Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13908 del 20/05/2021

Cassazione civile sez. lav., 20/05/2021, (ud. 26/01/2021, dep. 20/05/2021), n.13908

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

Dott. BUFFA Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22631-2018 proposto da:

A.S., + ALTRI OMESSI, tutti elettivamente domiciliati

in ROMA, VIA RIDOLFINO VENUTI N. 30, presso lo studio dell’avvocato

SILVIA CRETELLA, rappresentati e difesi dall’avvocato MARIO

CRETELLA;

– ricorrenti –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA n. 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati LUIGI

CALIULO, LIDIA CARCAVALLO, SERGIO PREDEN, ANTONELLA PATTERI;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza n. 12074/2018 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

di ROMA, depositata il 17/05/2018 R.G.N. 16506/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/01/2021 dal Consigliere Dott. DANIELA CALAFIORE;

il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Dott. GIACALONE

GIOVANNI, visto il D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8

bis convertito con modificazioni nella L. 13 dicembre 2020, n. 176,

ha depositato conclusioni scritte.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

A.S. ed altri 42 consorti, con un motivo, hanno proposto ricorso per revocazione per errore di fatto (art. 395 c.p.c., n. 4) della ordinanza di questa Corte n. 12074/18 che ha dichiarato inammissibile il ricorso dagli stessi proposto per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Salerno n. 1587/2015 che, ritenendo le domande giudiziarie improponibili in mancanza di prova dell’effettiva proposizione delle necessarie domande amministrative, aveva accolto l’appello dell’INPS avverso la sentenza di primo grado di riconoscimento del diritto degli odierni ricorrenti ai benefici previsti dalla L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8.

Resiste con controricorso l’INPS.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo del ricorso per revocazione si afferma che la Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 12074 del 2018, ha del tutto omesso di esaminare la seconda parte del primo, articolato, motivo di cassazione relativa alla violazione dell’art. 2697 c.c. e art. 115 c.p.c., con la quale si era inteso aggredire la sentenza della corte territoriale in relazione all’affermazione che il mancato rinvenimento agli atti di causa delle domande amministrative a suo tempo presentate equivalesse a mancanza di prova della loro esistenza, ritenendosi operante un principio di presunzione di legittimità dell’accertamento sulla esistenza di tali domande posto in essere dalla sentenza di primo grado.

Il motivo è inammissibile.

E’ opportuno premettere che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la pronuncia della Corte di cassazione è affetta da errore di fatto revocatorio, cioè rilevante ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c., comma 1 e art. 395 c.p.c., n. 4, quando esso: a) consista in un mero errore di percezione od in una svista materiale concernenti un “fatto” (processuale o sostanziale) e, perciò, non riguardi nè la violazione o falsa applicazione di norme giuridiche nè l’attività interpretativa o valutativa (com l’apprezzamento delle risultanze processuali) compiuta dal giudice (ex plurimis, n. 17163 n. 3180 del 2015; n. 1731 del 2014; n. 72569 del 2013; n. 1381 del 2012; n. 16003 del 2011; n. 22171 del 2010; n. 8180 del 2009 e sez. un. 7217 del 2009; n. 14267 del 2007; n. 6198 del 2005; n. 5150 del 2003); b) emerga dal contrasto tra una dichiarazione espressa (basata, come rilevato, su una mera “supposizione”, che non integra un “giudizio” e che, quindi, non si risolve in una valutazione) contenuta nella pronuncia e quanto invece risulta dagli atti interni del giudizio (“atti o documenti della causa”) ex plurimis, n. 22171 del 2010; c) appaia oggettivamente ed immediatamente rilevabile (supposizione di un fatto la cui verità è “incontrastabilmente” esclusa; oppure ritenuta inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita) tanto da non richiedere, per essere apprezzato lo sviluppo di argomentazioni induttive e di indagini ermeneutiche (ex plurimis n. 30180 del 2015 numero 7127 del 2006; n. 6511 e n. 4295 del 20051; d) riguardi un fatto decisivo (nel senso che “la decisione è fondata” sul fatto erroneamente ritenuto esistente o inesistente, tanto che, se non vi fosse stato errore, la decisione sarebbe stata diversa) (ex plurimis, n. 12962 e n. 3379 del 2012; n. 4295 del 2005); e) attenga a fatto che non abbia costituito, in giudizio, un punto controverso sul quale si sia pronunciato il giudice.

In particolare, l’omessa pronuncia da parte della Corte di cassazione può essere impugnata per revocazione quando si risolva in una omessa lettura (con la consequenziale assenza di qualsivoglia scrutinio) di alcuni motivi del ricorso per cassazione, per essere il giudice di legittimità incorso in un errore di tatto nell’esame degli atti interni al suo stesso giudizio ed avere perciò ignorato tali motivi nella sua pronuncia (ex plurimis, n. 1654 del 2015; n. 22569 e n. 4605 del 2013; n. 362 del 2010).

Alla stregua di tali riassuntive indicazioni vanno esaminate le censure dei ricorrenti.

I ricorrenti espongono che la Corte, con la pronuncia impugnata, ha dichiarato inammissibile il ricorso per cassazione non ravvisando alcun interesse ad impugnare la sentenza della Corte d’appello di Salerno, che aveva dichiarato l’improponibilità delle domande – questione rilevabile d’ufficio – al fine di far rilevare la violazione delle norme processuali applicate per consentire all’INPS di essere ritualmente evocato in giudizio e conseguentemente di costituirsi eccependo la stessa improponibilità delle domande. Se avesse esaminato il successivo capo del motivo, ad avviso dei ricorrenti, questa Corte avrebbe dovuto dare atto che la Corte d’appello non aveva tenuto conto che il primo giudice aveva invece accertato positivamente l’esistenza delle dette domande amministrative.

Questo passaggio non è condivisibile. Il motivo non dimostra, di per sè, l’omesso esame della censura sopra descritta, nè, tanto meno, che tale omissione sia stata decisiva al fine di evitare la declaratoria di inammissibilità dei primo motivo dei ricorso per cassazione.

Questa Corte di cassazione ha avuto modo di affermare che, se è indubbio che l’omessa valutazione di un motivo di ricorso, frutto di una svista nella mera constatazione dell’ambito del devolutum, è certamente da comprendere nell’errore revocatorio, altrettanto indubbio è che, le volte in cui il motivo sia stato percepito, interpretato, valutato e deciso, qualunque equivoco o qualunque incompletezza di analisi occorsa nel momento complesso della interpretazione – valutazione – decisione, si sottrae dall’ambito applicativo dell’art. 391 bis c.p.c..

L’ordinanza in disamina ha riportato le censure che si assumono ignorate indicandone gli articoli (seppure con il refuso relativo all’art. 2697 c.c. che è stato indicato come art. 297 c.c.) ed ha interpretato, con formula sintetica evidentemente dettata dalla motivazione semplificata autorizzata dal collegio, la doglianza come sostanzialmente incentrata sulla critica alla decisione della Corte d’appello di superare il positivo giudizio di merito adottato dal primo giudice facendo valere il fatto processuale che agli atti non erano state rinvenute le domande amministrative; tali domande, ha rilevato la Corte di cassazione, sono però condizioni di proponibilità delle domande giudiziarie la cui omissione ben può essere rilevata dalla Corte territoriale d’ufficio ed a prescindere dalle vicende occorse in primo grado; da qui, come conseguenza dell’assenza della condizione di proponibilità, si è rilevata la carenza d’interesse ad impugnare.

Gli odierni ricorrenti, con la domanda di revocazaione, intendono sostanzialmente criticare questo snodo essenziale dell’ordinanza n. 12074/2018 osservando che la prova logica dell’omesso esame del profilo contenuto nel motivo di ricorso starebbe nella carenza di motivazione e di argomentazione sul medesimo punto che assumono essere stato obliterato.

Come è evidente, però, si tratta di un errore sul contenuto del motivo del ricorso per cassazione la cui esistenza dovrebbe trarsi dall’assenza logica della motivazione, intesa come requisito dell’atto del processo e quindi di una species di vizio interamente rapportabile all’art. 360 c.p.c., n. 4, un vizio di errore in procedendo che in nessun modo è configurabile a carico della sentenza di legittimità quale errore revocatorio non essendo consentito censurare la errata interpretazione – applicazione di norme del processo o sul processo che abbia commesso la Corte di legittimità.

In sostanza, a seguire la tesi dei ricorrenti, si giungerebbe alla espansione dell’area della sindacabilità dell’errore revocatorio commesso dalla Corte di legittimità in sede rescindente (notoriamente limitata all’ipotesi di cui all’art. 395 c.p.c., n. 4, a differenza della ampiezza di ipotesi regolata dall’art. 391 ter c.p.c. nel caso di pronunzia ex art. 384 c.p.c.). La proposta ricostruttiva, come affermato in fattispecie assimilabile alla presente da Cass. n. 4605 del 2013, non è condivisibile in quanto priva di alcuna base normativa.

Si è affermato, con quest’ultima pronuncia, che ” (…) il limite dell’errore percettivo chiaramente posto dalla legge alle impugnazioni a carico della sentenza della Corte di legittimità delinea il terreno delle ipotesi di ammissibilità in termini di svista o mancata attenzione su di un fatto materiale o processuale in termini, per quel che rileva, di percezione della esistenza stessa di un motivo di ricorso, escludendo da quelle ipotesi quella – riconducibile ut supra ai vizi della completezza grafica o della intellegibilità logica della decisione – della decisione consapevolmente assunta ma incomprensibilmente esternata. E la esclusione è il portato di una opzione assai chiara del legislatore, correlata alla ragionevole scelta di assicurare la fine della controversia con la decisione della Corte di legittimità, quella di consentire che la parte abbia conseguito, o possa conseguire in sede di esercizio dello jus poenitendi da parte della Corte di Cassazione proprio la decisione auspicata ma non una correzione di pretesi errori di diritto, sostanziali o processuali, commessi dalla pronunzia revocanda. Dall’altro canto, la proposta qui in disamina predica la necessità di una descrizione dei motivi – e quindi delle censure ex art. 360 c.p.c. in essi contenute – che non ha un fondamento normativo: nel pieno rispetto del cogente disposto dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e art. 118 disp. Att. C.p.c., che impongono una esposizione concisa o succinta delle ragioni delle decisioni assunte, la Corte di legittimità, vieppiù le volte in cui il Collegio decida di ricorrere ad una motivazione particolarmente concisa (o semplificata, come previsto dall’art. 74 del c.p.A.), ben può omettere del tutto la descrizione del motivo che si accinge ad esaminare, riservando la sua attenzione argomentativa alla sua valutazione e decisione, esse sì indefettibilmente esternate con proposizioni intelligibili”.

Invero, nel caso di specie, è pacifico ed addirittura ammesso dagli odierni ricorrenti (pag. 21 del ricorso per revocazione) che in grado d’appello non fossero “rinvenibili” le istanze amministrative presentate all’INPS territorialmente competente, per cui è unicamente questo il “fatto” che, ad avviso della Corte di cassazione, ha assunto rilievo centrale tale di per sè a legittimare la decisione della Corte territoriale, restando invece irrilevante l’iter del processo di primo e secondo grado e, quindi, non ravvisandosi neanche un giuridico interesse ad impugnare.

Ogni critica a tale elemento essenziale della decisione, qualora non si affermi che invece le domande amministrative fossero state presenti agli atti del giudizio di appello e che ciò fosse stato ribadito e debitamente provato nel giudizio di cassazione, non può che rimanere estranea all’ambito dell’art. 391 bis c.p.c. e dell’art. 395 c.p.c., n. 4.

Le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in Euro 4.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 26 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2021

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