”.

Aggiunge che, nel concreto, la Corte di Appello non ha dichiarato, all’epoca in cui fu investita per la prima volta della controversia, l’improcedibilità dell’appello (come avrebbe dovuto fare, se il fascicolo non fosse stato depositato) a suo tempo proposto dallo Studio C.: non avendolo fatto – argomenta – il “giudice doveva ritenere adempiute le formalità prescritte dagli artt. 74 e 87”. “In mancanza di contestazioni sulla produzione in giudizio del fascicolo si profila una presunzione secondo la quale il fascicolo non sia mai stato ritirato dall’appellante dopo il suo deposito”.

8.- Il motivo merita di essere accolto.

La Corte territoriale ha ritenuto la necessità, nella specie, di un nuovo e apposito deposito del fascicolo di parte di primo grado: in quanto specificamente richiesto, in qualunque caso, per la fase di svolgimento del giudizio di rinvio.

Essa, tuttavia, non ha indicato la ragione per cui si dovrebbe stimare comunque indispensabile un deposito ad hoc di tale fascicolo. Nè, per vero, si vede la ragione di un simile incombente nel caso in cui il fascicolo sia stato già depositato e non sia stato successivamente ritirato.

9.- Dall’esame degli atti processuali risulta che il fascicolo di parte di primo grado venne depositato come doc. n. 66 (“fascicolo di parte primo grado”) dei documenti prodotti nell’interesse dello Studio C. nell’ambito del giudizio R.G. 3835/2003, con in calce la richiesta attestazione della cancelleria.

Non risulta, d’altro canto, che detto fascicolo sia mai stato ritirato, non essendo rinvenibile, in proposito, alcuna attestazione del cancelliere custode del fascicolo depositato (per l’espressione di questo principio v. già Cass. 18 febbraio 1986, n. 977: “il ritiro” del fascicolo “deve sempre avvenire per il tramite e con l’annotazione del cancelliere preposto alla custodia degli atti processuali”).

10.- Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, “ove non risulti alcuna annotazione dell’avvenuti ritiro del fascicolo di una parte, il giudice non può rigettare una domanda, o un’eccezione, per mancanza di una prova documentale inserita nel fascicolo di parte, ma deve disporre le opportune ricerche tramite la cancelleria, e, in caso di esito negativo, concedere un termine all’appellante per la ricostruzione del proprio fascicolo, presumendosi che le attività delle parti e dell’ufficio si siano svolte nel rispetto delle norme processuali e, quindi, che il fascicolo, dopo l’avvenuto deposito, non sia mai stato ritirato. Soltanto in caso di insuccesso delle ricerche da parte della cancelleria, ovvero in caso di inottemperanza della parte all’ordine di ricostruire il proprio fascicolo, il giudice dovrà pronunciare sul merito della causa in base agli atti a sua disposizione” (cfr., tra le altre, Cass., 29 gennaio 2016, n. 1806; Cass., 3 giugno 2014, n. 12369; Cass., 14 marzo 2011, n. 5933; Cas. 12 dicembre 2008, n. 29262).

11.- Il secondo motivo di ricorso assume “violazione o falsa applicazione di norma di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, con riguardo alla liquidazione delle spese del giudizio, che è stata effettuata dalla sentenza impugnata.

L’accoglimento del primo motivo di ricorso comporta assorbimento di questo motivo.

12.- In conclusione, va accolto il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo. Di conseguenza, va cassata la sentenza impugnata e la controversia va rinviata alla Corte di Appello di Roma, che, in diversa composizione, giudicherà in conformità alle regole sopra indicate, pure provvedendo alle determinazioni relative alle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la controversia alla Corte di Appello di Roma che, in diversa composizione, provvederà pure alle determinazioni relative alle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 8 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2019

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