Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13904 del 24/06/2011

Cassazione civile sez. un., 24/06/2011, (ud. 17/05/2011, dep. 24/06/2011), n.13904

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto – Primo Presidente f.f. –

Dott. MORELLI Mario Rosario – Presidente di sezione –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – rel. Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. TIRELLI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso iscritto al n. 12802 del Ruolo Generale degli affari

civili del 2010 proposti da:

TELECOM ITALIA s.p.a., con sede in (OMISSIS), in persona del

legale

rappresentante p.t. avv. V.G., procuratore speciale

della società per i poteri conferitigli dall’amministratore delegato

p.t., per atto per notar Maria Chiara Bruno di Roma del 17 dicembre

2009 rep. n. 21865, elettivamente domiciliato in Roma, alla Via P.L.

da Palestrina n. 47, presso l’avv. LATTANZI Filippo, che, con gli

avv.ti Piero d’Amelio e Mario Siragusa, la rappresenta e difende,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

VODAFONE OMNITEL NV, società soggetta a direzione e coordinamento di

Vodafone Group PLC, con sede in (OMISSIS), e sede gestionale in

(OMISSIS), in persona del procuratore

T.S., elettivamente domiciliato in Roma, al Corso

Vittorio Emanuele Un. 18, presso l’avv. MERUSI Fabio, che rappresenta

e difende la società, per procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

nonchè

MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO – Dipartimento delle

Comunicazioni, in persona del Ministro in carica e AUTORITA’ PER LE

GARANZIE NELLE COMUNICAZIONI, in persona del presidente, ex lege

domiciliati in Roma alla Via dei Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura generale dello Stato che li rappresenta e difende con

controricorso;

– controricorrenti –

nonchè

AUTORITA’ GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO, in persona del

presidente p.t. ex lege domiciliato in Roma, alla Via dei Portoghesi

n. 12 presso l’Avvocatura Generale dello Stato, e dalla stessa

rappresenta e difesa;

– intimata –

avverso la decisione del Consiglio di Stato, Sezione 6^, n. 535 del

10 novembre 2009 – 5 febbraio 2010.

Udita, alla pubblica udienza del 17 maggio 2011, la relazione del

Cons. Dr. Fabrizio Forte.

Uditi l’avv. Lattanzi, per la ricorrente, l’avvocato dello Stato De

Stefano per i controricorrenti Autorità e Ministero, e l’avv.

Toscano, per delega dell’avv. Merusi, per la società

controricorrente e sentito il P.M. Dr. CICCOLO Pasquale Paolo Maria,

che ha concluso per la inammissibilità del ricorso.

Fatto

PREMESSO IN FATTO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, con decisione del 5 febbraio 2010 n. 535, ha accolto l’appello della Vodafon Omnitel N.V. (da ora: Omnitel) avverso la sentenza del T.a.r. del Lazio n. 2839 del 2008, che aveva respinto il ricorso della società appellante per l’annullamento della deliberazione 67/07/Cir dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (d’ora in avanti: A.G.Com.), la quale aveva posto a carico dell’operatore ricorrente il pagamento per l’anno 1999 di Euro 8.609.336,51, quale quota di finanziamento del costo netto del c.d. “servizio universale” di telefonia fissa gestito sull’intero territorio nazionale da Telecom Italia s.p.a. (da ora:

Telecom).

Il D.Lgs. 1 agosto 2003, n. 259, art. 58, comma 3 (codice delle comunicazioni elettroniche: d’ora in avanti CCE) ha infatti attribuito la gestione degli impianti preesistenti di telefonia fissa a Telecom, che ne era stata titolare quale monopolista proprietaria di detta rete.

Il servizio universale ha la funzione economico-sociale di garantire su tutto il territorio nazionale l’esistenza di servizi di comunicazione telefonica fissa, anche se non remunerativi o gestiti in perdita, per cui all’operatore “dominante” che lo gestisce, gli altri operatori, degli stessi o di analoghi servizi che operano nel medesimo mercato, devono un contributo o finanziamento determinato annualmente da A.G. Com., per i servizi forniti da esso senza utile al fine di garantire l’interesse pubblico di tutti gli utenti ai servizi compresi in quello universale (artt. 54 e ss. del CCE), rispettando i principi di trasparenza, minima distorsione del mercato, non discriminazione e proporzionalità dell’art. 2, commi 5, 6 e 7 dell’allegato 11 del CCE e dell’art. 63 di tale codice.

La deliberazione impugnata dell’A.G.Com. dava attuazione ai principi enunciati nella sentenza del Consiglio di Stato n. 7257 dell’8 luglio 2003, emessa tra le stesse parti e passata in giudicato, che aveva ritenuto legittima la estensione del contributo di cui sopra agli operatori del servizio di telefonia mobile, quale era Omnitel, dei costi derivanti dalla gestione del servizio universale di telefonia fissa, che imponeva il mantenimento delle necessarie strutture anche in perdita e i cui costi dovevano essere redistribuiti tra i partecipanti al medesimo mercato.

In riferimento al procedimento di determinazione della quota di finanziamento per l’anno 1999 e al meccanismo di riparto del costo netto di detto servizio universale necessaria a fissare la quota a carico di ogni operatore nello stesso mercato, a norma del D.P.R. 31 luglio 1997, n. 318, art. 3, comma 6 e del del D.M. 10 marzo 1998, art. 2, l’Autorità garante aveva fissato la misura della quota di contribuzione a carico degli operatori dei servizi telefonici mobili, sul presupposto della sostituibilità tra questi ultimi e i servizi fissi, in un ambito di mercato “rilevante” nel settore delle comunicazioni, onde evidenziare l’unicità di tale mercato per entrambi i tipi di servizio.

Occorreva quindi tenere conto a tal fine non solo della sostituibilità tecnica del prodotto, ma anche della fungibilità economica di esso con il servizio di telefonia fissa, sulla base della domanda e dell’offerta dei due servizi, dovendosi chiedere anche il parere dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato per tale profilo della indagine.

La delibera dell’A.G.Com. n. 67/07/Cir aveva affermato che il grado di sostituibilità tra servizi di telefonia su rete fissa e mobile era elevato, per cui gli operatori di rete mobile dovevano contribuire al costo del servizio universale, nella misura fissata per Omnitel del 13,8% dello stesso per l’anno 1999, desunta in base alla sostituibilità dei servizi nelle “aree non remunerative del paese servite in perdita dal fornitore del servizio universale”, ossia in zone “situate prevalentemente in montagna o in collina dove la densità della popolazione è particolarmente bassa” ritenendo che le stesse costituissero il “mercato rilevante” ai sensi di quanto disposto nella citata decisione del 2003 del Consiglio di Stato ai cui principi anche l’atto amministrativo intendeva fare riferimento.

La sentenza impugnata in questa sede ha negato fosse completo l’iter istruttorio del procedimento, affermando che area di mercato rilevante non può essere quella che emerge nel solo contesto merceologico-geografico di zone marginali come sopra individuate, con bassa densità di popolazione, limitato reddito pro capite e scarso numero di affari o clienti e quindi con conseguente mancanza di remuneratività dei costi per il mantenimento della rete di telefonia fissa a carico del gestore del servizio universale, estendendosi l’offerta in concorrenza dei due sistemi di telefonia fissa e mobile in tutto il territorio nazionale e in ogni luogo del paese e non essendo la stessa condizionata dalla configurazione geografica dell’area, cui si riferisce il servizio e dalla qualità dei consumatori.

In quanto la delibera impugnata ha valutato solo le aree marginali del Paese, per determinare il grado di sviluppo della telefonia mobile e di sostituibilità con essa di quella fissa, il Consiglio di Stato nella sentenza n. 535 del 2010, ha rilevato che non poteva determinarsi tale fungibilità dei servizi mobili e di quelli fissi con una ipotetica disattivazione di questi ultimi in aree marginali, considerando cioè soltanto i comportamenti di consumatori necessitati e non rilevando per le aree marginali che precedono, servite in perdita a causa dei costi prevalenti sui guadagni, neppure i benefici derivanti dall’uso del servizio universale delle postazioni fisse di cui si giova pure l’operatore di telefonia mobile avvalendosi della rete pubblica commutata.

Tali contingenze non servono ad identificare un’area di mercato rilevante al fine di determinare le condizioni di sostituibilità e concorrenzialità dei due servizi di telefonia, mobile e fisso, con la conseguenza della illegittimità sostanziale del provvedimento dell’A.G.Com. impugnato da Omnitel, con assorbimento di ogni altro motivo di appello e compensazione delle spese di causa tra le parti.

Si afferma nella premessa del ricorso da Telecom che per l’esercizio del servizio universale la normativa comunitaria e quella interna impongono la ripartizione dei costi tra tutti gli operatori del settore che lo utilizzano o incidono su di esso e che tale distribuzione del costo “netto” della gestione degli impianti fissi e dei servizi accessori, può rilevarsi in percentuale solo in un ambito di mercato determinato qualificato come “rilevante” per la decisione in senso economico-geografico.

Tale limitato mercato rilevante sarebbe utilizzabile per determinare in concreto la quota percentuale dei costi netti da porre a carico di ciascun gestore di servizi di telefonia mobile concorrente, in rapporto alla fruizione da detto operatore del servizio universale e tenendo conto delle perdite subite dal gestore di quest’ultimo per le offerte concorrenti e per la erogazione in perdita del servizio fisso posto interamente a suo carico.

Per quanto attiene al c.d. “mercato rilevante” al fine di determinare le quote di partecipazione degli operatori concorrenti, il Consiglio di Stato ha ritenuto che l’ambito territoriale da considerare nell’analisi del grado di sviluppo della telefonia mobile e della sua fungibilità con quella fissa anche per l’anno cui si riferisce l’accertamento della quota di partecipazione, non possa essere limitato ad aree marginali del territorio nazionale, ma debba estendersi all’intero territorio nazionale cui si rivolge il servizio c.d. universale, in base all’art. 53 del CCE. Ad avviso della ricorrente Telecom, erroneamente la sentenza impugnata ha negato che l’ambito territoriale da valutare per esaminare il grado di sviluppo della telefonia mobile rispetto a quella fissa e la concorrenza di detti servizi in un unico ambito di mercato rilevante, possa essere uno spazio geografico limitato e marginale, dovendo invece avere riguardo all’intero territorio nazionale non solo in base alle norme interne nella materia del servizio universale ma anche in relazione a quelle comunitarie.

Tale statuizione del giudice amministrativo, secondo la ricorrente, erroneamente estende al merito la sua giurisdizione, negando la stessa discrezionalità dell’A.G.Com. nella individuazione dell’ambito territoriale del c.d. mercato “rilevante”, per accertare la esistente concorrenza tra le forniture di servizi di telefonia fissa e mobile e la misura della quota di finanziamento da porre a carico dell’operatore Omnitel concorrente con il gestore Telecom e utente degli impianti commutati del servizio universale.

Ad avviso della ricorrente, il giudice amministrativo doveva solo annullare la determinazione censurata in giudizio, senza esercitare specifiche opzioni per l’una o l’altra delle varie scelte possibili nell’esercizio delle discrezionalità da A.G. Com. , con scelte tutte legittime, onde il suo sindacato di legittimità s’è trasformato in una valutazione di opportunità e di merito, con evidente eccesso di potere giurisdizionale oltre i limiti in cui è riconosciuto dalla legge.

In rapporto alla sostituibilità del servizio fisso con quello mobile, ad avviso di Telecom, la sentenza impugnata limita l’indagine al parametro economico ritenuto prevalente su quello tecnico, individuando in tal modo anche criteri di determinazione di tale fungibilità dei due tipi di forniture e in tal modo invadendo il merito degli atti di A.G.Com. Per la cassazione di tale decisione del Consiglio di Stato, Telecom propone ricorso, ai sensi dell’art. 111 Cost. e art. 362 c.p.c., a queste Sezioni Unite con atto notificato a mezzo posta il 18 – 20 maggio 2010 con due motivi illustrati da memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., deducendo che la decisione avrebbe esteso la sua cognizione al merito del provvedimento dell’A.G.Com., privando detta Autorità di ogni margine di discrezionalità nella rinnovazione della delibera annullata e imponendo criteri di liquidazione delle quote da ripartire di finanziamento del costo del servizio universale opinabili e errati, con eccesso di potere e superamento dei limiti esterni della giurisdizione amministrativa.

Si sono difesi in questa sede l’A.G.Com. e il Ministero dello sviluppo economico – Dipartimento delle Comunicazioni che, nel loro controricorso, notificato il 17-18 giugno 2010, chiedono l’accoglimento della impugnazione cui aderiscono, e; la Omnitel che, con controricorso del 18 giugno 2010 illustrato da memoria, chiede invece il rigetto del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.1. Il primo motivo di ricorso di Telecom denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. 31 luglio 1997, n. 318, art. 3, regolamento per l’attuazione delle Direttive comunitarie in materia di telecomunicazioni, del D.M. 10 marzo 1998, regolante le quote di finanziamento degli operatori al servizio universale e degli artt. 62, 63 e dell’allegato 11 al D.Lgs. 1 agosto 2003, n. 259, norme regolatrici del costo netto del servizio universale e della quota di finanziamento di questo e delle successive modifiche di tali norme oltre che degli artt. 12 e 13 della Direttiva CEE n. 22 del 7 marzo 2002, in ordine alla competenza, di A.G.Com. per la definizione dei presupposti di fatto e delle modalità di finanziamento dei costi del c.d. servizio universale e dei meccanismi per decidere le quote di finanziamento degli operatori diversi operanti nello stesso mercato di quello dominante.

Dalle indicate violazioni di leggi precedenti relative al meccanismo per accertare la concorrenza tra servizi di telefonia mobile e fissa e degli operatori di essi, Telecom fa derivare quelle delle norme sulla giurisdizione cioè il contrasto della sentenza impugnata con l’art. 362 c.p.c., con il R.D. 26 giugno 1924, n. 1054, artt. 26, 45 e 48 e della L. 6 dicembre 1971, n. 1034, artt. 2, 26 e 28, oltre che con gli artt. 103, 111 e 113 Cost., norme che individuano criteri fondanti dell’ambito della giurisdizione amministrativa, da cui ha ecceduto la sentenza impugnata del Consiglio di Stato, che ha adottato nella fattispecie decisioni di merito, così violando i limiti esterni della sua giurisdizione, a causa della diretta determinazione dal giudice amministrativo dell’ambito geografico di riferimento del c.d. “mercato rilevante” esteso dalla sentenza all’intero territorio nazionale, da valutare per liquidare la quota di partecipazione ai costi dell’unico servizio universale, privando così l’A.G.Com. del potere di provvedere essa soltanto alla identificazione del c.d. ambito territoriale di mercato, entro il quale accertare la concorrenza tra operatori, con rilievo per la decisione ed estendendo in tal modo a valutazioni di merito e di opportunità le sue determinazioni, in un giudizio che doveva essere limitato alla sola legittimità del provvedimento impugnato.

Il concreto criterio operativo descritto nella sentenza del Consiglio di Stato che presume la omogeneità delle condizioni di domanda e offerta su tutto il territorio nazionale, è da ritenere arbitrario, non risultando, dalla pronuncia oggetto di ricorso, un documento o atto da cui emerga detta identità o omogeneità dello sviluppo della telefonia mobile rispetto a quella fissa, sull’intero territorio nazionale nell’anno cui si riferisce l’accertamento, ed essendo la deliberazione dell’Autorità fondata su una naturale prudenza con la scelta di limitare l’area di territorio nazionale da valutare come ambito di mercato utile alla rilevazione ad una fascia di territorio marginale di quella dell’intero paese che, per l’Autorità, non sarebbe valutabile se non astrattamente.

La sentenza impugnata preclude all’A.G.Com. la sua attività di accertamento e di individuazione dell’ambito geografico ottimale per determinare le quote di partecipazione degli operatori concorrenti ai costi del servizio universale sostenuti da Telecom, con conseguente limitazione o esclusione del potere della stessa Autorità specializzata, di approfondire il fenomeno che essa deve esaminare che è quello della sostituibilità o fungibilità del servizio fisso con quello mobile nell’anno di riferimento non solo sul piano tecnico ma anche su quello economico, con conseguente deduzione del tipo di concorrenza dei due operatori del servizio di comunicazione vocale in un unico mercato nazionale sicuramente rilevante per il fine che precede.

Deduce Telecom che il D.Lgs. 1 agosto 2003, n. 259, art. 63, comma 2, prevede che l’A.G.Com. ha anche la facoltà di modificare le modalità di finanziamento del servizio universale dell’art. 1, commi 3-6, dell’allegato 11 del decreto legislativo citato, riempiendo così di contenuti tecnici una nozione lasciata in bianco dal legislatore, in ragione proprio di tali contenuti.

1.2. Con il secondo motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata, per l’eccesso di potere giurisdizionale insito nel sindacato di merito dell’azione amministrativa che si trova nella pronuncia giurisdizionale del G.A., oggetto di ricorso, in violazione del D.Lgs. 1 agosto 2003, n. 259, art. 9 e della L. 6 dicembre 1971, n. 1034, artt. 2 e 5.

La censura si estende al contenuto della decisione impugnata sia in ordine alla determinazione territoriale dell’ambito di “mercato rilevante” che in rapporto ai criteri tecnici per la definizione di sostituibilità del servizio telefonico mobile con quello fisso, per accertare la concorrenza di essi in un mercato unitario.

Tali statuizioni, ad avviso della ricorrente, in quanto estese al merito del provvedimento impugnato, limitano la discrezionalità amministrativa dell’A.G.Com e, come tali, comportano la negazione del potere di questa nella rilevazione delle circostanze di fatto significative in tali materie del settore delle telecomunicazioni, con la conseguenza che la Cassazione nel pronunciarsi sull’eventuale eccesso di potere giurisdizionale evidenziato dalla sentenza impugnata, può anche disapplicare le disposizioni date dal Consiglio di Stato con la sentenza oggetto di ricorso in ragione del ripristino dei poteri amministrativi discrezionali dell’Autorità incisi dai provvedimenti giurisdizionali oggetto di ricorso.

2. La controricorrente Omnitel deduce la improcedibilità, inammissibilità o infondatezza del ricorso di Telecom Italia, dovendosi ritenere la decisione impugnata in questa sede coperta dal giudicato della pronuncia n. 7257 del 2003, già richiamata, avente medesimo oggetto ed emessa tra le stesse parti, e relativa alla quota di contribuzione di Omnitel al servizio universale di telefonia fisso dello stesso anno, cioè il 1.999, decisione alla quale non si è ottemperato da parte di A.G.Com. che avrebbe dovuto attuare i principi enunciati nella pronuncia che precede con il provvedimento oggetto di ricorso in questa sede.

La controricorrente afferma che occorre valutare l’esistenza di un ambito di mercato comune ad essa e a Telecom, cioè che si deve rilevare se nell’anno 1999 telefonia fissa e mobile producessero servizi fungibili o sostituibili e quindi appartenessero allo stesso ambito di mercato; A.G.Com., ad avviso di Omnitel, non è riuscita ad accertare la fungibilità delle prestazioni di telefonia mobile e fissa e la coesistenza dei distinti servizi forniti da ciascuna delle due società in un unico mercato con rilievo nazionale e tale mancato accertamento ha comportato la disapplicazione dei principi e indirizzi di legge come interpretati nella sentenza del Consiglio di Stato tra le stesse parti divenuta irrevocabile n. 7257 del luglio 2003 più volte citata.

Nel loro controricorso, A.G.Com e il Ministero delle Finanze aderiscono al ricorso di Telecom, chiedendone l’accoglimento.

3.1. Il ricorso è inammissibile, in quanto nessuno dei motivi di ricorso di Telecom contiene motivi attinenti o inerenti alla giurisdizione, ai sensi dell’art. 362 c.p.c. e/o art. 111 Cost., investendo entrambi in apparenza il “tipo” di tutela erogata dal Consiglio di Stato che, per la ricorrente, sarebbe stato di merito e non di legittimità, ma in realtà censurando solo “il modo” in cui la tutela di legittimità è stata in concreto erogata e quindi non investendo l’essenza della giurisdizione del giudice amministrativo ma solo le modalità con cui la stessa è stata esercitata al di fuori di qualsiasi questione di giurisdizione (sulla distinzione del motivo attinente alla giurisdizione da quello relativo alla violazione di legge del giudice speciale precluso in cassazione, tra altre cfr. S.U. ord. 21 giugno 2010 n. 14890. 16 febbraio 2009 3688 e sent. 3 dicembre 2008 n. 28653).

3.1. In via pregiudiziale deve anzitutto rilevarsi che nel caso non ha rilievo preclusivo sulla questione di giurisdizione la mancata impugnazione in appello della implicita affermazione della giurisdizione amministrativa nella sentenza di primo grado che, rigettando il ricorso per l’annullamento della delibera di A.G.Com.

ha esercitato un potere di legittimità proprio di ogni giudice amministrativo, denegando una tutela demolitoria incontestamente da essa erogabile nella fattispecie, senza valutazioni di merito sul provvedimento amministrativo ritenuto legittimo in primo grado (S.U. 28 dicembre 2008 n. 28354).

La mancata impugnazione della sentenza di primo grado della statuizione implicita affermativa della giurisdizione del giudice amministrativo, in ordine alla tutela di legittimità erogata in primo grado, non può rilevare come preclusiva del ricorso per motivi inerenti alla giurisdizione che, nel caso, neppure potevano proporsi per il tipo di pronuncia del T.a.r. del Lazio oggetto d’appello al Consiglio di Stato, che comunque nel rigettare il ricorso di Omnitel, ha esercitato soli poteri di legittimità rigettando il ricorso contro la deliberazione dell’A.G.Com., per cui nessuna acquiescenza sull’eccesso esterno dei poteri cognitivi del giudice amministrativo estesi al merito dell’atto amministrativo impugnato si è nel caso avuto, con formazione del giudicato implicito per tale profilo sulla giurisdizione amministrativa che possa vincolare questa Corte, precludendo l’esame del ricorso per un profilo incontestatamente non sussistente nella sentenza di primo grado, che aveva limitato l’esame del ricorso ai soli profili di legittimità della deliberazione dell’A.G.Com., nessun rilievo dando a quelli di merito con conseguente assenza di ogni statuizione su detto aspetto dei poteri cognitivi, senza alcuna preclusione in ordine alla censura sul tipo di tutela in concreto erogato in appello per la prima volta proposto con il ricorso per cassazione a queste Sezioni Unite (sulla rilevabilità del giudicato implicito anche in ordine alle sentenze del giudice amministrativo, con controllo esterno dei poteri di questo esercitatile dal giudice del riparto cfr. di recente, tra molte, S.U. 28 gennaio 2011 n. 2067 e S.U. ord. 9 ottobre 2008 n. 24883 relativa a sentenza del giudice ordinario).

Superato il profilo di inammissibilità del ricorso per l’indagine sul giudicato implicito della sentenza del giudice amministrativo, su cui quindi nessun rilievo assumono alcune perplessità di questa Corte sui poteri di rilevarlo dal giudice del riparto come giudice civile che sul giudicato di sentenze amministrative neppure potrebbe intervenire (S.U. ord. 2 dicembre 2009 n. 25344), la censura sul tipo di tutela erogata dal Consiglio di Stato oltre i limiti dei suoi poteri incontestatamente non superati in primo grado, non è preclusa dall’appello, che non lamenta che la decisione del Tar ha erogato un tipo di tutela di merito invece che di legittimità da essa erogato, essendosi fermato il primo giudice a tale tipo di tutela demolitoria denegata per avere ritenuto legittimo l’uso della discrezionalità tecnica da A.G. Com. (S.U. 9 maggio 2011 n. 10065 e 21 giugno 2010 n. 14893), così rigettando il ricorso di Omnitel per i soli motivi di legittimità, senza affrontare alcun problema di merito dell’atto amministrativo impugnato.

3.2. Attiene comunque alla legittimità del provvedimento denegata dal Consiglio di Stato anche la manifesta illogicità delle scelte operate dalla Pubblica amministrazione nell’uso della propria discrezionalità nella determinazione della quota di contribuzione al costo del servizio universale a carico del gestore di telefonia mobile controricorrente in questa sede.

Nella concreta fattispecie il Consiglio di Stato con la decisione oggetto di ricorso ha solo enunciato, con una operazione ermeneutica delle disposizioni normative interne e comunitarie nella materia, i parametri di legittimità entro i quali avrebbe dovuto esercitare la sua discrezionalità l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni che, per la sentenza oggetto di ricorso, disapplicando le disposizioni normative interne e comunitarie che disciplinano tale potere discrezionale per la liquidazione della quota di contributo a carico di Omnitel, ha emesso un provvedimento illegittimo (sul sindacato relativo all’esercizio dei poteri discrezionali della P.A. come di legittimità, cfr. con le sentenze sopra citate anche Cons. St. sez. 6^ 22 maggio 2008 n. 2449 e con le sentenze già citate sopra anche S.U. 4 agosto 2010 n. 18051 e 11 settembre 2009 n. 19612).

La deliberazione dell’A.G.Com. è stata quindi annullata sia per insufficiente istruttoria del procedimento amministrativo presupposto dell’atto impugnato, emesso senza l’accertamento di tutti i fatti necessari a rilevare la fungibilità o sostituibilità, tecnica ed economica, dei servizi di telefonia mobile e fissa per l’anno cui si riferisce il provvedimento impugnato, che per avere accertato la misura del contributo dovuto dalla Omnitel in rapporto ad un ambito di mercato geograficamente limitato, scelto perchè relativo a fasce marginali del territorio nazionale ma non sufficiente per essere “rilevante” ai fini che precedono, in rapporto al servizio universale, che è prestato invece secondo legge su tutto il territorio “nazionale” (art. 53 CCE con le norme di cui si denuncia la violazione nella prima parte del primo motivo di ricorso), per cui unico ambito geografico rilevante non può essere che detto territorio nazionale.

L’avere indicato la sentenza l’ambito territoriale di indagine per definire il c.d. “mercato rilevante” trova riscontro anche nelle norme comunitarie che impongono lo stesso parametro di valutazione, per individuare l’operatore “dominante” cui attribuire il servizio universale tanto che il D.P.R. n. 318 del 1997, art. 3, che è il regolamento di attuazione delle direttive comunitarie, individua in Telecom il gestore “incaricato di fornire il servizio universale su tutto il territorio nazionale” (comma 4).

Può escludersi dal Consiglio di Stato un qualsiasi eccesso di potere giurisdizionale per avere rilevato la illegittimità della delibera di A.G.Com. con l’esercizio di una discrezionalità illegittimamente ristretta, che comporta logicamente alterazioni di mercato, incidendo sulla stessa concorrenza che, commisurata ad un ambito territoriale ristretto e tra l’altro relativo a soggetti con modeste entrate e senza grandi capacità di spesa, non può che determinare un maggiore rilievo per le forniture del gestore del servizio universale in detto ambito ristretto nel quale emergerà esso ancor più come operatore dominante, con aumento conseguente dei servizi non remunerativi a suo carico e delle perdite subite da Telecom a carico di Omnitel rispetto ad altre zone, per cui, senza entrare nel merito ma esaminando solo i limiti di legge per l’esercizio della discrezionalità dell’Autorità si è potuta affermare la illegittimità della delibera di questa (nello stesso senso, pur se in rapporto al diverso problema del concorso di Autorità diverse nella irrogazione di sanzioni, cfr., in particolare, S.U. 19 novembre 2007 n. 23833).

Il Consiglio di Stato ha annullato la deliberazione dell’A.G.Com. di cui sopra, per illegittimità derivata da difetto di istruttoria dall’Autorità che non ha accertato in modo conforme ai parametri normativi interni e comunitari i presupposti di fatto per l’esercizio della discrezionalità espressa nel provvedimento amministrativo, cioè l’unicità dei mercati di telefonia fissa e mobile nell’anno di riferimento del contributo e l’ambito territoriale ed economico del mercato, in cui tale concorrenza rende unitario il mercato in base a quanto imposto dalla legge, violata dalla P.A. con l’atto impugnato e dal Tar con la sentenza appellata.

L’eccesso di potere dell’A.G.Com. nell’esercizio della sua discrezionalità ha solo comportato la illegittimità del provvedimento annullato dal Consiglio di Stato con la decisione impugnata che deve escludersi si sia sostituita alla P.A. nel merito dell’atto amministrativo annullato solo perchè in contrasto con la legge per non avere adottato criteri conformi alla stessa normativa oltre che alla logica, nel calcolare le quote di finanziamento di Omnitel al servizio universale di telefonia fissa e per non avere individuato, in rapporto al sistema normativo, l’ambito geografico- economico del mercato in cui andava fissata la fungibilità dei servizi di telefonia fissa e mobile e la loro concorrenza.

Sul piano territoriale, l’ambito di mercato ridotto a fasce marginali del territorio nazionale è manifestamente contra legem, che a detto territorio riferisce il costo netto del servizio stesso, mentre sul piano economico la non estensione ad ogni servizio di comunicazione gestito dalla titolare del servizio universale e da quella del servizio di telefonia mobile, comporta la non corretta valutazione della unicità del mercato in cui l’offerta di telefonia è in concreto operata e della misura e della quota di contributo da porre a carico del singolo gestore, in rapporto al costo fisso determinato in precedenza e in attuazione della normativa che regola il meccanismo per individuare la predetta quota.

S’è trattato di un sindacato dei giudici amministrativi operato su soluzioni tecniche di problemi opinabili risolti in contrasto con le leggi e in modo irrazionale, che non ha inciso sul merito del provvedimento, ma che ha individuato i limiti normativi e logici entro cui l’atto amministrativo impugnato e la discrezionalità che in esso si manifesta può e deve essere esercitata per essere legittima.

Il primo motivo di ricorso denuncia quindi meri errores in iudicando e violazioni di norme di legge sull’esercizio della discrezionalità da parte di A.G.Com. e non attiene nè inerisce alla giurisdizione, per cui è inammissibile.

3.3. Deve per completezza escludersi che nella concreta fattispecie, vi fosse per il giudice amministrativo il potere di decidere nel merito, ai sensi del R.D. 26 giugno 1924, n. 1054, art. 27, n. 4, perchè il presente non è uno dei procedimenti “diretti ad ottenere l’adempimento dell’obbligo dell’autorità amministrativa di conformarsi, in quanto riguarda il caso deciso, al giudicato dei tribunali che abbia riconosciuto la lesione di un diritto civile o politico” (su tale tipo di sentenze, S.U. ord. 2 dicembre 2009 n. 25344 e ord. 19 agosto 2009 n. 18375 e S.U. 31 ottobre 2008 n. 26302).

Infatti, il riferimento ai principi enunciati tra le stesse parti dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 7257 del 2003, per liquidare i costi del servizio universale e la quota dovuta dall’operatore del servizio di telefonia mobile Omnitel nello stesso anno oggetto di causa, ha solo rilievo di precedente, che applica le norme di diritto sostanziale relative al servizio universale di telefonia fissa di cui si è rilevata già la violazione, non versandosi in una ipotesi di ottemperanza della pronuncia del 2003.

La sentenza impugnata non da attuazione ad un giudicato o a sentenze esecutiva, nei loro effetti diretti o riflessi nè chiude un giudizio di ottemperanza, per cui è da negare che nel caso si siano esercitati dal Consiglio di Stato poteri di merito sostitutivi di quelli di A.G.Com., che dovrà solo esercitare, entro i limiti di legge indicati nella decisione impugnata e nel precedente del 2003, i suoi poteri discrezionali nei quali in alcun modo è stata sostituita.

I criteri e parametri di lettura delle norme nella materia, già posti in luce dalla sentenza dello stesso giudice del 2003 confermano che, in essa, come nella pronuncia oggetto del presente ricorso, i giudici non si sono sostituiti all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni nell’ esercizio di poteri di merito e amministrativi, ma hanno solo riaffermato i criteri di indirizzo giuridico e logico già enunciati dal Consiglio di Stato nella materia e rimasti inosservati nella deliberazione impugnata e annullata, emettendo quindi una sentenza non relativa all’opportunità o al merito della delibera impugnata nè eccedente i poteri giurisdizionali del G.A., con conseguente inammissibilità del ricorso che erroneamente denuncia una erogazione di un tipo di tutela vietata in concreto e mai avutasi con la sentenza contro cui si ricorre, di cui si deduce invece una violazione delle norme regolatrici della materia indicate nella prima parte del primo motivo di ricorso, che non attengono alla giurisdizione del Consiglio di Stato o al tipo di tutela da questo erogabile ma alle modalità con cui la stessa si è erogata e costituiscono quindi solo pretesi vizi di legittimità della sentenza non deducibili in questa sede.

Emerge chiara quindi l’assenza di una questione inerente alla giurisdizione, non avendo i giudici amministrativi con la sentenza impugnata sostituito l’Autorità nelle decisioni necessarie per fissare le quote di partecipazione al costo del servizio universale, ma avendo solo dettato criteri ermeneutici che impongono altri accertamenti di fatto mai in concreto effettuati dalla P.A. e ritenuti dai giudici amministrativi presupposti necessari al corretto esercizio della discrezionalità in sede amministrativa.

3.4. Inammissibile è infine anche il secondo motivo di ricorso, che deduce un preteso contrasto con Direttive della Comunità europea della decisione del giudice amministrativo, senza precisare quali siano tali provvedimenti della CE e quale interpretazione di essi abbia dato A.G.Com. con il provvedimento annullato dal Consiglio di Stato, censurando solo un error in iudicando irrilevante in questa sede per la stessa ragione già esplicata.

4. Per il principio di soccombenza, la ricorrente e in solido con essa i controricorrenti A.G.Com. e Ministero delle finanze che hanno aderito al ricorso, dovranno rimborsare alla controricorrente Omnitel le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna Telecom Italia s.p.a., l’Autorità Garante per le comunicazioni e il Ministero dell’economia e delle Finanze a pagare in solido a Vodafone Omnitel N.V. le spese del presente giudizio, che liquida in Euro 18.200,00 (diciottomiladuecento/00), di cui Euro 200,00 (duecento/00) per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili della Corte Suprema di Cassazione, il 17 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 24 giugno 2011

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