Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13907 del 07/07/2016

Cassazione civile sez. VI, 07/07/2016, (ud. 17/12/2015, dep. 07/07/2016), n.13907

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2782-2015 proposto da:

A.G., M.M.A., A.O., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA APUANIA 12, presso lo studio dell’avvocato

SALVATORE MUCCIO, che li rappresenta e difende giusta mandato a

margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

A.R., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA DELLA

CROCE ROSSA 2/C (studio ORRICK HERRINGTON & SUTCLIFFE), presso

lo

studio dell’avvocato RICCARDO TROIANO, che lo rappresenta e difende

giusta procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3982/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI del

7/10/2014, depositata l’08/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/12/2015 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONINO SCALISI;

udito l’Avvocato Salvatore Muccio difensore dei ricorrenti che

insiste per l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato Riccardo Troiano difensore del contro ricorrente

che insiste per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

A.R. con atto di citazione del 27 marzo 2006 conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Torre Annunziata sez staccata di Castellamare di Stabia A.O. e A.G., chiedendo che venisse dichiarata la nullità o l’inefficacia per simulazione del contratto di compravendita del 31 gennaio 2003 con il quale la propria debitrice M.A. aveva venduto ai figli O. e A.G. gli immobili siti in (OMISSIS) dettagliatamente identificati in atti. Precisa di essere creditore di M.M.A. della somma di Euro 98.462,00 oltre interessi e spese in virtù del decreto ingiuntivo n. 125/05, emesso dallo stesso Tribunale di Castellamare di Stabia.

M.M.A., A.O. e A.G. hanno resistito alla domanda chiedendone il rigetto.

Il Tribunale di Torre Annunziata sez staccata di Castellamare di Stabia, con sentenza n. 269 del 2010 dichiarava la simulazione assoluta dei contratti di compravendita, contenuti nel rogito notaio Chiari del 31 gennaio 2003, nelle sole parti concernenti alienazione di diritti in titolarità in proprio o quale successore del defunto coniuge di M.M.A., condannava i convenuti al pagamento delle spese del giudizio.

Avverso questa sentenza, interponevano appello M.M. A., chiedendo la riforma integrale della sentenza impugnata, rigettando la domanda di simulazione, dichiarando valido ed efficace il contratto di compravendita intervenuto tra le parti.

Si costituiva A.R., chiedendo che venisse rigettato l’appello e confermata la sentenza impugnata.

La Corte di Appello di Napoli con sentenza n. 3982 del 2014 rigettava l’appello, confermava la sentenza impugnata e condannava gli appellanti al pagamento delle spese del giudizio. Secondo la Corte partenopea, il Tribunale aveva correttamente evidenziato quali indizi presuntivi dell’accordo simulatorio della vendita immobiliare avvenuta dalla madre M. ai due figli O. e G.: la singolare coincidenza temporale degli eventi nel senso dell’essere la compravendita posteriore al sorgere del credito e all’azionamento dello stesso in sede monitoria; b) gli stretti rapporti familiari intercorrenti tra la debitrice e i compratori (apparenti); c) la mancanza della prova della corresponsione del prezzo che nell’atto si dichiara essere stato corrisposto anteriormente alla stipula.

La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da M.M. A. e da A.O. e A.G. con ricorso affidato a due motivi. A.R. ha resistito con controricorso.

In prossimità dell’udienza pubblica le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.= Con il primo motivo del ricorso M.M.A., A. O. e A.G. lamentano la violazione e falsa applicazione degli artt. 1417, 2727 e 2729 c.c. perchè la gravata sentenza muovendo dalla falsa premessa che O. e A.G. non abbiano fornito alcuna prova del pagamento, neanche parziale, delle somme dovute a corrispettivo dell’acquisto, ha errato ritenendo di poter presumere che il contratto di compravendita sia stato simulato (art. 360 c.p.c., n. 3). Secondo i ricorrenti i contratti intercorsi tra madre e figli ( O. e A.G.) non sarebbero simulati perchè i figli avrebbero, anticipatamente, pagato il prezzo delle quote del compendio immobiliare appartenenti alla madre. In particolare, la Corte distrettuale non avrebbe tenuto conto di una lettera raccomandata del 20 agosto 1991 dell’ENPAM, dalla quale risulterebbe che i pagamenti da parte dell’Ente previdenziale ai figli della M. veniva effettuati direttamente alla madre anche nel rispetto dell’art. 1190 c.c.. Pertanto, quella lettera proverebbe, al di là di ogni possibile dubbio, esattamente il contrario di quanto affermato dalla sentenza cioè che i conferimenti economici alla madre da parte dei soli fratelli minori, sarebbero serviti quale pagamento anticipato del prezzo delle relative vendite, oggetto del giudizio.

1.1 .= Il motivo è infondato ed, essenzialmente, perchè si risolve nella richiesta di una nuova e diversa valutazione dei dati processuali non proponibile nel giudizio di cassazione e, come nel caso in esame, la valutazione, effettuata dalla Corte distrettuale, non presenta vizi logici e/o giuridici.

E’ affermazione ricorrente in dottrina e nella giurisprudenza di questa Corte che i limiti istituzionali del giudizio di cassazione sono segnati dal suo oggetto, costituito da vizi specifici della decisione del giudice inferiore e non direttamente dalla materia controversa nella sua interezza, e trovano attuazione in una attività che si caratterizza in funzione della rimozione della decisione viziata e non già della sostituzione immediata di questa.

Va, altresì, precisato, che, pur se per effetto dell’evoluzione legislativa succedutasi nel corso degli ultimi tempi, i limiti istituzionali del giudizio di cassazione siano stati profondamente rimaneggiati, tanto da rendere, oramai, obsoleta l’idea della Cassazione come giudice della sentenza, tuttavia, la funzione di garanzia che l’ordinamento assegna al giudice di legittimità in attuazione dell’art. 65 Ord. giud. si esercita, comunque, nella duplice direzione di un controllo sulla legalità della decisione e di un controllo sulla logicità della decisione. Nella prima direzione, il controllo di legittimità affidato alla Corte di cassazione consiste nella verifica sotto il profilo formale e della correttezza giuridica dell’esame e della valutazione compiuti dal giudice di merito (15824/14; 8118/14; 7972/07), mentre riguardo alla seconda si è soliti dire che la Corte viene investita della facoltà di controllare, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, le argomentazioni svolte dal giudice del merito, con la precisazione che, ad esso e solo ad esso, spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi (22386/14;

22146/14; 20322/05).

1.1.a) Comunque, e al di là di queste considerazioni, nel caso specifico il ragionamento che ha condotto la Corte distrettuale a ritenere che il contratto di compravendita di cui si dice fosse un contratto simulato è fondato su coordinate ed elementi ben più ampi rispetto a quelli indicati dai ricorrenti.

Infatti, la Corte distrettuale, pur considerando in ipotesi, che i pagamenti da parte dell’Ente previdenziale ai figli della M. venivano effettuati direttamente alla madre, tuttavia, ha precisato che (…..) non vi era prova che quest’ultima (la madre) “abbia percepito i ratei pensionistici spettanti ai due figli per la causale in esame (prezzo della futura vendita che essi avevano programmato di porre in essere)”.

2= Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione degli artt. 1417, 2727 e 2729 c.c. nell’utilizzare, quale prova della simulazione del contratto di compravendita, la generica presunzione che, attraverso l’alienazione dei propri beni, la debitrice abbia inteso sottrarli alla garanzia generica dei creditori: b) commettendo perciò gravi errori logici nell’applicazione delle presunzioni; c) omettendo di provare specificamente, secondo le indicazioni della giurisprudenza ricevuta, che l’alienazione sia stata soltanto apparente, nel senso che nè l’alienante abbia inteso dismettere la titolarità del diritto, nè l’altra parte abbia inteso acquisirla.

Secondo i ricorrenti la Corte distrettuale, confermando la sentenza del Tribunale, avrebbe motivato la sussistenza della simulazione del contratto di cui si dice attraverso presunzioni tipiche utilizzate nel quadro dell’azione revocatoria, quale: a) la lesività per il terzo creditore del contratto concluso; b) la singolare coincidenza degli eventi, nel senso dell’essere la compravendita, posteriore al sorgere del credito ed all’azionamento dello stesso in sede monitoria; c) gli stretti rapporti familiari intercorrenti tra la debitrice ingiunta ed i compratori. Piuttosto, la prova della simulazione non potrebbe ritenersi raggiunta perchè: A) con pari probabilità gli stessi indici valutati dalla Corte distrettuale potrebbero anche lasciare supporre che quel contratto di compravendita fosse valido ed esistente a tutti gli effetti pur essendo stato stipulato con l’intento di sottrarre i beni venduti alla garanzia del terzo creditore. B) la posterità della compravendita rispetto al sorgere del credito potrebbe provare validamente nel quadro dell’azione revocatoria la qualità pregiudizievole del contratto concluso ma non poterebbe essere in alcun modo sufficiente a provare al simulazione essendo compatibile anche con l’esistenza e validità della compravendita occorsa; C) anche la circostanza dei rapporti familiari avrebbe la stessa valenza giuridica, manifestando gli effetti lesivi nei confronti dei creditori. Pertanto, da un punto di vista statico queste situazioni descriverebbero, sempre secondo i ricorrenti, due classi opposte di eventi, aventi ciascuna una probabilità del 50%. Dunque, nei casi in discussione il fatto noto condurrebbe ad un fatto non noto che sarebbe ambiguo per antonomasia avendo necessariamente due opposti possibili significati, dunque si tratterebbe di un fatto tutt’altro che univoco essendo anzi decisamente bipolare.

Anche questo motivo è infondato posto che gli stessi ricorrenti più che evidenziare una eventuale illogicità del ragionamento della Corte distrettuale, nel valutare i dati processuali, si limitano ad evidenziare che gli stessi “indici” valutati dalla Corte distrettuale avrebbero potuto avere altro e possibile significato. Ora, come è affermazione pacifica nella giurisprudenza di questa Corte, e, come si è già detto in precedenza, il compito di valutare le prove e di controllarne l’attendibilità e la concludenza – nonchè di individuare le fonti del proprio convincimento scegliendo tra le complessive risultanze del processo quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti – spetta in via esclusiva al giudice del merito; di conseguenza la deduzione con il Gie mme New S.r.l. ricorso per Cassazione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata, per omessa, errata o insufficiente vantazione delle prove, non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-

formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, restando escluso che le censure concernenti il difetto di motivazione possano risolversi nella richiesta alla Corte di legittimità di una interpretazione delle risultanze processuali diversa da quella operata dal giudice di merito.

2.1.a) Per altro, i ricorrenti omettano di considerare che la Corte distrettuale ha, comunque, specificato che, qualora da parte di colui che invoca la simulazione siano stati offerti, in ottemperanza a quanto previsto dall’art. 2697 c.c., elementi presuntivi del carattere fittizio della compravendita, l’acquirente ha l’onere di provare il pagamento del prezzo. Con l’ulteriore specificazione che possono trarsi elementi di valutazione circa il carattere apparente del contratto dalla mancata dimostrazione da parte del compratore del relativo pagamento. Sicchè, i ricorrenti più che prospettare una possibile e diversa lettura degli indici valutati dalla Corte distrettuale, avrebbero dovuto – e non sempre, così come afferma la Corte distrettuale, lo abbiano fatto offrire una prova certa del pagamento anche parziale delle somme dovute a corrispettivo dell’acquisto.

In definitiva, il ricorso va rigettato e, in ragione del principio di soccombenza ex art. 91 c.p.c., i ricorrenti vanno condannati in solido al pagamento delle spese del giudizio che vengono liquidate con il dispositivo.

Va disattesa la richiesta del controricorrente di condanna dei ricorrenti ex art. 96 c.p.c. Fermo restando che detta domanda può essere proposta anche nel giudizio di cassazione per danni derivanti dallo stesso e semprechè sia formalmente avanzata, come nel caso di specie, nel controricorso, tuttavia, va rilevato che la temerarietà si configura nel caso in cui la parte ha piena consapevolezza della non spettanza del diritto richiesto o manifesta un grado di imprudenza, imperizia o negligenza accentuatamente anormali (Cass. 9060/2003; 73/2003; 6190/1995) e se proposta per la prima volta in sede di legittimità soltanto se abbia ad oggetto danni che si riconnettono al giudizio di cassazione. Ora, nel caso in esame non sembra che la temerarietà sia stata provata, nè che i danni fossero ricollegabili direttamente al giudizio di cassazione, dato che il controricorrente si è limitato, sostanzialmente, ad affermare, ma non anche a dimostrare, l’imprudenza o la negligenza o la piena consapevolezza dei ricorrenti alla non spettanza del diritto richiesto.

Il Collegio, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto che sussistono i presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso, condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione che liquida in Euro 4.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge; dichiara la sussistenza delle condizioni per il pagamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Sesta civile – 2 della Corte di cassazione, il 17 dicembre 2015.

Depositato in Cancelleria il 7 luglio 2016

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