Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13911 del 09/06/2010

Cassazione civile sez. I, 09/06/2010, (ud. 21/04/2010, dep. 09/06/2010), n.13911

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

C.G., rappresentato e difeso dall’Avv. Marra Alfonso

Luigi, come da procura a margine del ricorso, domiciliato per legge

presso la cancelleria della Corte di Cassazione in Roma;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA ECONOMIA E DELLE FINANZE;

– intimato –

per la cassazione del decreto della corte d’appello di Napoli n. Rep.

4724/08 depositato il 27 agosto 2008.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

giorno 21 aprile 2010 dal Consigliere relatore Dott. Vittorio

Zanichelli.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

C.G. ricorre per cassazione nei confronti del decreto in epigrafe della corte d’appello che, liquidando Euro 4.600 per anni quattro e mesi sette di ritardo, ha accolto parzialmente il suo ricorso con il quale è stata proposta domanda di riconoscimento dell’equa riparazione per violazione dei termini di ragionevole durata del processo svoltosi in primo grado avanti al t.a.r. della Campania a far tempo dal 28 luglio 2000 e non ancora definito alla data di presentazione della domanda (27 febbraio 2008).

L’intimata Amministrazione non ha proposto difese.

La causa è stata assegnata alla camera di consiglio in esito al deposito della relazione redatta dal Consigliere Dott. Luigi Salvato con la quale sono stati ravvisati i presupposti di cui all’art. 375 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

La relazione redatta ex art. 380 bis c.p.c., il cui contenuto il Collegio pienamente condivide, è del seguente letterale tenore:

“1.- Con i primi cinque motivi è denunciata erronea e falsa applicazione di legge (L. n. 89 del 2001, art. 2, art. 1 e art. 6.

p.1 CEDU), in relazione al rapporto tra norme nazionali e la CEDU, nonchè della giurisprudenza della Corte di Strasburgo e di questa Corte ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, omessa decisione di domande (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5; art. 112 c.p.c.) e, in sintesi, sono poste le seguenti questioni:

a) questione relativa alla efficacia della CEDU nell’ordinamento interno ed all’efficacia vincolante per il giudice nazionale della giurisprudenza della Corte EDU (sostanzialmente riproposta in tutti i motivi, richiamando sentenze della Corte europea e di questa Corte) ed è formulato il seguente quesito “la L. n. 89 del 2001 e specificamente l’art. 2 costituisce applicazione dell’art. 6 par. 1 CEDU e in ipotesi di contrasto tra la Legge Pinto e la CEDU, ovvero di lacuna della legge nazionale si deve disapplicare la legge nazionale ed applicare la CEDU ?” (primo motivo).

b) Questioni concernenti la quantificazione del danno: l’indennizzo va liquidato nella misura annua di Euro 1.000,00-1.500,00 per l’intera durata del giudizio e non solo per la parte eccedente il termine di ragionevole durata (secondo motivo) ed il decreto non avrebbe motivato in ordine alla mancata osservanza di detto principio (terzo motivo); spetterebbe un ulteriore somma rationae materiae (bonus di Euro 2.000,00), trattandosi di materia previdenziale ed il giudice non si sarebbe pronunciato sulla relativa domanda e ciò costituirebbe violazione dell’art. 112 c.p.c. (quinto motivo) e comporterebbe un difetto di motivazione (quinto motivo).

1.1.- I motivi 6^ e 7^ denunciano violazione e falsa applicazione di legge ed erronea compensazione delle spese processuali, nonchè vizio di motivazione in ordine alla disposta compensazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), ed è formulato il seguente quesito di diritto:

“è legittimo in ipotesi di accoglimento della domanda compensare le spese di giudizio, ovvero alla condanna a favore della parte deve seguire la condanna alte spese di lite ?” (sesto motivo) e il decreto sarebbe carente nella motivazione in ordine alla disposta compensazione delle spese del giudizio (settimo motivo).

2.- I motivi indicati nel p.1, da esaminare congiuntamente, perchè giuridicamente e logicamente connessi, sono manifestamente infondati.

a) Relativamente alla questione sub a), ammissibile e rilevante per l’incidenza su quelle ulteriori, va ribadito il principio enunciato dalle S.U., in virtù del quale il giudice italiano, chiamato a dare applicazione alla L. n. 89 del 2001, deve interpretare detta legge in modo conforme alla CEDU per come essa vive nella giurisprudenza della Corte europea. Siffatto dovere opera entro i limiti in cui detta interpretazione conforme sia resa possibile dal testo della stessa L. n. 89 del 2001 (sentenza n. 1338 del 2004) e, come affermato dalla Corte costituzionale – contrariamente all’assunto dell’istante, che si palesa perciò manifestamente erroneo – al giudice nazionale “spetta interpretare la norma interna in modo conforme alla disposizione internazionale, entro i limiti nei quali ciò sia permesso dai testi delle norme. Qualora ciò non sia possibile, ovvero dubiti della compatibilità della norma interna con la disposizione convenzionale interposta, egli deve investire questa Corte della relativa questione di legittimità costituzionale rispetto al parametro dell’art. 117 Cost., comma 1” (sentenze n. 348 e n. 349 del 2007).

Resta dunque escluso che, in caso di contrasto, possa procedersi alla “non applicazione” della norma interna, in virtù di un principio concernente soltanto il caso del contrasto tra norma interna e norma comunitaria.

In questi termini è il principio che può essere enunciato in relazione al quesito formulato con il primo motivo, che rivela la manifesta infondatezza della censura, nei termini in cui è stata proposta.

b) Relativamente alla quantificazione del danno, va ribadito che i criteri di determinazione del quantum della riparazione applicati dalla Corte europea non possono essere ignorati dal giudice nazionale, che deve riferirsi alle liquidazioni effettuate in casi simili dalla Corte di Strasburgo (dunque, avendo riguardo ai parametro di Euro 1.000,00/Euro 1.500,00 per anno di ritardo), ma deve escludersi che le norme disciplinatrici della fattispecie permettano di riconoscere – come ha invece sostenuto l’istante- una ulteriore, più elevata somma, svincolata da qualsiasi parametro e dovuta in considerazione dell’oggetto e della natura della controversia.

Infatti, come ha chiarito questa Corte, i giudici europei hanno affermato che il cd. bonus in questione va riconosciuto nel caso in cui la controversia riveste una certa importanza ed ha fatto un elenco esemplificativo, comprendente le cause di lavoro e previdenziali. Tuttavia, ciò non implica alcun automatismo, ma significa soltanto che dette cause, in considerazione della loro natura, è probabile che siano di una certa importanza (Cass. n. 30570, n. 18012 del 2008).

Siffatta valutazione rientra nella ponderazione del giudice del merito, che deve rispettare il parametro sopra indicato, con la facoltà di apportare le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda (quali: l’entità della “posta in gioco”, il “numero dei tribunali che hanno esaminato il caso in tutta la durata del procedimento” ed il comportamento della parte istante;

per tutte, Cass. n. 1630 del 2006; n. 1631 del 2006; n. 19029 del 2005), purchè motivate e non irragionevoli (tra le molte, Cass. n. 30064 e n. 6898 del 2008; n. 1630 e n. 1631 del 2006).

Il giudice del merito può, quindi, attribuire una somma maggiore, qualora riconosca la causa di particolare rilevanza per la parte, senza che ciò comporti uno specifico obbligo di motivazione, da ritenersi compreso nella liquidazione del danno, sicchè se il giudice non si pronuncia sul cd. bonus, ciò sta a significare che non ha ritenuto la controversia di tale rilevanza da riconoscerlo (Cass. n. 30570, n. 18012 del 2008). Inoltre, la precettività, per il giudice nazionale, non concerne anche il profilo relativo al moltiplicatore di detta base di calcolo: per il giudice nazionale è, sul punto, vincolante la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. a) ai sensi del quale è influente solo il danno riferibile al periodo eccedente il termine ragionevole, non incidendo questa diversità di calcolo sulla complessiva attitudine della citata L. n. 89 del 2001 ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo (Cass. n. 11566 del 2008; n. 1354 del 2008; n. 23844 del 2007).

In questi termini sono i principi che possono essere enunciati in relazione ai quesiti posti con i motivi in esame, con conseguente con conseguente manifesta infondatezza di detti mezzi.

Il decreto ha, infatti, applicato il parametro della Corte EDU, liquidando Euro 4.600,00, per la violazione di anni 4 e mesi 7, quindi Euro 1.000,00 per anno di ritardo, ciò che basta anche a rendere adeguata la motivazione.

Le argomentazioni svolte dall’istante sono invece manifestamente astratte, scollegate dalla fattispecie concreta e non si danno carico di dedurre le ragioni specifiche che dovrebbero evidenziarne l’illogicità, risultando prive di ogni specifica indicazione in ordine all’entità della controversia ed alla deduzione di ulteriori elementi già nella fese di merito.

2.1.- I motivi indicati nel p.1.1 possono essere esaminati congiuntamente, perchè logicamente connessi, sembrano manifestamente inammissibili.

Il decreto ha condannato la convenuta a pagare la metà delle spese del giudizio.

I due mezzi in esame non pongono alcuna questione in ordine alla misura della liquidazione delle spese, ma censurano soltanto la compensazione delle spese.

Ai riguardo, va ribadito l’orientamento di questa Corte, secondo il quale nel giudizio di equa riparazione, in materia di spese del processo sono applicabili le norme del codice di rito civile, non la disciplina prevista per il giudizio innanzi alla Corte EDU (Cass. n. 3812 e n. 3810 del 2009), con conseguente ammissibilità della compensazione delle stesso, che rende palesemente infondato il settimo motivo.

Inoltre, la compensazione delle spese processuali spetta al potere discrezionale del giudice del merito, che può disporla nel caso di soccombenza reciproca o qualora sussistano altri giusti motivi; la relativa motivazione è censurabile in questa sede ex art 360 c.p.c., n. 5, ed il relativo vizio sussiste quando le argomentazioni del giudice del merito si palesino del tutto carenti o insufficienti, ovvero illogiche, incongruenti o contraddittorie.

Nella specie, il decreto ha compensato per la metà le spese del giudizio in considerazione della particolare natura della controversia e delle questioni trattate “oggetto di un’elaborazione giurisprudenziale complessa e non sempre univoca”, quindi con motivazione sufficiente – risultando infondata la doglianza in ordine alla carenza di motivazione – e non incongrua, nè illogica”.

Il ricorso deve dunque essere rigettato. Non si deve provvedere in ordine alle spese stante l’assenza di attività difensiva da parte dell’intimata Amministrazione.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 21 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2010

 

 

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