Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1391 del 26/01/2010

Cassazione civile sez. trib., 26/01/2010, (ud. 20/10/2009, dep. 26/01/2010), n.1391

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Consigliere –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 17163-2008 proposto da:

EURO SALUS SRL, in persona del suo Amministratore unico e legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

BARBERINI 86, presso lo studio dell’avvocato PLACIDI GIAMPIERO,

rappresentata e difesa dall’avvocato BARTOLUCCI CLAUDIO, giusta

mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 23/2007 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE

di PERUGIA del 2/04/07, depositata il 14/05/2007;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20/10/2009 dal Consigliere e Relatore Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;

è presente il P.G. in persona del Dott. EDUARDO VITTORIO

SCARDACCIONE.

Fatto

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

Considerato che è stata depositata in cancelleria relazione del seguente tenore:

“Con sentenza del 14/5/2007 la Commissione Tributaria Regionale dell’Umbria dichiarava inammissibile il gravame interposto dalla contribuente società Euro Salus s.r.l. nei confronti della pronunzia della Commissione Tributaria Provinciale di Terni di rigetto dell’opposizione spiegata in relazione a riuniti avvisi di accertamento emessi dall’Agenzia delle entrate di Terni a titolo di IVA per gli anni d’imposta dal 1999 al 2001.

Avverso la suindicata pronunzia del giudice dell’appello la Euro Salus s.r.l. propone ora ricorso per cassazione, affidato ad unico motivo, con il quale denunzia violazione e, falsa applicazione il D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 53 e 62, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonchè “omessa, illogica ed incoerente” motivazione su punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

Il ricorso dovrà essere dichiarato inammissibile, in applicazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, art. 366-bis c.p.p. e art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5.

Va anzitutto premesso che il motivo risulta inammissibilmente formulato denunziandosi contestualmente vizio di violazione di legge e vizio di motivazione, laddove la disciplina in tema di ricorso per cassazione risultante dalla richiamata riforma del 2006 impone invero l’autonoma e separata prospettazione dei vizi asseritamente affettanti l’impugnata decisione.

L’art. 366-bis c.p.c. dispone infatti che nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4 l’illustrazione di ciascun motivo deve a pena di inammissibilità concludersi con la formulazione di un quesito di diritto (cfr. Cass., 19/12/2006, n. 27130).

Una formulazione del quesito di diritto idonea alla sua funzione richiede allora che con riferimento ad ogni punto della sentenza investito da motivo di ricorso la parte, dopo avere del medesimo riassunto gli aspetti di fatto rilevanti ed avere indicato il modo in cui il giudice lo ha deciso, esprima la diversa regola di diritto sulla cui base il punto controverso andrebbe viceversa risolto.

Il quesito di diritto deve essere in particolare specifico e riferibile alla fattispecie (v. Cass., Sez. Un., 5/1/2007, n. 36), risolutivo del punto della controversia – tale non essendo la richiesta di declaratoria di un’astratta affermazione di principio da parte del giudice di legittimità (v. Cass., 3/8/2007, n. 17108) -, e non può con esso invero introdursi un tema nuovo ed estraneo (v.

Cass., 17/7/2007, n. 15949).

E’ altresì necessario che l’enunciazione da parte del ricorrente di un principio di diritto diverso da quello posto a base del provvedimento impugnato sia tale da implicare un ribaltamento della decisione assunta dal giudice di merito (v. Cass., 26/11/2008, n. 28280; Cass., 12/3/2008, n. 6530).

La mancanza di conferenza del quesito di diritto rispetto al deciso (che si ha allorquando anche in ragione della assoluta genericità della relativa formulazione la risposta allo stesso pur positiva per il richiedente risulta priva di rilevanza nella fattispecie in quanto non consente di risolverla: v. Cass., Sez. Un., 21/6/2007, n. 14385;

Cass., Sez. Un., 5/1/2007, n. 36 ) è invero assimilabile all’ipotesi di mancanza del quesito, a norma dell’art. 366 bis c.p.c., con conseguente inammissibilità del motivo, in applicazione del principio in tema di motivi non attinenti al decisum, nel senso che la proposizione, con il ricorso per cassazione, di censure prive di specifiche attinenze al decisum della sentenza impugnata è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, con conseguente inammissibilità del ricorso, rilevabile anche d’ufficio (v. Cass., Sez. Un., 21/6/2007, n. 14385).

Orbene, nel caso il quesito di diritto risulta formulato in modo difforme rispetto allo schema sopra delineato, in quanto connotato da genericità e mancanza di riferibilità al caso concreto dedotto all’esame della Corte, e pertanto sfornito di collegamento tale da consentire di individuare la soluzione adottata dalla sentenza impugnata e di precisare i termini della contestazione (cfr., da ultimo, Cass., Sez. Un., 19/5/2008, n. 12645; Cass., Sez. Un., 12/5/2008, n. 11650; Cass., Sez. Un., 28/9/2007, n. 20360), sicchè esso non consente di poter circoscrivere la pronuncia nei limiti di un accoglimento o un rigetto del quesito medesimo (cfr., da ultimo, Cass., 23/6/2008, n. 17064.

E’ d’altro canto da escludersi la configurabilità di una formulazione del quesito di diritto implicita nella formulazione del motivo di ricorso, avendo Cass., Sez. Un., 26/3/2007, n. 7258 precisato che una siffatta interpretazione si risolverebbe invero nell’abrogazione tacita della norma.

Quanto al vizio di motivazione, a completamento della relativa esposizione esso deve indefettibilmente contenere la sintetica e riassuntiva indicazione: a) del fatto controverso; b) degli elementi di prova la cui valutazione avrebbe dovuto condurre a diversa decisione; c) degli argomenti logici per i quali tale diversa valutazione sarebbe stata necessaria (art. 366-bis c.p.c.).

Al riguardo, si è precisato che l’art. 366-bis c.p.c. rispetto alla mera illustrazione del motivo impone un contenuto specifico autonomamente ed immediatamente individuabile, ai fini dell’assolvimento del relativo onere essendo pertanto necessario che una parte del medesimo venga a tale indicazione “specificamente destinata” (v. Cass., 18/7/2007, n. 16002).

Orbene, nel caso il ricorso non reca la “chiara indicazione” – nei termini più sopra indicati – delle “ragioni” del denunziato vizio di motivazione, inammissibilmente rimettendosene l’individuazione all’attività esegetica di questa Corte, a fortiori non consentita in presenza di formulazione come nella specie altresì carente di autosufficienza.

Il motivo si palesa pertanto privo dei requisiti a pena di inammissibilità richiesti dai sopra richiamati articoli, nella specie applicantisi nel testo modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, essendo stata l’impugnata sentenza pubblicata successivamente alla data (2 marzo 2006) di entrata in vigore del medesimo”;

atteso che la relazione è stata comunicata al P.G. e notificata ai difensori delle parti costituite;

rilevato che la ricorrente non ha presentato memoria, nè vi è stata richiesta di audizione in camera di consiglio;

considerato che il P.G. ha condiviso la relazione;

rilevato che a seguito della discussione sul ricorso tenuta nella camera di consiglio il collegio ha condiviso le osservazioni esposte nella relazione;

ritenuto che il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile;

considerato che le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 3.000,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 20 ottobre 2009.

Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2010

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