Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13909 del 03/06/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 13909 Anno 2013
Presidente: VIDIRI GUIDO
Relatore: GARRI FABRIZIA

SENTENZA
sul ricorso 6911-2009 proposto da:
PELLICCIONI ALESSANDRO PLLLSN66T20L219A, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA DELLA MARATONA N. 56, presso
lo studio dell’avvocato ABBATE CARLO,

che

lo

rappresenta e difende giusta delega in atti;
– ricorrente contro

2013
441

COMUNE DI ROMA;
– intimato sul ricorso 6912-2009 proposto da:
NEGRI

MARIO

NGRMRA64T14H501N,

elettivamente

Data pubblicazione: 03/06/2013

domiciliato in ROMA, VIA DELLA MARATONA N. 56, presso
lo studio dell’avvocato ABBATE CARLO, che lo
rappresenta e difende giusta delega in atti;
– ricorrente contro

– intimato –

avverso la sentenza n. 4546/2009 della CORTE SUPREMA
DI CASSAZIONE di ROMA, depositata il 25/02/2009 r.g.n.
237/06;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 06/02/2013 dal Consigliere Dott. FABRIZIA
GARRI;
udito l’Avvocato ABBATE CARLO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIULIO ROMANO, che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

COMUNE DI ROMA;

Svolgimento del processo
Con distinti ricorsi, tempestivamente notificati e depositati, Alessandro Pelliccioni e Mario Negri hanno
chiesto, ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c. la revocazione della sentenza di questa Corte n. 4546/2009 che, in
data 17/12/2009-25/2/2009 ha respinto il ricorso da loro proposto avverso la sentenza della Corte
d’Appello di Roma.

In particolare questa Corte, per quanto qui ancora interessa, ha deciso di non poter differire la decisione
della controversia avuto riguardo all’oggetto della causa e alla delicatezza della questione controversa.
Ritengono i ricorrenti che, al contrario, in tale situazione la Corte avrebbe dovuto disporre il rinvio
della decisione della causa.
Con riferimento alla posizione del solo Negri, poi, è stata ritenuta inammissibile, perché non proposta
in primo grado, la questione relativa alla violazione dell’art. 7 della 1. 300/1970 e dell’art. 24 C.C.N.L.
Enti Locali circa la mancata audizione, pur chiesta, del lavoratore sottoposto a procedimento
disciplinare.
Sottolinea il Negri che, al contrario, sia dalla fase cautelare che nel ricorso di primo grado tale doglianza
era stata espressamente formulata (v. pag. 12 ric I° e pag. 11 art. 700, note del 16.4.2003) e dunque il
giudice d’appello e la Suprema Corte ne avrebbero dovuto tenere conto.
Il Comune di Roma è rimasto intimato.

Motivi della decisione
Preliminarmente deve essere disposta la riunione dei due ricorsi per revocazione relativi alla stessa
sentenza.
Tanto premesso ritiene la Corte che gli stessi siano infondati.
Quanto al primo motivo di revocazione, che interessa entrambe le parti ricorrenti, ritiene la Corte che la
censura formulata prima ancora che infondata sia inammissibile.
Secondo la prospettazione dei ricorrenti, infatti, la sentenza n. 4546 del 2009 sarebbe affetta da errore
di fatto ai sensi dell’art. 395 n. 4 in quanto fondata sull’errata supposizione che la richiesta di rinvio
della decisione per trattative fosse stata presentata dalla sola difesa dei ricorrenti laddove, dagli atti di
causa si evinceva che si trattava di una richiesta congiunta di tutte le parti.
Sostengono allora i ricorrenti che, in tale situazione di fatto, la Corte avrebbe dovuto disporre il rinvio
della decisione della controversia in quanto la scelta di differirla per la pendenza di trattative rientrava
nella sola disponibilità delle parti che, diversamente, avrebbero visto pregiudicato il loro diritto di
difesa. Errando nell’esaminare gli atti, la Corte ha attribuito la richiesta, formulata congiuntamente, ai
soli ricorrenti e, in violazione del principio dispositivo che regola il processo , ha proceduto alla
decisione della causa.

R.G. n. 6911 e 6912/2009

arri

Quest’ultima, infatti, riformando la sentenza del Tribunale della stessa città, aveva dichiarato la
legittimità dei licenziamenti loro intimati dal Comune di Roma in data il 20 novembre 2001.

Osserva al contrario questa Corte che, diversamente da quanto affermato dai ricorrenti, la censura
mossa alla sentenza non è configurabile come violazione dell’art. 395 n. 4 c.p.c..

3n applicazione del principio costituzionale del giusto processo rientra nei poteri del giudice regolare la

Peraltro ove con il ricorso per revocazione, come nel caso in esame, sia stato dedotto l’omesso esame
di atti difensivi asseritamente contenenti argomentazioni giuridiche dalla Corte non valutate, la censura
sarebbe inammissibile in quanto ciò che viene denunciato è un “errore” consistente nella non
condivisibilità della scelta adottata dalla Corte di definire il giudizio.
Il ricorso per revocazione delle sentenze della Corte di cassazione, e delle ordinanze pronunciate ai
sensi dell’art. 375 c.p.c., comrna 1, nn. 1, 4 e 5, è ammissibile solo per errore di fatto, ai sensi dell’art.
395 c.p.c., n. 4.
Ricorre l’errore di fatto quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è
incontrastabilmente esclusa oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è
positivamente stabilita. Tanto nell’uno quanto nell’altro caso, poi, se il fatto non costituì un punto
controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciarsi.
Nel ricorso per revocazione, la formulazione del motivo deve, pertanto, risolversi nell’indicazione
specifica, chiara ed immediatamente intelligibile, del fatto che si assume avere costituito oggetto
dell’errore e nell’esposizione delle ragioni per cui l’errore presenta i requisiti previsti dall’art. 395 cod.
proc. civ. (cfr. Cass., n. 5075 e n. 5076 del 2008 e n. 1010 del 2011).
Nel caso in esame non si verte in tema di una erronea percezione di un fatto che, se esattamente
percepito, avrebbe determinato una diversa valutazione della situazione processuale e, per l’effetto, una
diversa decisione della causa.
Piuttosto si tratta della denuncia di un errato esercizio del potere dispositivo del processo consistita
nell’aver negato il rinvio per trattative sebbene questo fosse stato chiesto congiuntamente dalle parti.
Ci si trova quindi di fronte ad una interpretazione delle norme processuali che regolano lo svolgimento
del processo che, peraltro, contrariamente a quanto affermato nel ricorso, si dimostra
costituzionalmente orientata (art. 111 Cost.) privilegiando, come necessario, l’esigenza di ragionevole
durata del processo a fronte di una non meglio valutabile istanza di differimento.
Proprio in applicazione di principi dettati dalla Costituzione la Corte ha ritenuto preminente l’interesse
ad una sollecita definizione del processo argomentando tale scelta anche con specifico riferimento alla
durata del giudizio ed alla delicatezza della questione trattata. Si tratta di scelta che, oltre che
condivisibile, non integra quell’errore di percezione di fatti su cui si fonda la domanda di revocazione.
Quanto al motivo di revocazione specificatamente avanzato dal ricorrente Negri anche questo non
può essere accolto.

R.G. n. 6911 e 6912/2009

9rri

durata del giudizio impedendo procrastinazioni della decisione di controversie risalenti, sulla base di una
mera richiesta seppure congiunta di differimento della decisione, con riguardo alla dedotta generica
esistenza di trattative in corso, delle quali non è dato valutare la probabilità di riuscita (cfr. in termini
Cass. 6037/2010).

In primo luogo, e diversamente da quanto affermato nel ricorso per revocazione, la sentenza impugnata
pur rilevando la novità della dedotta violazione dell’art. 7 della 1. n. 300 del 1970 e dell’art. 24 del CCNL
degli Enti locali, per non essere stata sollevata nel primo grado di giudizio, in ogni caso ha proceduto
all’esame della doglianza rammentando che ai fini della effettività del diritto di difesa stabilito dall’art. 7
citato il datore di lavoro non è obbligato a convocare il lavoratore ove non sia stata avanzata una
esplicita richiesta in tal senso, essendo sufficiente e,ll
che ly stesso sia stato posto nella condizione di
1A, An~., .
a questione introdotta motiva comunque sulla
apprestare le proprie difese anche per iscritto..
irrilevanza della mancata audizione a fronte dello svolgimento effettivo delle difese esaminando quindi

Ne consegue che nessun errore di fatto è ravvisabile per tale profilo.
Quanto alla ritenuta sufficienza delle giustificazioni comunque presentate la sentenza non si sofferma
affatto sull’esistenza o meno di una richiesta di audizione personale ma si limita a rilevare, a tal fine
citando la giurisprudenza formatasi sul punto, che il diritto di difesa non può ritenersi pregiudicato ove
dopo la contestazione dell’addebito il lavoratore abbia comunque avuto modo di formulare le proprie
controdeduzioni.
Tale affermazione, confortata come si è detto da precedenti sentenze di questa Corte, costituisce una
interpretazione o sussunzione della fattispecie nella norma giuridica e non integra un’ errata percezione
di fatti allegati o incontestati.
Ne consegue che anche per tale aspetto il ricorso non può essere accolto.
Non occorre provvedere sulle spese del giudizio stante la mancata costituzione del Comune di Roma
rimasto intimato.

PQM
La Corte
Riunisce i ricorsi e li rigetta.
Nulla per le spese.
Così deciso in Roma il 6 febbraio 2013

la decisività della questione sollevata per escluderla.

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