Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13904 del 03/06/2013


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Civile Sent. Sez. U Num. 13904 Anno 2013
Presidente: RORDORF RENATO
Relatore: VIVALDI ROBERTA

SENTENZA

sul ricorso 12047-2007 proposto da:
SILVANEON S.R.L., in persona del legale rappresentante
pro-tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA
DIGIONE 1, presso lo studio dell’avvocato DE SANCTIS
LORENZO, che la rappresenta e difende unitamente
all’avvocato ZAVATTARO SILVIO, per delega in calce al
ricorso;

Data pubblicazione: 03/06/2013

- ricorrente contro

GUIDI COSTRUZIONI S.R.L.

(già GUIDI S.P.A.),

in

persona del Presidente pro-tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA DELLA PANETTERIA 15, presso

rappresentata e difesa dall’avvocato PICCHI FRANCO,
per delega in calce al controricorso;
GIUSTI PAOLO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
PRINCIPESSA CLOTILDE 7, presso lo studio dell’avvocato
SIGNORINI MICHELE, rappresentato e difeso
dall’avvocato TAGLIOLI MARCELLO, per delega in calce
al controricorso;
– controri correnti nonchè contro

COMUNE DI CAMAIORE, COMUNE DI VIAREGGIO;
– intimati –

avverso la sentenza n. 1372/2006 della CORTE D’APPELLO
di FIRENZE, depositata il 10/07/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 23/4/13 dal Cons. Dott. ROBERTA VIVALDI;
uditi gli avvocati Carlo AZZONI per delega
dell’avvocato Silvio Zavattaro, Alberto FANTINI per
delega dell’avvocato Marcello Taglioli;
udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott.
PASQUALE PAOLO MARIA CICCOLO, che ha concluso per
l’inammissibilità, comunque rigetto del ricorso.

lo studio dell’avvocato AVITABILE MARIATERESA,

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La società Silvaneon srl convenne, davanti al tribunale di Lucca – sezione
distaccata di Viareggio, il Comune di Viareggio, l’ing. Paolo Giusti,
l’Impresa Guidi spa ed il Comune di Camaiore.
Espose di avere goduto per oltre quaranta anni dell’area demaniale sulla
quale la società Guidi spa stava eseguendo lavori di appalto per conto del

pubblicitario, collocato sul detto suolo demaniale, e recante la scritta
“Esselunga”, avvenuto il 18.5.2000.
Chiese, quindi, che, accertato lo spoglio violento o la turbativa del proprio
legittimo possesso, i convenuti fossero condannati in solido al ripristino del
cartellone pubblicitario sul posto ed al risarcimento dei danni derivati, sia
dalla distruzione del cartellone, sia di natura patrimoniale per il suo
illegittimo abbattimento.
Si costituirono i convenuti contestando la fondatezza della domanda
Il tribunale di Lucca – sezione distaccata di Viareggio, con sentenza n. 145
del 2004 affermò la giurisdizione del giudice ordinario, riconobbe la
responsabilità del Giusti e della Guidi spa escludendo quella delle
pubbliche Amministrazioni, e condannò i responsabili al ripristino del
cartellone ed al risarcimento del danno costituito dalla mancata percezione
degli introiti pubblicitari.
A diversa conclusione pervenne la Corte d’Appello che, con sentenza del
10.7.2006, in accoglimento degli appelli, principale della Guidi spa ed
incidentale del Giusti, in riforma della sentenza impugnata, rigettò Le
domande proposte dalla Silvaneon srl.
Quest’ultima ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi.
Resistono con controricorso Guidi Costruzioni srl (già Guidi spa) e Paolo
Giusti.
Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.
La causa è pervenuta all’esame delle Sezioni Unite della Corte di
cassazione per avere la ricorrente, con il primo motivo, posto una
questione di giurisdizione.

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comune di Camaiore, lamentando l’illegittimo abbattimento del cartellone

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso è stato proposto per impugnare una sentenza pubblicata una
volta entrato in vigore il D. Lgs. 15 febbraio 2006, n. 40, recante
modifiche al codice di procedura civile in materia di ricorso per cassazione;
con l’applicazione, quindi, delle disposizioni dettate nello stesso decreto al
Capo I.

di ricorso debbono essere formulati, a pena di inammissibilità, nel modo lì
descritto ed, in particolare, nei casi previsti dall’art. 360, n. 1), 2), 3) e 4,
l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere con la formulazione di
un quesito di diritto, mentre, nel caso previsto dall’art. 360, primo comma,
n. 5), l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere la chiara indicazione
del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume
omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta
insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.
Segnatamente, nel caso previsto dall’art. 360 n. 5 c.p.c., l’ illustrazione di
ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara
indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si
assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta
insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione;
e la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del
quesito di diritto), che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da
non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di
valutazione della sua ammissibilità (S.U. 1.10.2007 n. 20603; Cass.
18.7.2007 n. 16002).
Il quesito, al quale si chiede che la Corte di cassazione risponda con
l’enunciazione di un corrispondente principio di diritto che risolva il caso in
esame, poi, deve essere formulato, sia per il vizio di motivazione, sia per
la violazione di norme di diritto, in modo tale da collegare il vizio
denunciato alla fattispecie concreta ( v. S.U. 11.3.2008 n. 6420 che ha
statuito l’inammissibilità – a norma dell’art. 366 bis c.p.c. – del motivo di
ricorso per cassazione il cui quesito di diritto si risolva in un’enunciazione
di carattere generale ed astratto, priva di qualunque indicazione sul tipo
della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie in esame, tale

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Secondo l’art. 366-bis c.p.c. – introdotto dall’art. 6 del decreto – i motivi

da non consentire alcuna risposta utile a definire la causa nel senso voluto
dal ricorrente, non potendosi desumere il quesito dal contenuto del motivo
od integrare il primo con il secondo, pena la sostanziale abrogazione del
suddetto articolo).
La funzione propria del quesito di diritto – quindi – è quella di far
comprendere alla Corte di legittimità, dalla lettura del solo quesito, inteso
come sintesi logico-giuridica della questione, l’errore di diritto

prospettazione del ricorrente, la regola da applicare ( da ultimo
Cass.7.4.2009 n. 8463; v, anche S.U. ord. 27.3.2009 n. 7433).
Inoltre, l’art. 366 bis c.p.c., nel prescrivere le modalità di formulazione dei
motivi del ricorso in cassazione, comporta – ai fini della declaratoria di
inammissibilità del ricorso stesso -, una diversa valutazione, da parte del
giudice di legittimità, a seconda che si sia in presenza dei motivi previsti
dai numeri 1, 2, 3 e 4 dell’art. 360, primo comma, c.p.c., ovvero del
motivo previsto dal numero 5 della stessa disposizione.
Nel primo caso ciascuna censura – come già detto – deve, all’esito della
sua illustrazione, tradursi in un quesito di diritto, la cui enunciazione (e
formalità espressiva) va funzionalizzata, ai sensi dell’art. 384 c.p.c.,
all’enunciazione del principio di diritto, ovvero a dicta giurisprudenziali su
questioni di diritto di particolare importanza.
Nell’ipotesi, invece, in cui venga in rilievo il motivo di cui al n. 5 dell’art.
360 c. p.c.c. (il cui oggetto riguarda il solo iter argomentativo della
decisione impugnata), è richiesta una illustrazione che, pur libera da
rigidità formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica
del fatto controverso ( cd. momento di sintesi) – in relazione al quale la
motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per
le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare
la decisione (v. da ultimo Cass. 25.2.2009 n. 4556; v. anche Cass.
18.11.2011 n. 24255).
Con il primo motivo la ricorrente denuncia in riferimento all’art. 360 n. 5
c.p.c. per insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto
decisivo della controversia, laddove la sentenza impugnata, da un lato
ritiene ed afferma la giurisdizione del giudice ordinario adito (rilevando in
specie il giudicato interno formatosi sul capo della sentenza di primo grado

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asseritamente compiuto dal giudice di merito e quale sia, secondo la

che aveva dichiarato la giurisdizione del giudice ordinario), dall’altro lato la
nega affermando che raccoglimento della domanda proposta nei confronti
dei due privati ( Guidi spa e Giusti) postulerebbe che la P.A. (pur estranea
alla condanna) ponga in essere una (solo presunta e non meglio
qualificata) “attività positiva quale il rilascio di una concessione o licenza,
attività che il giudice ordinario non ha giurisdizione per imporre” e poi
ancora “in concreto il giudice ordinario si trova impossibilitato ad accedere,

adempimento specifico della P.A.”
Il motivo è inammissibile sotto diversi profili.
In primo luogo, deve rilevarsi che, in ordine alle questioni di giurisdizione
le Sezioni Unite della Corte di cassazione sono giudice anche del fatto,
potendo e dovendo esse procedere all’apprezzamento diretto delle
risultanze dell’istruttoria e degli atti di causa.
Da ciò deriva che la censura di mancanza, insufficienza o contraddittorietà
della motivazione – nella specie proposta – risulta del tutto irrilevante,
anche se prospettata come vizio riconducibile al n. 5 dell’art. 360 c.p.c..
La conseguenza è la sua inammissibilità (S.U. 20.11.2007 n. 24009;
s.u.10.1.2003 n. 261; s.u. 4.10.2002 n. 14275; s.u. 4.12.2001 n. 15289).
Ma, alla conclusione di inammissibilità della censura si giunge anche a
volere considerare il motivo come proposto ai sensi dell’art. 360 n. 1
c.p.c..
Difetta, infatti, la proposizione del quesito di diritto richiesto dall’art. 366
bis c.p.c. – applicabile ratione temporis nella specie, per essere impugnata
una sentenza emessa nella sua vigenza (10.7.2006) – necessario anche
quando si formuli, con il ricorso per cassazione, un motivo attinente alla
giurisdizione (v. anche Cass. ord. 27.3.2009 n. 7433; S.U. 18.11.2008 n.
27347).
Pur essendo assorbenti i precedenti rilievi, va anche segnalato che, sulla
questione di giurisdizione, si era formato – come ha rilevato la Corte di
merito – anche il giudicato interno per la sua mancata, tempestiva
riproposizione nel giudizio di appello.
Con il secondo motivo si denuncia in riferimento all’art. 360 n. 5 c.p.c. per
insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della
controversia, laddove la Corte di Appello, dopo aver affermato che la

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per impossibilità che egli pronunci sentenza che implichi la necessità di un

condanna alla reintegra è rivolta solo nei confronti di due soggetti privati (
Guidi spa e Giusti), ritiene che detta condanna sarebbe comunque
destinata a spiegare i suoi effetti (indiretti) anche nei confronti della P.A.
consistente nel rilascio di non meglio precisate “concessioni o licenze” per
riparare alla situazione antigiuridica prodottasi con lo spoglio.
Il motivo non è fondato.
Sul punto la Corte di merito, dopo avere affermato che ” le azioni

rapporti fra privati, rimanendone l’amministrazione esente per effetto della
norma dell’art. 1145 comma I c.c.”, rileva che ” da ciò necessariamente
consegue che raccoglimento della domanda proposta nei confronti dei due
privati, cui si fa carico dell’attività materiale lesiva, postula che la p.a.
ponga in essere un’attività positiva, quale il rilascio di una concessione o
licenza, attività che il giudice ordinario non ha giurisdizione per imporre
ma che rimane anche se il primo giudice ha mandato il Comune esente da
statuizioni, indissolubilmente connessa alla domanda possessoria in
concreto proposta”.
Ora, a prescindere dal fatto che, la censura investe, più che un vizio
motivazionale, la correttezza del ragionamento adottato, va evidenziato
che la Corte di merito, in sostanza, ha affermato che le conseguenze
ripristinatorie relative all’eventuale accertamento dello spoglio commesso
dai privati, finirebbero per ripercuotersi, sui poteri autoritativi ed
istituzionali della P.A; domanda ripristinatoria, in ordine alla quale ”

il

giudice ordinario si trova impossibilitato ad acceder, per l’impossibilità che
egli pronunci sentenza che implichi la necessità di un adempimento
specifico della p.a.”.
Non senza sottolineare che la Corte di merito, nell’esaminare, nel merito,
la domanda relativa alla condanna dei privati al risarcimento del danno,
costituito dai mancati introiti pubblicitari ha, pur sempre accertato, seppure in via incidentale -, che, alla data dello spoglio (18.5.2000),
l’attuale ricorrente non era più titolare di alcuna facoltà che potesse
formare oggetto di concessione.
E ciò perché: 1) con provvedimento del 7.10.1966 la Silvaneon srl era
stata autorizzata ” in via del tutto eccezionale e con facoltà di revoca in
qualsiasi momento a giudizio insindacabile dell’Amministrazione Comunale

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possessorie sono consentite, relativamente ai beni demaniali, solo nei

e senza obbligo al Comune di rimborso spese o di indennizzo alcuno” ; 2)
con provvedimento della P.A. del 4.12.1995 le era stata ordinata la
rimozione del cartellone; 3) con delibera del 17.12.1997 era stato
approvato dal Consiglio comunale di Viareggio il nuovo piano generale
degli impianti pubblicitari,

“che rendeva non più concedibile

un’autorizzazione per i cartelloni della Silvaneon in quella collocazione”.
Provvedimenti questi che non risultavano impugnati dall’odierna

Con la conseguenza che una statuizione di condanna alla reintegra
avrebbe necessariamente invaso la sfera provvedimentale della P.A.
Con il che debbono anche essere rigettate le censure avanzate con il terzo,
quarto e quinto motivo.
Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art.
1145 c.c. in riferimento all’art. 360, n. 3, cod. proc.civ., laddove la Corte
ritiene che benchè, in ipotesi, l’ordine di reintegra nel possesso demaniale
emesso dal primo giudice fosse rivolto esclusivamente nei confronti di due
soggetti privati (Guidi spa ed Ing. Giustain ragione della sopravvenuta
illegittimità sotto il profilo amministrativo dell’uso e dell’occupazione del
bene demaniale di cui trattasi, la condanna alla reintegra avrebbe potuto
avere effetti riflessi anche nei confronti della P.A. rispetto alla quale il
giudice ordinario difetta del relativo potere ai sensi del II° comma dell’art.
1145 c. c. che riconoscerebbe la relativa tutela solo nei confronti dei
privati.
Con il quarto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 4
L. 20 marzo 1865, n. 2248 laddove la Corte ha ritenuto che il giudice
ordinario difetti del potere di intervenire per ordinare l’eliminazione di una
situazione antigiuridica che ha leso il possesso di un terzo mediante una
mera condotta materiale svincolata da ogni e qualsiasi attività
amministrativa imponendo alla P.A. anche un “obbligo di facere”.
Con il quinto motivo si denuncia

violazione e falsa applicazione

dell’art.1145 c.c. e dell’art. 2043 c.c. laddove la Corte nega la risarcibilità
del danno derivato da spoglio e/o lesione del possesso, qualora venga
meno il titolo amministrativo che legittimava sotto il profilo amministrativo
la permanenza del cartellone pubblicitario in loco.

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ricorrente.

I motivi, che per l’intima connessione delle censure con gli stessi proposte
– per investire le conseguenze che la reintegra disposta dal giudice
ordinario avrebbe comportato in relazione ai poteri provvedimentali
spettanti alla pubblica amministrazione – possono essere esaminati
congiuntamente.
Essi non sono fondati per le ragioni che seguono.
Con riferimento alla contestata violazione e falsa applicazione dell’art.

che l’azione di manutenzione trova applicazione anche con riferimento a
beni ” demaniali che possono formare oggetto di concessione da parte
della Pubblica Amministrazione”, ma, nel caso in esame, la mancanza di
una posizione tutelabile (facoltà) con l’azione esperita derivava – come
rilevato dalla sentenza impugnata – dal non essere più l’odierna ricorrente
titolare di alcuna concessione, che le consentisse il mantenimento del
cartellone pubblicitario sul suolo demaniale; autorizzazione , peraltro,
neppure astrattamente più concedibile.
La concessione per l’uso del suolo pubblico era stata, infatti, revocata come si legge nella parte espositiva della sentenza impugnata – “sin dal 4
dicembre 1995”;

le era stata ordinata la rimozione del cartellone

pubblicitario (4.12.1995); era intervenuto (17.12.1997) il nuovo piano
generale degli impianti pubblicitari .
Né la censura di violazione e falsa applicazione della norma dell’art. 4 L.
20 marzo 1865, n. 2248, proposta con il quarto motivo, coglie nel segno.
Vero è che le azioni possessorie, normalmente improponibili nei confronti
della pubblica amministrazione in virtù del divieto, posto dall’art. 4 della
legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, di revoca o modifica dell’atto
amministrativo da parte dell’autorità giudiziaria ordinaria, sono, invece,
proponibili quando l’azione possessoria sia volta a rimuovere gli effetti di
atti materiali della P.A., in quanto in alcun modo ricollegabili, neppure
implicitamente, all’esercizio di un potere amministrativo.
Al che consegue che tali azioni sono esperibili, davanti al giudice ordinario
e nei confronti della pubblica amministrazione, quando il comportamento
di quest’ultima non si ricolleghi ad un formale provvedimento
amministrativo, emesso nell’ambito dei poteri autoritativi e discrezionali ad
essa spettanti, ed avente contenuto in senso lato ablativo, ma si risolva in

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1145 c.c., è ben vero – ed è disciplinato dalla stessa norma richiamata –

una mera attività materiale lesiva di beni, dei quali il privato vanti il
possesso (fra le varie s.u. 21.6.2012 n. 10285; s.u. ord. 15.3.2012 n.
4128; s.u. 8.6.2007 n. 13397; s.u. 28.2.2007 n. 4633; s.u. ord.
11.2.2003 n. 2062).
Ma, nel caso in esame, da un lato, non risulta raggiunta alcuna prova che
la pubblica amministrazione fosse coinvolta nella supposta azione di
spoglio; dall’altro, poi, l’azione di reintegra del cartellone pubblicitario

portatrice quando agisce per i fini istituzionali alla stessa riservati.
Ed è ciò che si sarebbe verificato nella specie, in cui l’attività di reintegra
sarebbe andata ad incidere sui provvedimenti emessi in precedenza (di
revoca, rimozione, approvazione del nuovo piano degli impianti pubblicitari
ecc.), oltretutto nei confronti di un soggetto che, all’epoca dei fatti
contestati, non era più titolare di quella situazione giuridica che
pretendeva di tutelare con l’azione proposta.
In conclusione, quindi, sotto i profili contestati, nessuna violazione è
imputabile alla Corte di merito.
Né è pertinente la censura, avanzata con il quinto motivo, che postula la
risarcibilità – ai sensi degli artt. 1145 e 2043 c.c. – dei danni, consistiti nei
mancati introiti pubblicitari, derivati dallo “spoglio e/o lesione del possesso
” (pag. 23 del ricorso).
La risposta positiva sarebbe ovvia, ma è la situazione di fatto, in questo
caso, a non essere tutelabile giuridicamente da parte dell’ordinamento.
E ciò perché al momento in cui le azioni sono state poste in essere indipendentemente dai soggetti eventualmente responsabili – l’odierna
ricorrente, come ha puntualmente rilevato il giudice del merito, ”

in

carenza di alcuna impugnativa di quei provvedimenti di revoca
dell’autorizzazione e di ordine di rimozione degli impianti”, non godeva più
di alcuna posizione che l’ordinamento giuridico mira a difendere, neppure
ai sensi dell’art. 2043 c.c.
Conclusivamente, il ricorso è rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e, liquidate come in dispositivo, in
favore di ciascuno dei resistenti, sono poste a carico della ricorrente.

P.Q.M.

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avrebbe interferito con l’autonoma attività provvedimentale di cui la P.A. è

La Corte, a sezioni unite, rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al
pagamento, in favore di ciascuno dei resistenti, delle spese che liquida in
complessivi C 2.000,00, di cui C 1.800,00 per compensi, oltre accessori di
legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili, in

data 23 aprile 2013.

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