Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13913 del 06/07/2020

Cassazione civile sez. lav., 06/07/2020, (ud. 11/02/2020, dep. 06/07/2020), n.13913

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12898-2016 proposto da:

F.C., in proprio e nella qualità di esercente la patria

potestà sulla figlia minore R.I., R.V.,

elettivamente domiciliate in ROMA, VIA SISTINA 121, presso lo studio

dell’avvocato ALBERTO PANUCCIO, rappresentate e difese dall’avvocato

DOMENICO DOLDO;

– ricorrenti –

contro

– A.P. CONDOTTE S.R.L., in persona del legale rappresentante pro

tempore, P.S., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

DE CESTARI 34, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI MUSITANO,

rappresentati e difesi dagli avvocati GREGORIO CALARCO e ANTONIO

SAFFIOTI;

– controricorrenti –

e contro

GENERALI BUSINESS SOLUTIONIS S.c.p.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 334/2016 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA, depositata il 12/03/2016. R.G.N. 52/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/02/2020 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CIMMINO ALESSANDRO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato DOMENICO DOLDO;

uditi gli Avvocati GREGORIO CALARCO e ANTONIO SAFFIOTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Reggio Calabria, in parziale accoglimento della domanda proposta da F.C., anche in rappresentanza delle figlie V. ed R.I., condannava A. P. Condotte s.r.l. al pagamento di Euro 211.766,06 in favore della prima e di Euro 219.910,91 in favore delle altre due, previa decurtazione di Euro 150.000,00 versati dalla chiamata in garanzia, Generali Business Solutions s.c.r.l, con valuta 25.1.2012, in relazione al massimale di polizza assicurativa, riconoscendo quale titolo di tale risarcimento del danno differenziale solo il danno non patrimoniale (danno morale e danno parentale) secondo le tabelle di liquidazione del Tribunale di Milano, con esclusione del danno patrimoniale differenziale e dei danni tanatologico e biologico.

2. La Corte d’appello di Reggio Calabria, con sentenza del 12.3.2016, accoglieva il gravame di A.P. Condotte s.r.l. e di P.R., rappresentante legale di tale società, ed, in riforma della sentenza impugnata, rigettava la domanda della F., compensando tra le parti le spese di lite del doppio grado.

2.1. Ripercorso l’iter fattuale, riferito al decesso di R.F., dipendente della società A.P. con qualifica di saldatore, che, nel porre in opera diffusori per un impianto di climatizzazione presso lo stabilimento Annunziata s.r.l. in (OMISSIS), era caduto, in data (OMISSIS), da un trabattello (ponteggio mobile su ruote) da due metri di altezza, riportando trauma cranico e midollare a seguito del quale era deceduto, alla formale imputazione per omicidio colposo e violazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro (D.P.R. n. 164 del 1956, art. 52, comma 3, ed D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 38) per la quale era stata concordata dal P. l’applicazione di pena ex art. 444 c.p.p., la Corte osservava che non solo la traslazione del trabattello non si era verificata, come emerso dall’istruttoria espletata, ma anche che l’installazione dello stesso era conforme alle specifiche norme Europee, potendo il “dispositivo appropriato” essere rappresentato anche dal solo freno, non essendo necessari, in presenza dello stesso, i cunei idonei a bloccare ciascuna ruota.

2.2. La Corte distrettuale rilevava, poi, che la formazione del lavoratore era stata coerente con le mansioni dallo stesso svolte e che le istruzioni, fornite ai dipendenti, erano state aggiornate ognì volta che intervenivano novità normative. Evidenziava come il R. fosse caduto non dalla scala montata al lato corto del trabattello e che, in ogni caso, sia ove fosse caduto mentre era già sul piano di lavoro, sia che fosse caduto mentre stava salendo dall’esterno del lato corto del ponteggio, sarebbe stata esclusa ogni responsabilità della società, anche nel secondo caso avendo il R. operato una scelta errata contravvenendo alle istruzioni della ditta produttrice del trabattello, che erano chiare nel suggerire la più sicura salita dall’interno. Tuttavia, pure escludendosi il rischio elettivo ove il R. fosse salito dal lato corto esterno del ponteggio, ciò non esonerava il datore da responsabilità, presupponendo l’esonero da responsabilità l’adempimento dell’obbligo di vigilanza, da assolvere in termini elastici, anche eventualmente assicurandosi solo che i lavoratori seguissero le disposizioni di sicurezza impartite ed utilizzassero gli strumenti di protezione prescritti, essendo inesigibile un continuo controllo personale di tutti i lavoratori e ponendo la normativa l’accento sull’obbligo propedeutico di natura informativa.

2.3. Osservava che a monte doveva rilevarsi come, per giurisprudenza pacifica, spettasse al lavoratore l’onere di provare la pericolosità dell’ambiente di lavoro e l’esistenza della condotta causativa del danno, laddove nel caso in esame non era stata raggiunta certezza sul dato che i fatti causativi dell’incidente fossero stati quelli proposti nella ricostruzione delle eredi F. ed esisteva un’alternativa almeno altrettanto ragionevole che avrebbe escluso qualsiasi responsabilità datoriale.

3. Di tale decisione hanno domandato la cassazione la F., in proprio e quale esercente la potestà sulla figlia minore R.I., e R.V., affidando l’impugnazione a sei motivi – illustrati nella memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c. -, cui hanno resistito, con unico controricorso, la società A.P. Condotte a r. L. ed il P.. La Generali Business Solutions S.C.p.A. è rimasta intimata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, le ricorrenti denunziano violazione e falsa applicazione del D.P.R. 7 gennaio 1956, n. 164, art. 52 e del D.Lgs. n. 235 del 2003, art. 36 quater, lett. d) in relazione al punto 5 della direttiva 2001/45/CE, e violazione e falsa applicazione D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, sostenendo che la Corte territoriale non abbia colto l’esatta portata del D.Lgs. n. 235 del 2003, art. 36 in quanto la Direttiva 2001/45/CE premette al punto 1) che l’art. 137, par 2 del Trattato prevede che il Consiglio possa adottare, mediante Direttiva, prescrizioni minime per promuovere il miglioramento dell’ambiente di lavoro al fine di garantire un più elevato livello di protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori, precisando, al punto 5, che “le disposizioni adottate ai sensi dell’art. 137, par 2 del Trattato non ostano a che un Stato membro mantenga o introduca misure compatibili con il trattato, che prevedano una maggiore protezione delle condizioni di lavoro”. Assumono che la Corte abbia male interpretato ed applicato il D.Lgs. n. 235 del 2003 che prevede solo requisiti minimi di sicurezza e che in tal modo abbia violato la direttiva, essendo previsto peraltro l’uso di cunei in ragione della loro maggiore sicurezza anche dal successivo D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, art. 140, n. 3. In sostanza ritengono che il D.Lgs. n. 235 del 2003 non abbia abrogato il testo del D.P.R. n. 164 del 1956, art. 52 ma si sia limitato ad integrare altra disposizione, ed esattamente il D.Lgs. n. 626 del 1994, prevedendo all’art. 3 i requisiti minimi di sicurezza e di salute per l’uso delle attrezzature di lavoro per l’esecuzione di lavori temporanei in quota. Osservano che anche il libretto di istruzioni per i ponteggi su ruote deponga in tal senso e che sia erroneo il riferimento nella sentenza impugnata a “soluzioni di efficacia equivalente” – rappresentate da ferma ruote e livellatori -, che sono richiamate dal citato D.Lgs. soltanto per l’ipotesi dell’art. 36, lett. a) riferita ai ponti fissi e non a quelli su ruote di cui alla lett. d).

2. Con il secondo motivo, le eredi R. si dolgono dell’omessa, apparente, incoerente motivazione in ordine alle ritenute non necessità di cunei e sufficienza di freni intesi quali dispositivi appropriati ed unico presidio di sicurezza per il blocco delle ruote; deducono il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, adducendo che la Corte abbia errato nel non ritenere obbligatori i cunei nonostante che significativi elementi probatori, già acquisiti in causa, avessero evidenziato l’obbligatorietà degli stessi, in tal senso deponendo il rapporto del Servizio Ispezioni del Lavoro del 4.6.2008 n. 13870, relazione confermata dal teste Ing. M.G., nella qualità di Responsabile dell’Unità Operativa Vigilanza, e ponendosi una diversa valutazione anche in contrasto con quanto descritto nel libretto di istruzioni, laddove la Corte distrettuale aveva individuato un asserito contrasto tra le avvertenze obbligatorie e la didascalia alla figura 3, propendendo per la non applicabilità delle prescrizioni di cui alle istruzioni obbligatorie. Rimarcano la confusione in cui sarebbe incorso il giudice del gravame tra misura equivalente e dispositivo appropriato in relazione alla funzione del freno in alternativa ai cunei di blocco delle ruote.

3. Con il terzo motivo, le ricorrenti lamentano omessa, apparente, incoerente motivazione in merito alla attivazione dei freni del trabattello, deducendo ancora una volta il vizio ex art. 360 c.p.c., n. 5, in base al rilevo che non era stata raggiunta la prova che il trabattello fosse stato frenato, sicchè, anche a voler aderire alla tesi “freni = dispositivi appropriati”, il datore avrebbe dovuto provare che l’uso dei freni fosse stato attuato, in difetto non potendo la presenza dei freni avere alcuna efficacia liberatoria.

4. Anche col quarto motivo, ascrivono alla sentenza impugnata omessa, apparente, incoerente motivazione in merito allo “scarrozzamento” del trabattello ed alle modalità dell’incidente, osservando che la dichiarazione in sede di s.i.t. dell’ A. sul mancato spostamento del ponteggio non era riscontrabile sul piano asseverativo e che anche il riferimento ai riscontri esterni individuati dal giudice del gravame nei rilievi fotografici, effettuati in unico contesto temporale, non costituiva un dato utilmente richiamabile unitamente alle dichiarazioni rese dai testi L. e Pa., che non escludevano che il ponteggio si fosse mosso, come poteva invece evincersi, secondo le ricorrenti, dalla circostanza che il R. fu rinvenuto a distanza di un metro e mezzo dallo stesso. Sul punto osservano che, contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte di Reggio Calabria, il Pa. aveva affermato di avere visto sempre il R. entrare dall’interno, essendo peraltro tale comportamento il più comodo per accedere al piano di lavoro. Rilevano l’illogicità anche della valutazione fondata sulla mancanza di tracce di scarrozzamento del trabattello, tracce che sarebbero state compatibili solo ove fossero stati installati i cunei sotto le ruote dello stesso.

5. Con il quinto motivo sono dedotte: a) violazione, falsa applicazione del D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, art. 38 violazione dell’obbligo di formazione ed addestramento in capo al datore di lavoro e b) violazione di legge sulla valutazione dell’inattendibilità della testimonianza di Pa.Lo., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 nonchè omessa, apparente, incoerente motivazione sull’assolvimento degli obblighi D.Lgs. n. 626 del 1994, ex art. 38 gravanti sul datore di lavoro, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, rilevandosi che l’ A. era stato ritenuto poco edotto delle regole fornite a mezzo delle necessarie istruzioni e pratiche informative della società, pure avendo egli assolto alle mansioni di operaio montatore, ed osservandosi che anche le dichiarazioni del Pa. erano state valutate in difformità ai criteri di esame delle prove, avendo lo stesso spostato la originaria linea difensiva.

6. Con il sesto ed ultimo motivo, si addebitano alla sentenza della Corte reggina violazione e falsa applicazione dell’art. 2087 c.c. dell’art. 2697c.c. e dell’art. 1218 c.c. in relazione al rischio elettivo, alla prova liberatoria ed alla responsabilità del datore, avuto anche riguardo alla sentenza del Tribunale ex art. 444 c.p.p.; si adduce che l’obbligo di vigilanza permaneva in capo al P., responsabile della sicurezza, che avrebbe dovuto vigilare che i cunei facessero effettivamente parte della dotazione e che gli operai li utilizzassero insieme ai caschi; si rileva come la ritenuta esistenza di un’alternativa altrettanto ragionevole, anche in presenza di assolvimento da parte delle eredi dell’onere probatorio su di esse incombenti, non risulti supportata da adeguata motivazione, senza trascurare il rilievo che la sentenza penale emessa ai sensi dell’art. 444 c.p.p., pur non implicando un accertamento capace di fare stato nel giudizio civile, contiene pur sempre un’ipotesi di responsabilità di cui il giudice del merito non può escludere la rilevanza senza adeguatamente motivare.

7. Va premesso che la sentenza qui impugnata, nel pervenire al rigetto della domanda delle istanti, si ferma al piano della prova del fatto, costituente inadempimento, che ha dato origine all’infortunio, cui in termini di oneri probatori a carico del lavoratore (o degli eredi che agiscono dopo il suo decesso) si aggiunge quello del nesso di causalità materiale tra l’inadempimento ed il danno. E’ principio reiteratamente affermato che la prova suddetta faccia carico al lavoratore e che l’onere probatorio sullo stesso gravante non si estenda anche alla colpa del datore di lavoro, nei cui confronti opera la presunzione ex art. 1218 c.c.

7.1. In particolare, è stato affermato che, nel caso di omissione di misure di sicurezza espressamente previste dalla legge, o da altra fonte vincolante, cd. nominate, la prova liberatoria incombente sul datore di lavoro si esaurisce nella negazione degli stessi fatti provati dal lavoratore; viceversa, ove le misure di sicurezza debbano essere ricavate dall’art. 2087 c.c., cd. innominate, la prova liberatoria è generalmente correlata alla quantificazione della misura di diligenza ritenuta esigibile nella predisposizione delle indicate misure di sicurezza, imponendosi l’onere di provare l’adozione di comportamenti specifici che siano suggeriti da conoscenze sperimentali e tecniche, quali anche l’assolvimento di puntuali obblighi di comunicazione (Cfr. in tali termini Cass. 26.4.2017 n. 10319, cui si aggiungono, ex multis, Cass. 9.6.2017 n. 14468, Cass. 8.10.2018 n. 24742, Cass. 29.3.2019 n. 14066).

7.2. Ciò precisato, va considerato che la Corte distrettuale ha con autonoma ed assorbente ratio decidendi affermato che non era emersa la prova, preliminare rispetto a quella del datore di lavoro di avere adottato le misure di sicurezza idonee a prevenire l’infortunio, che quest’ultimo ed il relativo danno subito dal lavoratore fossero derivati dalla mancata adozione di presidi di sicurezza, essendo stato evidenziato come non erano emersi dall’istruttoria dati oggettivi a conforto della traslazione del trabattello.

E’ stato al riguardo osservato come sia mancata ogni “certezza che i fatti causativi dell’incidente siano quelli proposti nella ricostruzione delle eredi F. ed esisteva una alternativa almeno altrettanto ragionevole che escluderebbe qualsiasi responsabilità datoriale”.

7.3. In tale prospettiva, assume rilievo ai fini del controllo in diritto del ragionamento della Corte quanto dedotto nel sesto motivo, posto che l’accoglimento di questo potrebbe assorbire ogni valutazione che negli altri motivi si incentra sul piano della verifica dell’assolvimento o meno degli obblighi datoriali, che presuppone, per quanto detto, il superamento in termini di affermazione dell’avvenuta prova di quanto è carico del lavoratore, tenuto a dimostrare il comportamento inadempiente del datore ed il nesso eziologico del danno con tale inadempimento, nella duplice possibilità di indicazione di misure di sicurezza nominate ovvero innominate.

7.4. Ed allora, nei termini in cui la prova suddetta è stata ancorata non solo alla istruttoria orale e documentale esperita nel presente giudizio, ma anche alla sentenza ex art. 444 c.p.p., sia pure in ragione di una valenza quale argomento ad adiuvandum attribuito alla stessa dal giudice del gravame (pag. 4 della sentenza d’appello), occorre, per ragioni di priorità logico giuridica, esaminare il motivo con il quale si contesta, oltre alla valutazione dell’estensione degli obblighi di vigilanza incombenti sul datore di lavoro, la erronea svalutazione della rilevanza della sentenza penale emessa ai sensi del citato articolo del codice di procedura penale, in un’ottica di bilanciamento di ragionevolezza della prospettazione ricostruttiva di ciascuna delle parti. Al riguardo va evidenziato come sia stato reiteratamente affermato da questa Corte che “la sentenza penale di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. costituisce indiscutibile elemento di prova per il giudice di merito il quale, ove intenda disconoscere tale efficacia probatoria, ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l’imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità, ed il giudice penale abbia prestato fede a tale ammissione; detto riconoscimento, pertanto, pur non essendo oggetto di statuizione assistita dall’efficacia del giudicato, ben può essere utilizzato come prova nel corrispondente giudizio di responsabilità in sede civile, atteso che in tal caso l’imputato non nega la propria responsabilità e accetta una determinata condanna, chiedendone o consentendone l’applicazione, il che sta univocamente a significare che il medesimo ha ritenuto di non contestare il fatto e la propria responsabilità.” (cfr., in continuità con i principi affermati da Cass. s. u. 31.7.2006, n. 17289, Cass. 7.2.2019 n. 3643; Cass. 6.8.2018 n. 20562, Cass. n. 30328/2017; si rimanda anche a Cass. n. 5313/2017; Cass. n. 3980/2016; Cass. S.U. n. 18701/2012; v., in particolare, Cass. 18.4.2013 n. 9456 in tema di esonero della controparte dall’onere della prova). E’ stato, altresì, precisato che “il giudice civile, ai fini del proprio convincimento, può autonomamente valutare, nel contraddittorio tra le parti, ogni elemento dotato di efficacia probatoria e, dunque, anche le prove raccolte in un processo penale e, segnatamente le dichiarazioni verbalizzate dagli organi di polizia giudiziaria in sede di sommarie informazioni testimoniali, e ciò anche se sia mancato il vaglio critico del dibattimento in quanto il procedimento penale è stato definito ai sensi dell’art. 444 c.p.p., potendo la parte, del resto, contestare, nell’ambito del giudizio civile, i fatti così acquisiti in sede penale.” (Cass. n. 2168/2013; cfr. anche Cass. n. 1593/2017 e Cass. 5317/2017).

7.5. La sentenza impugnata non si è attenuta ai richiamati principi di diritto laddove ha sminuito l’efficacia probatoria della sentenza di applicazione al P. della pena per il delitto di cui agli artt. 589 c.p., commi 1 e 2, ritenendo che correttamente il giudice di primo grado ne avesse considerato il valore di mero argomento ad adiuvandum nell’ambito della complessiva ponderazione delle prove emerse dall’istruzione autonoma della controversia in sede civile.

8. il ricorso merita pertanto accoglimento quanto alla censura formulata nel contesto del sesto motivo. Tutti gli altri motivi sono all’evidenza assorbiti dall’accoglimento di quello qui esaminato, essendo le questioni prospettate con gli stessi condizionate dalla valutazione che il giudice del rinvio è nuovamente tenuta ad effettuare.

9. La sentenza va cassata in parte qua e la causa va rinviata alla Corte di appello indicata in dispositivo – cui si demanda di provvedere alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità – che procederà a nuovo esame alla luce dei principi richiamati.

P.Q.M.

La Corte accoglie il sesto motivo, assorbiti gli altri, cassa la decisione impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di Reggio Calabria in diversa composizione, cui demanda anche la determinazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 11 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2020

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