Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13909 del 06/07/2020

Cassazione civile sez. lav., 06/07/2020, (ud. 30/01/2020, dep. 06/07/2020), n.13909

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19643-2016 proposto da:

P.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA NIZZA 59,

presso lo studio dell’avvocato AMOS ANDREONI, che la rappresenta e

difende unitamente agli avvocati PAOLO FOSCHI, GIUSEPPE MAZZINI;

– ricorrente –

contro

ASSOSERVIZI ROMAGNA S.R.L., in persona del legale rappresentante pro

tempore elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI RIPETTA 22, presso

lo studio dell’avvocato GERARDO VESCI, che la rappresenta e difende

unitamente agli avvocati ROBERTO PINZA, ANNALISA NICOLI, GERMANO

DONDI, RICCARDO PINZA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 534/2016 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 20/06/2016 R.G.N. 143/2015.

Fatto

RILEVATO

che:

1. la Corte di appello di Bologna, pronunziando sull’appello di P.M. e sull’appello di Assoservizi Romagna s.r.l., in parziale riforma della sentenza di primo grado, nel resto confermata, ha compensato le spese di lite;

1.1. per quel che ancora rileva, ha ritenuto la Corte di merito che gli elementi in atti deponevano per la natura genuina del rapporto di collaborazione professionale instaurato tra le parti dopo la cessazione del precedente rapporto pacificamente di natura dipendente; tanto assorbiva l’esame della domanda connessa alla qualificazione come licenziamento della comunicazione di Assoservizi in data 12 dicembre 2009 e della domanda di risarcimento del danno per asseriti comportamenti vessatori della parte individuata come datrice di lavoro; la domanda intesa a far valere l’illegittimità del recesso ante tempus della società dal rapporto di collaborazione era tardiva in quanto formulata solo nel giudizio di gravame; essa era, comunque, infondata dovendo l’iniziativa della cessazione del rapporto farsi risalire alla volontà della P.; la domanda di accertamento dell’illegittimo rifiuto della società di ricevere la prestazione offerta risultava parimenti infondata alla luce del comportamento concludente della P. la quale nei giorni 25 e 26 novembre 2009 aveva comunicato di voler cessare immediatamente la collaborazione, ritirato gli oggetti personali e nei giorni successivi, fino alla formale disdetta, non aveva più svolto alcuna attività;

2. per la cassazione della decisione ha proposto ricorso Morena P. sulla base di sei motivi illustrati con memoria ai sensi dell’art. 380- bis.1. c.p.c.; la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo di ricorso parte ricorrente, deducendo violazione dell’art. 2094 c.c., censura la sentenza impugnata per non avere, nella verifica della natura dipendente o meno del rapporto tra le parti, fatto riferimento agli indici elaborati dalla consolidata giurisprudenza di legittimità in tema di subordinazione c.d. attenuata alla quale era riconducibile il dedotto rapporto in ragione dell’elevato contenuto professionale dell’attività svolta dalla P.. In questa prospettiva si duole della mancata valorizzazione di alcune circostanze, quali l’indispensabilità dell’attività di consulente del lavoro svolta dalla P. al fine della realizzazione dell’oggetto sociale della società, l’inserimento organico della suddetta nella struttura sociale di Assoservizi, l’assenza di rischio imprenditoriale, l’omogeneità del compenso corrisposto in misura fissa e periodica, l’utilizzo del personale e delle strutture della società, lo svolgimento di attività sostanzialmente in favore della sola Assoservizi; evidenzia la irrilevanza al fine dell’esclusione della subordinazione degli ulteriori elementi valorizzati dal giudice di appello quali l’assenza di vincoli di orario, dell’obbligo di giustificare le assenze o registrare presenze ecc.;

2. con il secondo motivo di ricorso, deducendo violazione dell’art. 152 c.c., comma 2, in combinato disposto con l’art. 210 c.p.c., censura la sentenza impugnata per omessa valutazione della documentazione relativa alle dichiarazioni dei redditi della P., per gli anni di riferimento, documentazione che asserisce rivelatrice di una situazione di sostanziale monocommittenza in favore di Assoservizi stante il rilievo economicamente marginale dei compensi per le attività prestate in favore di altri clienti; assume l’errore del giudice di merito per avere ritenuto tardiva tale documentazione in quanto prodotta oltre il termine concesso dal giudice di prime cure ancorchè dieci giorni prima dell’udienza di discussione; in tale modo – sostiene – al termine concesso era stato riconosciuto carattere perentorio in difetto di espressa previsione di legge;

3. con il terzo motivo di ricorso, deducendo violazione dell’art. 421 c.p.c., censura la sentenza impugnata per mancato esercizio dei poteri di ufficio al fine dell’acquisizione della documentazione tardivamente prodotta;

4. con il quarto motivo di ricorso, deducendo, in via subordinata, violazione degli artt. 1372 e 2237 c.c., censura la sentenza impugnata in quanto, pur dando atto della esistenza della lettera del 9.12.2009 con la quale la lavoratrice, riservandosi di valutare la vera natura del rapporto, comunicava il recesso dal contratto a far data dal 1.1.2011, aveva ritenuto che la cessazione del rapporto fosse ascrivibile al comportamento concludente della P. derivante dagli accadimenti dei giorni 25 e 26 novembre, accadimenti che assume mai confermati dalla prova testimoniale. Rappresenta che per giurisprudenza consolidata il rispetto della esigenza di certezza dei rapporti giuridici imponeva di configurare la condotta concludente solo in presenza di comportamenti univoci e concordanti; tale situazione non era in concreto ravvisabile posto che, come confermato da Assoservizi, la P., dopo il 26.11.2009, era andata a lavorare presso l’ufficio di (OMISSIS), che la stessa, con la lettera del 9.12.2009, aveva comunicato di non voler rinnovare il contratto rimanendo a disposizione della società, che il certificato medico del (OMISSIS) giustificava l’impedimento a svolgere la prestazione lavorativa, che il recesso doveva avvenire in forma scritta secondo quanto convenuto dalle parti in sede di stipula del contratto;

5. con il quinto motivo di ricorso, deducendo omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio costituito dal certificato medico del (OMISSIS), attestante l’impedimento della P. a rendere la prestazione fino all’11.12.2009; la situazione attestata da tale certificato non consentiva, infatti, di interpretare l’atteggiamento della lavoratrice come significativo della volontà di recedere dal rapporto;

6. con il sesto motivo di ricorso, deducendo violazione degli artt. 418 e 421 c.p.c. in connessione anche con l’art. 2697 c.c., censura la sentenza impugnata per la mancata ammissione della prova orale – la cui richiesta era stata reiterata in appello – a mezzo di L.D., collega di lavoro della P., la quale avrebbe dovuto riferire sul fatto che quando quest’ultima, in data 1(OMISSIS), era rientrata presso la sede di (OMISSIS) aveva ricevuto dalla detta L. una lettera della società e sul fatto che fino a quel momento la P. aveva continuato a lavorare per Assoservizi; evidenzia che la necessità di articolazione sul punto della prova orale era scaturita solo dalla domanda riconvenzionale di controparte. Deduce l’errore del giudice di appello per avere, in violazione dei principi che regolano l’onere della prova, posto a carico di essa P. la dimostrazione dell’assenza del recesso per fatti concludenti laddove tale onere ricadeva sulla società. Si duole, quindi, del mancato esercizio dei poteri istruttori di ufficio stante la obiettiva rilevanza della prova non ammessa al fine della richiesta risarcitoria connessa alla negata possibilità di espletamento della propria attività per il residuo periodo di validità del contratto. Lamenta che non le era stata consentita la dimostrazione dei fatti alla base delle pretese azionate stante l’implicita esclusione da parte del giudice di appello del diritto di indicare, nel termine richiesto all’udienza di primo grado in data 20.11.2013 ulteriori testi sui capitoli di prova ammessi ed in particolare sul capitolo 18 avente ad oggetto, in sintesi, la prosecuzione della collaborazione inter partes;

7. il primo motivo di ricorso è infondato;

7.1. la sentenza impugnata ha ritenuto confermata dall’espletata istruttoria la assenza di subordinazione; era emerso, infatti, che la P., nell’espletamento dell’attività, non era soggetta a direttive e controlli da parte di Assoservizi, nè tenuta alla registrazione delle presenze o a giustificare le assenze; gli elementi in atti, anzi, deponevano per la riconducibilità del rapporto ad una collaborazione autonoma, essendo in tal senso significativa la scelta, rimessa alla discrezionalità esclusiva della P., se assistere i clienti presso le aziende o presso il locale della società, se recarsi a lavorare presso la sede di Cesena o la sede di Ravenna, il fatto che l’attività di consulenza fosse prestata anche in favore di imprese estranee a Confindustria Assoservizi, il fatto che la P. avesse presso di sè vari praticanti, che sostenesse i costi della propria attività professionale (polizza assicurativa, contributi, oneri fiscali); l’utilizzo di un ufficio e/o di strumenti della committente non deponeva per la natura subordinata del rapporto posto che, almeno fino all’anno 2008, era sempre stato corrisposto un canone di locazione; non deponeva, infine, nel senso della subordinazione la possibilità di avvalersi dell’opera di dipendenti della committente in quanto la consulenza era resa a favore delle imprese associate e/o della stessa Assoservizi;

7.2. i parametri ai quali la sentenza di appello ha ancorato la verifica della natura subordinata o meno del rapporto tra le parti sono coerenti con il disposto dell’art. 2094 c.c. alla stregua del quale ciò che connota il rapporto di lavoro subordinato è il vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, il quale discende dall’emanazione di ordini specifici, oltre che dall’esercizio di una assidua attività di vigilanza e controllo dell’esecuzione delle prestazioni lavorative. L’esistenza di tale vincolo va concretamente apprezzata con riguardo alla specificità dell’incarico conferito al lavoratore e al modo della sua attuazione, fermo restando che ogni attività umana economicamente rilevante può essere oggetto sia di rapporto di lavoro subordinato sia di rapporto di lavoro autonomo (Cass. n. 2728 del 2010, n. 13448 del 2003, Cass. n. 8254 del 2002, Cass. n. 14664 del 2001, Cass. n. 4036 del 2000, Cass. n. 326 del 1996);

7.3. le deduzioni della ricorrente che lamentano la errata valorizzazione, nel senso preteso, di elementi tratti dalla prova espletata, sono inammissibili posto che in sede di legittimità è censurabile solo la determinazione dei criteri generali e astratti da applicare al caso concreto, mentre costituisce accertamento di fatto incensurabile in tale sede se sorretto, come nel caso di specie, da motivazione adeguata e immune da vizi logici e giuridici – la valutazione delle risultanze processuali che hanno indotto il giudice ad includere il rapporto controverso nell’uno o nell’altro schema contrattuale (cfr., tra le tante, Cass. n. 4171 del 2006, Cass. n. 15275 del 2004, Cass. n. 8006 del 2004);

8. il secondo motivo è inammissibile;

8.1. la sentenza impugnata ha ritenuto tardiva la documentazione prodotta in prime cure dalla P., oltre il termine a tal fine concesso dal giudice; ha escluso la sussistenza del presupposto rappresentato dalla necessità di vincere dubbi residuati dalle risultanze istruttorie al fine della relativa acquisizione mediante l’esercizio dei poteri d’ufficio ex art. 421 c.p.c.;

8.2. la valutazione di inammissibilità della produzione documentale e di insussistenza del presupposto per l’esercizio dei poteri di cui all’art. 437 c.p.c., non è validamente censurata dalla odierna ricorrente mancando, in violazione del disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, la esposizione del fatto processuale necessaria al fine dell’adeguata comprensione della doglianza (non è detto quando è stata formulata la istanza di produzione di tali documenti nè le ragioni che la giustificavano, quale era il contenuto della ordinanza che ne autorizzava il deposito), dovendo ulteriormente osservarsi che in linea di principio il deposito dei documenti unitamente all’atto introduttivo del giudizio costituisce onere del ricorrente la cui inosservanza comporta preclusione superabile, in ossequio al principio di ricerca della verità materiale, solo mediante l’esercizio dei poteri di ufficio (v. tra le altre, Cass. n. 20055 del 2016), esercizio del quale la Corte di merito ha escluso il ricorrere in concreto dei relativi presupposti;

9. il terzo motivo di ricorso è inammissibile;

9.1. nel rito del lavoro, l’esercizio di poteri istruttori d’ ufficio, nell’ambito del contemperamento del principio dispositivo con quello della ricerca della verità, involge un giudizio di opportunità rimesso ad un apprezzamento meramente discrezionale, che può essere sottoposto al sindacato di legittimità soltanto come vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, qualora la sentenza di merito non adduca un’adeguata spiegazione per disattendere la richiesta di mezzi istruttori relativi ad un punto della controversia che, se esaurientemente istruito, avrebbe potuto condurre ad una diversa decisione (Cass. n. 12717 del 2010, Cass. n. 4611 del 2006);

9.2. nel caso di specie la sentenza impugnata ha escluso il ricorrere del presupposto per l’acquisizione di ufficio della documentazione tardivamente prodotta ritenendo non necessario alcun approfondimento istruttorio stante l’univocità delle deposizioni testimoniali raccolte. Tanto esclude la sussistenza del denunziato errore di diritto rivelandosi la decisione sul punto in linea con la consolidata interpretazione del disposto dell’art. 421 c.p.c. che consente il ricorso ai poteri d’ufficio solo laddove il relativo esercizio sia necessario per l’approfondimento di un quadro istruttorio che abbia dato un esito incerto. Le doglianze articolate sono, peraltro, prive di pregio anche ove dovessero ricondursi all’ambito del vizio di motivazione posto che, in disparte la questione della preclusione scaturente da cd. doppia conforme ex art. 348 ter c.p.c. (per cui v. sub paragrafo 10.1.), parte ricorrente si limita a contrapporre alla valutazione del giudice di appello la propria valutazione circa la necessità di acquisizione della documentazione relativa ai redditi della P., omettendo di evidenziarne la decisività a fronte del complesso degli elementi probatori già acquisiti e ritenuti delineare un quadro probatorio sufficientemente univoco;

10. il quarto motivo di ricorso è inammissibile;

10.1. la sentenza impugnata ha dichiarato di condividere la decisione di primo grado la quale sulla base della espletata istruttoria aveva fatto risalire alla iniziativa della P., realizzata attraverso un comportamento concludente, la cessazione del rapporto;

10.1. tale accertamento non è validamente censurato dalla odierna ricorrente la quale, pur formalmente denunziando violazione di norme di diritto, non svolge alcuna argomentazione intesa a contestare il significato e la portata applicativa attribuiti dal giudice di appello alle norme delle quali è denunziata violazione, come prescritto in relazione al mezzo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (Cass. n. 5353 del 2007, Cass. n. 11501 del 2006); le doglianze articolate sono infatti incentrate sulla ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa; tale ricognizione poteva essere astrattamente incrinata solo dalla denunzia di vizio di motivazione, la cui deducibilità risulta nello specifico preclusa dal disposto dell’art. 348 ter c.p.c., u.c., ricorrendo l’ipotesi di “doppia conforme” in assenza della evidenziazione da parte della ricorrente, sulla quale ricadeva il relativo onere, che le ragioni relative a questioni di fatto poste a base della sentenza di primo grado e quelle poste a base della sentenza di appello erano tra loro diverse (Cass. n. 20994 del 2019, Cass. n. 26774 del 2016, Cass. n. 19001 del 2016);

11. il quinto motivo di ricorso è anch’esso inammissibile per la preclusione scaturente dalla esistenza di una ” doppia conforme” secondo quanto sopra osservato;

12. il sesto motivo di ricorso è inammissibile;

12.1. occorre premettere che una volta esclusa la natura subordinata della collaborazione in oggetto la verifica della parte alla quale far risalire la cessazione del rapporto poteva assumere rilievo solo in ordine alla eventuale pretesa risarcitoria connessa alla dedotta illegittimità del recesso ante tempus o all’inadempimento della società connesso al rifiuto della prestazione offerta dalla odierna ricorrente. In relazione al primo profilo la sentenza impugnata ha rilevato la tardività della prospettazione della P. relativa al recesso anticipato, privo di causa, da parte della società e tale affermazione, configurante ratio decidendi autonoma rispetto alla valutazione di infondatezza nel merito, pure espressa dalla Corte di appello, non è stata validamente censurata dalla odierna ricorrente la quale non ha provveduto alla trascrizione o riassunto del contenuto degli atti di pertinenza, ai quali ha fatto un mero rinvio (v. in particolare ricorso, pag. 48), destinati, in tesi, a dimostrare la tempestività della prospettazione in quanto scaturita dal contenuto della domanda riconvenzionale della società. La censura così articolata non è conforme alle indicazioni del giudice di legittimità secondo il quale la verifica di fondatezza del motivo proposto deve avvenire sulla base del solo esame del ricorso per cassazione senza necessità di indagini integrative o rinvio per relationem ad altri atti o scritti difensivi presentati nei precedenti gradi di giudizio (Cass. n. 130d6 del 2006, Cass. n. 4840 del 2006, Cass., n. 16360 del 2004, Cass. – Sez. Un. 2602 del 2003, Cass. n. 4743 del 2001);

12.2. in relazione alla domanda di risarcimento del danno connessa alla prospettazione dell’inadempimento della società per il rifiuto di questa di ricevere la prestazione della P. fino alla scadenza del contratto, domanda formulata in via subordinata nel ricorso di primo grado (v. storico di lite della sentenza, pag. 4), la Corte di merito ha dichiarato di condividere la ricostruzione di prime cure circa la riconducibilità della risoluzione alla volontà, manifestata per fatti concludenti dalla P. la quale nei giorni 25 e 26 novembre 2009 aveva comunicato di voler cessare immediatamente la collaborazione, ritirato gli oggetti personali e nei giorni successivi, fino alla formale disdetta, non aveva più svolto alcuna attività;

12.3. da tanto consegue, in relazione alla denunzia di mancata ammissione della prova orale a mezzo della teste L., premesso quanto osservato al paragrafo 9.1. in tema di sindacabilità del mancato esercizio dei poteri istruttori di ufficio solo con il mezzo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che, in concreto, la denunzia di vizio di motivazione risulta preclusa, ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., u.c., dall’esistenza di “doppia conforme”, non avendo la odierna ricorrente allegato prima ancora che dimostrato che le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello erano tra loro diverse, come suo onere secondo quanto già rappresentato al paragrafo 10.1.;

12.4. infine, la deduzione di violazione di norma di diritto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per come in concreto articolata, risulta inammissibile in quanto le critiche formulate non attengono alla verifica di correttezza dell’attività ermeneutica diretta alla ricostruzione del significato e della portata applicativa delle norme in oggetto quale offerta dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina (Cass. 26 giugno 2013, n. 16038 del 2013;Cass. 28 febbraio 2012, n. 3010; Cass. 28 novembre 2007, n. 24756; Cass. 31 maggio 2006, n. 12984);

13. alle considerazioni che precedono consegue il rigetto del ricorso con regolamento delle spese di lite secondo soccombenza;

14. sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in Euro 5.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2020

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