Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13912 del 03/06/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 13912 Anno 2013
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: NOBILE VITTORIO

SENTENZA
sul ricorso 16194-2008 proposto da:
POSTE

ITALIANE S.P.A.,

in persona del

legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata
in ROMA, VIA PO 25-3, presso lo studio dell’avvocato
PESSI ROBERTO, che la rappresenta e difende giusta
delega in atti;
– ricorrente –

2013

contro

965

SAVIANO MARIA ROSARIA, già elettivamente domiciliata
in ROMA,

VIA TIBULLO N.10,

presso lo studio

dell’avvocato DOMENICO MAROCCO, rappresentata e difesa

Data pubblicazione: 03/06/2013

dall’avvocato GIOVAGNONI FABRIZIO, giusta delega in
atti e da ultimo domiciliata presso la CANCELLERIA
DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 36/2008 della CORTE D’APPELLO

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 14/03/2013 dal Consigliere Dott. VITTORIO
NOBILE;
udito l’Avvocato BUTTAFOCO ANNA per delega PESSI
ROBERTO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARIO FRESA, che ha concluso per
l’inammissibilità in subordine rigetto.

di PERUGIA, depositata il 11/03/2008 R.G.N. 1088/06;

R.G. 16194/2008
FATTO E DIRITTO

O

Con sentenza n. 1268/2005 il Giudice del lavoro del Tribunale di Perugia,
in accoglimento della domanda proposta da Maria Rosaria Saviano nei

apposto al contratto di lavoro concluso tra le parti per “esigenze eccezionali”
ex art. 8 ceni 1994 come integrato dall’acc. az. 25-9-97 e succ., per il periodo
1-4-1999/31-5-1999, con la conseguente sussistenza di un rapporto a tempo
indeterminato dal 1-4-1999, e condannava la società a riammettere la Saviano
nel posto di lavoro e a pagane il risarcimento del danno pari alle retribuzioni di
fatto dalla data della messa in mora (16-1-2003).
La società proponeva appello avverso la detta sentenza chiedendone la
riforma con il rigetto della domanda di controparte.
La Saviano si costituiva e resisteva al gravame.
La Corte di Appello di Perugia, con sentenza depositata 1’11-3-2008,
confermava la pronuncia di primo grado e condannava l’appellante al
pagamento delle spese.
Per la cassazione di tale sentenza la società ha proposto ricorso con tre
motivi.
La Saviano ha resistito con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c…
Infine il Collegio ha autorizzato la motivazione semplificata.
Ciò posto va rilevato che con il primo motivo la ricorrente censura
l’impugnata sentenza nella parte in cui ha respinto l’eccezione di risoluzione
del rapporto per mutuo consenso tacito, nonostante la mancanza di una
1

confronti della s.p.a. Poste Italiane, dichiarava la nullità del termine finale

qualsiasi manifestazione di interesse alla funzionalità di fatto del rapporto
stesso, per un apprezzabile lasso di tempo anteriore alla proposizione della
domanda, con conseguente legittimo affidamento della società nella risoluzione
del rapporto medesimo.

Come questa Corte ha più volte affermato “nel giudizio instaurato ai fini
del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo
indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un
termine finale ormai scaduto, affinché possa configurarsi una risoluzione del
rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata — sulla base del
lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine,
nonché del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze
significative — una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre
definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo” (v. Cass. 10-11-2008 n.
26935, Cass. 28-9-2007 n. 20390, Cass. 17-12-2004 n. 23554, nonché da
ultimo Cass. 18-11-2010 n. 23319, Cass. 11-3-2011 n. 5887, Cass. 4-8-2011 n.
16932). La mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a
termine, quindi, “è di per sé insufficiente a ritenere sussistente una risoluzione
del rapporto per mutuo consenso” (v. da ultimo Cass. 15-11-2010 n. 23057,
Cass. 11-3-2011 n. 5887), mentre “grava sul datore di lavoro”, che eccepisca
tale risoluzione, “l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la
volontà chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni
rapporto di lavoro” (v. Cass. 2-12-2002 n. 17070 e fra le altre da ultimo Cass.
1-2-2010 n. 2279).

2

Il motivo non merita accoglimento.

Tale principio, del tutto conforme al dettato di cui agli art. 1372 e 1321
c.c., va ribadito anche in questa sede, così confermandosi l’indirizzo prevalente
ormai consolidato, basato in sostanza sulla necessaria valutazione dei
comportamenti e delle circostanze di fatto, idonei ad integrare una chiara

rapporto, non essendo all’uopo sufficiente il semplice trascorrere del tempo e
neppure la mera mancanza, seppure prolungata, di operatività del rapporto.
Orbene nella fattispecie la Corte di merito, ha rilevato che “nel caso in
esame non vi è stato alcun comportamento che possa far presumere una
acquiescenza della ricorrente alla risoluzione del rapporto; e invero il lasso di
tempo intercorso tra la cessazione di esso ed il tentativo di conciliazione, non
particolarmente significativo, non ha di per sé significato univoco e certamente
non può interpretarsi come volontà di accettazione della risoluzione per mutuo
consenso. La società, oltre all’intervallo temporale, non ha allegato fatti o
circostanze significative in tal senso”.
Tale accertamento di fatto, conforme ai principi sopra richiamati, risulta
altresì congruamente motivato e resiste alla censura della ricorrente.
Con il secondo motivo la società censura la sentenza impugnata nella
parte in cui ha ritenuto la nullità del termine apposto al contratto de quo, per
essere stato lo stesso concluso oltre il termine ultimo (30-4-1998) fissato dalla
contrattazione collettiva per tale tipologia di contratti (per “esigenze
eccezionali…” ex art. 8 ceni 1994 come integrato dall’acc. az. 25-9-97 e succ.).
Anche tale motivo risulta infondato in base all’indirizzo ormai consolidato
in materia dettato da questa Corte (con riferimento al sistema vigente
anteriormente al ccnl del 2001 ed al d.lgs. n. 368 del 2001).
3

manifestazione consensuale tacita di volontà in ordine alla risoluzione del

Al riguardo, sulla scia di Cass. S.U. 2-3-2006 n. 4588, è stato precisato
che “l’attribuzione alla contrattazione collettiva, ex art. 23 della legge n. 56 del
1987, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli
previsti dalla legge n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di

del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro
diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di
lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo
indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi
specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a
condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare
contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di
procedere ad assunzioni a tempo determinato” (v. Cass. 4-8-2008 n. 21063, v.
anche Cass. 20-4-2006 n. 9245, Cass. 7-3-2005 n. 4862, Cass. 26-7-2004 n.
14011). “Ne risulta, quindi, una sorta di “delega in bianco” a favore dei
contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi
vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste
dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale
in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato.” (v., fra le altre,
Cass. 4-8-2008 n. 21062, Cass. 23-8-2006 n. 18378).
In tale quadro, ove però, come nel caso di specie, un limite temporale sia
stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi integrativi del contratto
collettivo) la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione
del termine (v. fra le altre Cass. 23-8-2006 n. 18383, Cass. 14-4-2005 n. 7745,
Cass. 14-2-2004 n. 2866).
4

considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato

In particolare, quindi, come questa Corte ha costantemente affermato e
come va anche qui ribadito, “in materia di assunzioni a termine di dipendenti
postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8
del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo,

sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica
dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli
assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998;
ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine
cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo
derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi
contratti a tempo indeterminato, in forza dell’art. 1 della legge 18 aprile 1962
n. 230” (v., fra le altre, Cass. 1-10-2007 n. 20608; Cass. 28-11-2008 n. 28450;
Cass. 4-8-2008 n- 21062; Cass. 27-3-2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.).
In applicazione di tale principio va quindi respinto il secondo motivo.
Con il terzo motivo la società ricorrente, in ordine alle richieste
economiche, deduce che la domanda di condanna non appariva supportata dal
benché minimo elemento probatorio ex art. 2697 c.c. e che il danno,
conseguente alla nullità del termine apposto al contratto di lavoro, “può
equivalere” alle retribuzioni perdute, ma ciò non si configura
automaticamente, dovendo escludersi, ad esempio, ove si accerti che il danno
si è ridotto in misura corrispondente ad altri compensi percepiti (aliunde
perceptum).

5

sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la

Osserva il Collegio che tale motivo risulta del tutto generico e astratto
(così come il relativo quesito conclusivo ex art. 366 bis applicabile ratione

Ì

temporis, v. Cass. 21-2-2012 n. 2499) nonché inconferente con il decisum.
Sul punto la Corte di merito, nel respingere l’eccezione della società, ha

datore di lavoro che invece non ha neppure allegato alcunché al riguardo.”.
Orbene avverso tale decisione la società ricorrente si limita a ribadire in
astratto la propria tesi senza, in effetti, censurare specificamente la decisione
della Corte di merito e senza soprattutto indicare se, quando ed in quali termini
abbia allegato davanti ai giudici di merito un aliunde perceptum (in relazione al
quale è pur sempre necessaria una rituale acquisizione della allegazione e della
prova, pur non necessariamente proveniente dal datore di lavoro in quanto
oggetto di eccezione in senso lato – cfr.. Cass. 16-5-2005 n. 10155, Cass. 20-62006 n. 14131, Cass. 10-8-2007 n. 17606, Cass. S.U. 3-2-1998 n. 1099 -).
Così risultato inammissibile il terzo motivo, riguardante le conseguenze
economiche della nullità del termine, neppure potrebbe incidere in qualche
modo nel presente giudizio lo ius superveniens, rappresentato dall’art. 32,
commi 5 0 , 6° e 7° della legge 4 novembre 2010 n. 183.
Al riguardo, infatti, come questa Corte ha più volte affermato, in via di
principio, costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di
legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva,
una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in
qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso,
in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato

6

rilevato che “la prova dell’eventuale aliunde perceptum grava, invero, sul

dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 272-2004 n. 4070).
In tale contesto, è altresì necessario che il motivo di ricorso che investe,
anche indirettamente, il tema coinvolto dalla disciplina sopravvenuta, oltre ad

Orbene tale condizione non sussiste nella fattispecie.
Il ricorso va pertanto respinto e la ricorrente, in ragione della
soccombenza, va condannata al pagamento delle spese in favore della Saviano.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagare alla Saviano le
spese liquidate in euro 50,00 per esborsi e euro 3.500,00 per compensi, oltre
accessori di legge.
Roma 14 marzo 2013

essere sussistente, sia altresì ammissibile.

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