Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13914 del 20/05/2021

Cassazione civile sez. lav., 20/05/2021, (ud. 28/01/2021, dep. 20/05/2021), n.13914

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25712-2015 proposto da:

L.A.M., B.M., S.E.C.M.,

P.D., T.F., G.M., tutti elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA FLAMINIA 109, presso lo studio

dell’avvocato BIAGIO BERTOLONE, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO, in persona del Ministro pro

tempore – ICE – AGENZIA PER LA PROMOZIONE ALL’ESTERO E

L’INTERNAZIONALIZZAZIONE DELLE IMPRESE ITALIANE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, tutti rappresentati e difesi

dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domiciliano

ope legis, in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI n. 12;

– resistenti con mandato –

avverso la sentenza n. 3450/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 21/04/2015 R.G.N. 9225/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/01/2021 dal Consigliere Dott. ROBERTO BELLE’;

il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Dott. MUCCI ROBERTO,

visto il D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8 bis

convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020, n. 176, ha

depositato conclusioni scritte.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con separati ricorsi al Tribunale di Roma, poi riuniti, i ricorrenti meglio indicati in epigrafe, dipendenti dell’Istituto Commercio Estero (ICE), hanno convenuto in giudizio il medesimo al fine di far accertare il loro diritto ad ottenere la considerazione, nel calcolo degli accantonamenti per il t.f.r. spettante per il periodo dal 1990 al 2004, di alcune voci retributive percepite (premio prod. aree; premio prod. ex art. 15 etc.), che l’ente riteneva di non valutare per i fini predetti. La domanda è stata rigettata in primo grado, con pronuncia poi confermata dalla Corte di Appello di Roma, la quale riteneva che non operasse per i rapporti dedotti in giudizio l’art. 2120 c.c. e quindi il regime del t.f.r., dovendosi applicare la disciplina legale di cui alla L. n. 13 del 1975 ed argomentando altresì la Corte rispetto al “carattere non stipendiale delle voci retributive di cui è stato chiesto il computo ai fini dell’indennità di buonuscita”.

2. I lavoratori hanno proposto ricorso per cassazione con quattro motivi. I.C.E.-Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane (Agenzia ICE) e il Ministero dello Sviluppo Economico (MISE), nel corso del processo subentrati in forza del D.L. n. 98 del 2011, art. 14 nei rapporti giuridici già facenti capo all’ICE hanno depositato soltanto atto di costituzione in giudizio, senza svolgere difese.

3. In esito all’entrata in vigore del D.L. n. 137 del 2020, art. 8, comma 23-bis conv. con mod. in L. n. 176 del 2020 la causa, già fissata per la trattazione in pubblica udienza, è stata avviata alla definizione nelle forme camerali.

Il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte, con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.

I ricorrenti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione (art. 360 c.p.c., n. 3) dell’art. 111 Cost., art. 183 c.p.c., comma 4, art. 101 c.p.c., comma 2, art. 420 bis c.p.c., art. 112 c.p.c., sostenendo che il Tribunale e la Corte d’Appello avessero ritenuto applicabile un regime giuridico, in ultimo quello della L. n. 70 del 1975, art. 13, comma 1, senza provocare il contraddittorio sul punto e ciò nonostante la stessa Amministrazione, per il periodo interessato, avesse continuato ad applicare il regime del t.f.r., pur senza includere le voci retributive da loro rivendicate.

Con il secondo motivo è dedotta (art. 360 c.p.c., n. 3) violazione e falsa applicazione della L. n. 70 del 1975, art. 13, del D.P.R. n. 1032 del 1973, art. 38, argomentandosi in ordine alla persistenza del regime di t.f.r. per i dirigenti ICE, pur dopo il sopravvenire della L. n. 68 del 1997 e sottolineandosi come la sentenza impugnata nulla avesse affermato rispetto all’applicabilità nel caso in esame della L. n. 106 del 1989, quanto meno nel periodo 1990-1998.

Con il terzo motivo viene denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, la violazione e falsa applicazione della L. n. 106 del 1989, dei c.c.n.l. ICE 1990-1991, della L. n. 68 del 1997, del CCNL del comparto degli enti pubblici non economici 1998/2001, art. 46, dell’art. 56, comma 56 Accordo Quadro Nazionale in materia di t.f.r. e di previdenza complementare del 29 luglio 1999, della L. n. 449 del 1997, art. 59, comma 56, dell’art. 2120 c.c., dell’art.111 Cost., dell’art.112 c.p.c. e art. 132 c.p.c., n. 4, oltre ad omesso esame di un fatto decisivo (art. 360 c.p.c., n. 5), richiamando, sui medesimi presupposti di cui al secondo motivo, i conteggi allegati e predisposti dallo stesso ICE, con riferimento alle voci da inserire nel calcolo degli accantonamenti utili al t.f.r.

Il quarto motivo riguarda infine la liquidazione delle spese operata con la sentenza di appello, ritenuta eccessiva.

2. Il primo motivo non è fondato.

2.1 La Corte territoriale, nella prima parte della propria motivazione, ha infatti argomentato al fine di affermare, come poi ha fatto, che per i rapporti in giudizio non opererebbe in alcun modo il regime del t.f.r., ma quello della buonuscita ai sensi della L. n. 70 del 1975, art. 13.

In ciò sicuramente essa si è mossa lungo una linea giuridica autonoma rispetto a quella delle parti, ma lo ha fatto restando pienamente entro corretti binari processuali.

Infatti, a fronte di domande e difese che riguardavano le modalità di accantonamento a fini di t.f.r., la Corte non poteva certamente non verificare previamente se il regime applicabile al caso di specie fosse o meno quello del t.f.r. e ciò essa ha fatto negando che appunto quello fosse la disciplina propria del rapporto, in quanto destinato invece ad essere assoggettato alle regole sull’indennità di buonuscita per i dipendenti di enti del c.d. parastato.

Neppure può dirsi che vi fosse da sollecitare un qualche contraddittorio sul punto, ai sensi dell’art. 102 c.p.c., comma 2, in quanto non si trattava di muovere rilievi d’ufficio, quanto di valutare la base giuridica dell’azione dispiegata e dunque un profilo che, quale che dovesse essere la sua soluzione, era necessariamente ed ab origine interno ed immanente al contraddittorio.

Ciò esclude che sia mancata pronuncia sull’oggetto del contendere, così come ogni altra violazione processuale denunciata.

3. Venendo al secondo motivo, è incontestato che la controversia riguardi personale non dirigente già in servizio al 31.12.1995, valendo, per il personale assunto dopo, la disciplina di cui alla L. n. 335 del 1995, art. 2 secondo cui “per i lavoratori assunti dal 1 gennaio 1996 alle dipendenze delle Amministrazioni pubbliche di cui al D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, art. 1, i trattamenti di fine servizio, comunque denominati, sono regolati in base a quanto previsto dall’art. 2120 c.c. in materia di trattamento di fine rapporto”.

3.1 Il personale dell’ICE, ai sensi della L. n. 106 del 1989, art. 5, comma 5, fu sottoposto per legge, a partire dal 18.7.1990, alla disciplina della contrattazione collettiva privata del settore assicurativo, sotto il profilo del “trattamento economico dei dipendenti dell’Istituto” oltre che degli “aspetti dell’organizzazione del lavoro e del rapporto di impiego di cui alla L. 29 marzo 1983, n. 93, art. 3”.

Tale estensione, a quanto emerge dagli atti, è stata intesa dall’ente come riguardante anche il trattamento di fine rapporto ed alla luce della natura precipua di retribuzione differita che lo caratterizza, non può dirsi che tale interpretazione, non contestata dagli stessi dipendenti e su cui anzi essi fanno leva, sia stata errata.

Successivamente la disciplina legale è mutata.

Secondo la L. n. 68 del 1997, art. 10 infatti “il rapporto di lavoro dei dirigenti e del personale dell’ICE è disciplinato dai contratti collettivi del comparto degli enti pubblici non economici” (comma 1) e “alle materie non disciplinate dai contratti di cui al comma 1 si applica il regolamento del personale di cui all’art. 4, comma 3, lett. a)” (comma 2).

La riforma è stata intesa da questa Corte nel senso che essa avesse comportato un’evoluzione dei rapporti di lavoro verso il regime del pubblico impiego privatizzato (Cass. 20 giugno 2016, n. 12679).

Nel 2011, VICE è stato poi soppresso ed il personale è stato distribuito tra la nuova Agenzia ICE e il MISE, ma la norma (D.L. n. 98 del 2011, art. 14 comma 26-octies) ha previsto che “ai dipendenti trasferiti al Ministero dello sviluppo economico e all’Agenzia di cui al comma 18 mantengono l’inquadramento previdenziale di provenienza nonchè il trattamento economico fondamentale e accessorio limitatamente alle voci fisse e continuative, corrisposto al momento dell’inquadramento”.

Non vi è quindi dubbio che tale ulteriore evoluzione ordinamentale non abbia comportato mutamenti nell’assetto dei diritti oggetto di causa che restano quindi da definire secondo la disciplina preesistente ad esso.

3.2 Con riferimento alla richiamata previsione di cui alla L. n. 68 del 1997, art. 10 mentre non vi è dubbio che la contrattazione collettiva in concreto non sia intervenuta quanto ai dirigenti (sul punto v. Cass. 23 novembre 2020, n. 26598), il c.c.n.l. di Comparto (Enti Pubblici non Economici 1998-2001) ha stabilito all’art. 46, comma 5, che “la normativa relativa al trattamento di fine rapporto (TFR) in vigore presso l’ICE, così come in atto disciplinata in base agli artt. 33 e 34 del CCNL ICE 1990-1991 relativo al personale non dirigente, resta in vigore fino alla nuova disciplina del TFR da valere per il comparto secondo quanto previsto dall’art. 48”. Deve quindi ritenersi che, rispetto al personale non dirigente assunto prima del 31.12.1995, sia proseguito il regime di t.f.r. ad essi già precedentemente applicato.

Viene dunque meno il fondamento ultimo della decisione impugnata, ovverosia che il regime proprio del personale ricorrente fosse quello della buonuscita.

4. Da quanto sopra deriva l’accoglimento del secondo motivo e la cassazione della sentenza impugnata.

Resta invece assorbito il terzo motivo, con il quale principalmente si ripropongono le questioni sulle voci da considerare nel calcolo del predetto t.f.r.

Infatti, la Corte territoriale ha affrontato tale tema nella prospettiva del diverso istituto della buonuscita, sicchè la cassazione della sentenza per il fatto che il regime in questo caso è invece quello del t.f.r., necessariamente travolge, ex art. 336 c.p.c., comma 1, anche tale capo di decisione.

In definitiva, le questioni di cui al terzo motivo sono destinate a formare oggetto del giudizio di rinvio, onde apprezzare se e come esse vadano considerate nel calcolo del t.f.r.

Le ragioni del decidere comportano l’assorbimento anche del quarto motivo di ricorso, riguardante la liquidazione delle spese operata in appello.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigettato il primo ed assorbiti il terzo ed il quarto. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 28 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2021

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