Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13911 del 20/05/2021

Cassazione civile sez. lav., 20/05/2021, (ud. 28/01/2021, dep. 20/05/2021), n.13911

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1131-2019 proposto da:

C.P.R., elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO

D’ITALIA N. 102, presso lo studio dell’avvocato NICOLETTA GERVASI,

che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati FLAVIO

MANAVELLA, CHIAFFREDO PEIRONE;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 549/2018 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 22/10/2018 R.G.N. 552/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/01/2021 dal Consigliere Dott. AMELIA TORRICE;

il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Dott. MUCCI ROBERTO,

visto il D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8 bis

convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020, n. 176, ha

depositato conclusioni scritte.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. C.P.R., dipendente del Ministero della Giustizia con mansioni di conducente di automezzi speciali, era stato sospeso dal servizio nel luglio 2007. Il procedimento disciplinare, iniziato con la contestazione in data (OMISSIS), era stato sospeso, in relazione al procedimento penale, e, successivamente riattivato. In data 27 giugno 2016 l’Amministrazione aveva comunicato al lavoratore il licenziamento senza preavviso per la violazione dell’art. 13, comma 6, lett. d) del CCNL 2002-2005. Il C. aveva, pertanto, adito il giudice del lavoro del Tribunale di Torino, con ricorso proposto ai sensi dell’art. 414 c.p.c., per chiedere l’accertamento dell’illegittimità del licenziamento e la condanna del Ministero alla sua reintegrazione nel posto di lavoro e al pagamento delle retribuzioni maturate nel periodo di sospensione.

2. Il giudice adito, disposto il mutamento del rito, sul rilievo che la domanda concernente il licenziamento doveva essere azionata nelle forme previste dalla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 46 all’esito della fase sommaria respinse il ricorso quanto alle n. r.g. 1131 2019

domande correlate al licenziamento e dichiarò l’improcedibilità della domanda volta alla condanna al pagamento delle retribuzioni maturate nel periodo di sospensione cautelare.

3. La decisione è stata confermata dal giudice dell’opposizione. La Corte di Appello di Torino ha respinto il reclamo proposto dal C. avverso la sentenza di primo grado.

4. Per quanto oggi rileva, il decisum è fondato sulle argomentazioni motivazionali che seguono:

5. le disposizioni processuali contenute nella L. 92 del 2012, art. 1 commi 47 e sgg. trovano applicazione anche in relazione alla impugnativa dei licenziamenti adottati dalle Pubbliche Amministrazioni;

6. era infondata l’eccezione di decadenza del Ministero dal diritto di difendersi e di dedurre prove, formulata dal C. sul rilievo che il Ministero si era costituito in giudizio tardivamente;

7. la contestazione disciplinare non era tardiva perchè il Ministero nel luglio 2007 era stato informato solo dei titoli dei reati per i quali il C. risultava indagato e non anche delle condotte dal medesimo poste in essere e degli elementi probatori acquisiti; il medesimo Ministero aveva avuto conoscenza dei fatti disciplinarmente rilevanti in modo completo soltanto il 18 novembre 2008, allorchè il Presidente della Corte di Appello aveva trasmesso l’ordinanza del Tribunale della libertà;

8. in considerazione dei principi affermati dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 4175/2017, in tema di delegabilità da parte dell’UPD di attività istruttorie, doveva ritenersi infondata la censura formulata con riferimento alla dedotta violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 bis;

9, la responsabilità del C., in ordine ai fatti oggetto di contestazione disciplinare, emergeva non solo dalla dichiarazione del Co. ma dai numerosi elementi documentali e testimoniali acquisiti al processo; la condotta posta in essere nei confronti dell’ I. e di Ca., ricostruita dai medesimi in sede di deposizione testimoniale, era di per sè sola di gravità tale da compromettere il vincolo fiduciario, tanto più in considerazione del fatto che era emerso che il C. aveva sfruttato la sua condizione di dipendente del Ministero della Giustizia per commettere gli illeciti contestati e con la sua condotta aveva determinato un irreparabile danno di immagine alla pubblica amministrazione; la circostanza relativa agli spostamenti di danaro all’estero non era stata riferita soltanto dal Co. ma anche dai testi I. e Ca. e la presenza del C. in Francia era stata confermata dalla teste Co.; i testi Ca., Co. e I. avevano confermato l’uso dell’auto di servizio; la deposizione del teste G. aveva evidenziato che nel libretto di bordo non venivano annotati i chilometri percorsi e che il magistrato confermava la scheda di servizio senza effettuare controlli; le condotte del C. erano idonee a far venir meno in modo irreparabile il rapporto di fiducia perchè era emerso che la sua qualità di dipendete pubblico e l’utilizzo della macchina di servizio erano state utilizzate per millantare la possibilità di accedere ad informazioni riservate e suggestionare le vittime dei reati commessi;

10. la censura correlata alla statuizione di inammissibilità della domanda relativa al pagamento delle retribuzioni maturate nel periodo di sospensione dal lavoro, oltre ad essere assorbita dal rigetto dei motivi attinenti al licenziamento, era infondata trattandosi di domanda non fondata sul medesimo fatto costitutivo della domanda correlata al licenziamento.

11. Avverso questa sentenza C.P.R. ha proposto ricorso per cassazione affidato a otto motivi, illustrati da successiva memoria. Il Ministero della Giustizia non ha svolto difese. Il P.M. ha depositato memoria scritta ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8 come conv. nella L. 18 dicembre 2020, n. 176, concludendo per il rigetto del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Sintesi dei motivi.

12. Il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3:

13. con il primo motivo, nullità della sentenza e/o del procedimento in relazione all’art. 112 c.p.c. e violazione degli artt. 24 e 111 Cost. per error in procedendo, per avere la Corte territoriale affermato l’applicabilità del rito di cui alla L. n. 92 del 2012 all’impugnativa dei licenziamenti adottati dalle pubbliche amministrazioni;

14. con il secondo motivo, violazione e falsa applicazione della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 48 e ss. degli artt. 112,414,415,416 c.p.c. e art. 426 c.p.c. e ss., per avere la corte territoriale ritenuto applicabile il cd. rito Fornero e/o escluso decadenze o preclusioni in conseguenza del comportamento processuale dell’Amministrazione convenuta;

15. con il quarto motivo, violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 bis per avere la Corte territoriale ritenuto legittima l’attività istruttoria delegata nell’ambito del procedimento disciplinare;

16. con l’ottavo motivo, violazione e/o falsa applicazione della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 48 per avere la Corte territoriale ritenuto non proponibili con il rito Fornero le domande volte al pagamento della retribuzione maturata durante la sua sospensione cautelare (dal (OMISSIS)).

17. Il ricorrente, invocando i principi affermati da questa Corte nella sentenza n. 11868 del 2016, sostiene che le disposizioni contenute nella L. n. 92 del 2012, art. 1, commi 7 e 8 non consentono di distinguere tra le disposizioni di carattere sostanziale e quelle di natura processuale e che la disciplina processuale non trova applicazione nella fattispecie dedotta in giudizio, con conseguente tardività della costituzione dell’Amministrazione e decadenza della medesima del diritto di difesa (primo motivo).

18. Asserisce che nei casi in cui venga disposto il mutamento del rito non è consentita la rimessione in termine, in ordine alle preclusioni già maturate alla stregua del rito prescelto per l’introduzione del giudizio (secondo motivo).

19. Deduce che l’organo delegato per l’istruttoria, nell’individuare gli eventuali atti istruttori da espletare, in realtà aveva compiuto non solo attività esecutive della delega ma anche attività di carattere valutative e decisorie e sostiene che tali attività avevano condizionato la validità dell’attività successiva con conseguente violazione del principio di terzietà (quarto motivo).

20. Assume che la domanda volta alla condanna del Ministero al pagamento delle retribuzioni maturate nel periodo di operatività della sospensione cautelare dal servizio, per essere correlata agli stessi fatti oggetto del procedimento penale, era fondata sui medesimi fatti costitutivi posti a base della impugnazione del licenziamento (ottavo motivo).

21. Il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5:

22. omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in riferimento all’avvio del procedimento disciplinare sotto il profilo della tardività della contestazione, per non avere la Corte territoriale esaminato i documenti contenuti nel fascicolo del procedimento disciplinare, che attestavano che l’UPD aveva avuto conoscenza dei fatti disciplinarmente rilevanti già il 31.7.2007 (terzo motivo);

23. omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, in riferimento all’attività istruttoria concretamente delegata, per non avere la Corte territoriale esaminato la correttezza dell’attività compiuta dall’organo delegato (quinto motivo);

24. omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, in riferimento alla valutazione del materiale probatorio in ordine ai fatti contestati, per essersi la Corte territoriale limitata a richiamare ad utilizzare i medesimi elementi probatori considerati dal giudice della fase precedente, anche in ordine alla presenza di esso ricorrente nel territorio francese il giorno (OMISSIS) e alla mancata disponibilità, giornata del (OMISSIS), della autovettura Lancia Lybra (sesto motivo);

25. omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, in riferimento a quanto osservato nella sentenza impugnata circa la vicenda Ca. I. per non avere la Corte territoriale considerato che l’unico responsabile era il signor T. al quale risultavano assegnati gli assegni bancari (settimo motivo).

In via preliminare:

26. Il Ministero della Giustizia non risulta costituito in giudizio. Come osservato dal P.M., deve rilevarsi la nullità della notificazione del ricorso, avvenuta presso l’Avvocatura distrettuale dello Stato di Torino invece che presso l’Avvocatura Generale in Roma.

27. Tuttavia, il Collegio, condividendo le conclusioni formulate dal P.M., ritiene che tale causa di nullità, nel caso in esame, non impone la rinnovazione della notificazione, ai sensi dell’art. 291 c.p.c., con conseguente rinvio della causa a nuovo ruolo.

28. Ciò perchè, per quanto si dirà di seguito, il ricorso deve essere rigettato.

29. Va al riguardo) osservato che il principio della ragionevole durata del processo impone al giudice (ai sensi degli artt. 175 e 127 c.p.c.) di evitare e impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano quelli che si traducono in inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue, perchè non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, da effettive garanzie di difesa e dal diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità, dei soggetti nella cui sfera giuridica l’atto finale è destinato a produrre i suoi effetti (Cass. 2979/2020, Cass. 6924/2020, Cass. 33399/2019, Cass. 33557/2018, Cass. 12515/2018, Cass. 15106/2013).

Esame dei motivi.

30. Il primo motivo è infondato.

31. Diversamente da quanto opina il ricorrente, pur restando applicabile ai rapporti di pubblico impiego privatizzato la tutela reintegratoria prevista dalla L. n. 300 del 1970, art. 18 nel testo antecedente le modifiche apportate dalla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 42 alle impugnative dei licenziamenti adottati dalle pubbliche amministrazioni, intimati in data successiva all’entrata in vigore della richiamata L. n. 92, trova applicazione, in primo grado ed in sede di impugnazione il rito disciplinato dall’art. 1, commi 48 e sgg. di detta legge. Nessun dato testuale e sistematico contenuto nella L. n. 92 del 2012, nè tampoco nel D.Lgs. n. 165 del 2001, osta, infatti, alla generale applicazione ad ogni impugnativa di licenziamento ai sensi della citata L. n. 300 del 1970, art. 18 dello specifico strumentale processuale introdotto dalla L. del 2012, art. 1, commi 47 e sgg.. (ex multis Cass. 5701/2021, Cass. 22683/2018, 11868/2016).

32. Va, anche, rilevato che neppure la soluzione opposta gioverebbe al ricorrente, atteso che, per costante giurisprudenza di questa S.-C., la trattazione della controversia, da parte del giudice adito, con un rito diverso da quello previsto dalla legge non determina alcuna nullità del procedimento, e della sentenza successivamente emessa, ove la parte non deduca e dimostri che dall’erronea adozione del rito le sia derivata una lesione del diritto di difesa (Cass. n. 23682/17). Allegazione che manca nella fattispecie in esame.

33. Il secondo motivo è inammissibile.

34. Esso è stato formulato in violazione del principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, che si applica anche alle censure con le quali si denunciano ipotizzati errores in procedendo, come accade nella specie.

35. E’ stato reiteratamente affermato che pure in tale ipotesi, in cui la Corte di cassazione è giudice anche del “fatto processuale” ed ha il potere-dovere di esaminare direttamente gli atti processuali, la parte interessata tenuta è ad assolvere il duplice onere di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6 (a pena di inammissibilità) e all’art. 369 c.p.c., n. 4 (a pena di improcedibilità), indicando nel ricorso specificamente il contenuto essenziale degli atti processuali posti a fondamento della censura, riportandone il contenuto nel ricorso, quanto meno nelle parti salienti e rilevanti, allegandoli al ricorso e indicandone, al contempo, la precisa sede di produzione processuale, al fine di consentire l’agevole reperibilità del documento o dell’atto la cui rilevanza è invocata ai fini dell’accoglimento del ricorso (Cass. Sez. Un. 20181/2019, Cass. Sez. Un. 877/2012, Cass. Sez. Un. 11730/2010; Cass. 6719/2021, Cass. 825/2021, Cass. 20923/2019; Cass. 19048/2016, sulla non sovrapponibilità dei due requisiti).

36. Ebbene, il ricorrente denuncia, invocando il regime delle preclusioni di cui all’art. 416 c.p.c., l’intervenuta decadenza del Ministero dal diritto di spiegare difese, senza, tuttavia, assolvere i suddetti oneri.

37. Il ricorrente, infatti, non specifica quali erano state le difese svolte dal Ministero che dovevano ritenersi precluse e quali richieste istruttorie formulate dal Ministero erano state ammesse dal giudice del merito; inoltre, non riproduce nel ricorso, nelle parti salienti e rilevanti, il ricorso introduttivo del giudizio, la comparsa di costituzione depositata dal Ministero all’esito del disposto mutamento del rito e i provvedimenti assunti dal giudice in tale fase, atti che non allega al ricorso e di cui non indica la sede di produzione.

38. Non vale ad escludere la violazione degli oneri innanzi citati la circostanza che il ricorrente nell’indice del ricorso abbia indicato come allegati i fascicoli di parte dei giudizi di merito (Cass. SSUU 8077/2012, Cass. Sez. Un. 22726/2011; Cass. 13713/2015, 19157/2012, 6937/2010).

39. Il quarto motivo presenta profili di infondatezza e di inammissibilità.

40. Esso è infondato nella parte in cui il ricorrente afferma che nessuna attività istruttoria poteva essere delegata dall’Ufficio per i procedimenti disciplinari.

41. Questa Corte ha già affermato che il D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 55 bis nel testo introdotto dal D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, art. 69, comma 1 nel disporre che l’ufficio competente per i procedimenti disciplinari “contesta l’addebito al dipendente, lo convoca per il contraddittorio a sua difesa, istruisce e conclude il procedimento”, non obbliga il soggetto titolare del potere a procedere direttamente a tutti gli atti istruttori necessari, perchè ciò che rileva, ai fini della validità della sanzione inflitta, è che i risultati dell’attività svolta dagli ausiliari vengano fatti propri dal dirigente che ricopre l’Ufficio, il quale deve provvedere alla contestazione dell’addebito, all’esame dell’istruttoria compiuta, all’irrogazione della sanzione (Cass. 5317/2017).

42. La delega degli atti istruttori è stata, quindi, ritenuta ammissibile in fattispecie nelle quali l’atto era stato delegato a dipendenti assegnati alla struttura amministrativa dell’ufficio per i procedimenti (Cass. n. 5317/2017 cit.), ad altri dirigenti (Cass. 24828/2015) nonchè ai singoli componenti dell’ufficio a composizione collegiale; tanto sul rilievo che, in tal caso, la necessaria collegialità resta circoscritta alle attività valutative e deliberative vere e proprie e non si estende “a quelle preparatone, istruttorie o strumentali, verificabili a posteriori dall’intero consesso” (Cass. 8245/2016).

43. Più in generale, questa Corte ha affermato che le norme sulla competenza non vanno confuse con le regole del procedimento per cui, ove risulti che quest’ultimo sia stato, comunque, gestito dal soggetto titolare del potere, non ogni difformità rispetto alla previsione normativa produce la nullità della sanzione, la quale, invece, è configurabile solo qualora l’interferenza di organi esterni all’UPD “abbia determinato decisiva – nel senso di sostitutiva e non meramente additiva compartecipazione del soggetto estraneo all’adozione del provvedimento, con conseguente inammissibile sostanziale trasferimento della competenza dall’organo competente ad un diverso organo, sicuramente non competente” (Cass. 11632/2016).

44. Il Collegio condivide i principi innanzi richiamati, che, pur affermati con riguardo al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 bis devono ritenersi applicabili anche alla fattispecie in esame, ricadente ratione temporis nella disciplina dettata dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 (il procedimento disciplinare ha avuto inizio prima dell’entrata in vigore delle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 150 del 2009). La formulazione originario art. 55, comma 4 coincide, infatti, in parte qua con quella dell’art. 55 bis, comma 4.

45. E’, altrettanto, condivisibile il principio (Cass. 14200/2018), affermato in fattispecie sostanzialmente sovrapponibile a quella in esame, per il quale gli atti del procedimento disciplinare, in quanto espressione di un potere privatistico del datore di lavoro, non hanno natura amministrativa, sicchè rispetto agli stessi non operano i principi che, in relazione agli atti autoritativi, limitano la delega di funzioni.

46. Al riguardo, è stato osservato che la delega, in assenza di una specifica previsione normativa, deve essere esclusa solo nelle ipotesi in cui l’attribuzione del potere ad altro soggetto, anche se momentanea e circoscritta al compimento del singolo atto, si risolva nella mortificazione delle finalità che il legislatore ha inteso perseguire, attraverso la previsione di un apposito ufficio per i procedimenti competente ad irrogare le sanzioni più gravi, finalità già individuate da questa Corte nell’esigenza di offrire al lavoratore pubblico sufficienti garanzie di imparzialità, in ragione della “specializzazione” di tale organo e della sua indifferenza rispetto al capo della struttura del dipendente incolpato, coinvolto direttamente nella vicenda disciplinare (Cass. n. 11632/2016 e Cass. n. 5317/2017 cit.).

47. In questa prospettiva, è stato affermato che, mentre non è ammissibile la delega rispetto ad atti che implicano un’attività valutativa e decisoria, non altrettanto può dirsi per quelli meramente istruttori, che vengano compiuti su indicazione dell’ufficio delegante ed i cui esiti siano sottoposti a verifica da parte di quest’ultimo. In tal caso, infatti, non subisce alcuna lesione il diritto di difesa del dipendente incolpato nè viene meno la garanzia di terzietà, da intendersi nei termini indicati da Cass. n. 5317/2017, perchè l’atto è, comunque, riferibile al soggetto delegante, il quale resta dominus dell’istruttoria ed è chiamato a valutarne all’esito i risultati, quanto alla completezza degli atti assunti ed all’idoneità degli stessi a sorreggere l’accusa disciplinare.

48. Il motivo in esame è inammissibile nella parte in cui il ricorrente imputa alla Corte territoriale di non avere considerato che era stata delegata non solo l’attività istruttoria ma anche quella di carattere “valuativo e/o decisionale”.

49. La censura è estranea al perimetro del mezzo impugnatorio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e, perdippiù, è fondata su un documento (la nota prot. 108/201/DISC/BB dell’Ufficio di disciplina), non allegato agli atti e di cui non è indicato il luogo di produzione e il cui contenuto non risulta riprodotto nel ricorso. Ulteriore profilo di inammissibilità del motivo in esame consegue al fatto che il ricorrente, sotto l’apparente denuncia del vizio di legge, sollecita in realtà il riesame del merito della causa, inammissibile in sede di legittimità (cfr. p. n. 51 di questa sentenza).

50. L’ottavo motivo è inammissibile in quanto il ricorrente, in violazione degli oneri di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6 e art. 369 c.p.c., n. 4 non ha riprodotto il contenuto della domanda proposta con il ricorso introduttivo del giudizio, atto indispensabile alla identificazione dei fatti costitutivi sui quali la domanda era stata fondata, che non risulta allegato al ricorso e di cui non è indicato il luogo di produzione processuale (cfr. pp. nn. 35 e 38 di questa sentenza).

51. Sono inammissibili le censure formulate, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel terzo, nel quinto, nel sesto e nel settimo motivo di ricorso perchè il ricorrente, sotto l’apparente denuncia del vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, sollecita una nuova, inammissibile, lettura del materiale istruttorio (Cass. Sez. Un. 8053/2014; Cass. 6221/2021, Cass. 24614/2020, Cass. 15367/2019, Cass. 1541/2016, 15208/2014, 24148/2013, 21485/2011, 9043/2011, 20731/2007; 181214/2006, 3436/2005, 8718/2005) in ordine alla tardività della contestazione disciplinare (terzo motivo), all’attività istruttoria concretamente delegata (quinto motivo; si leggano anche le considerazioni svolte nel p.49 n. di questa sentenza), alla valutazione del materiale probatorio in ordine ai fatti contestati (sesto motivo), alla vicenda Ca. / I. (settimo motivo).

52. Sulla scorta delle conclusioni svolte il ricorso va rigettato.

53. Non occorre provvedere sulle spese del giudizio di legittimità in quanto il Ministero non ha svolto attività difensiva (è rimasto intimato).

54. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

PQM

LA CORTE

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 28 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2021

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