Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13902 del 07/07/2016


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Cassazione civile sez. VI, 07/07/2016, (ud. 17/12/2015, dep. 07/07/2016), n.13902

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10116-2014 proposto da:

CONDOMINIO (OMISSIS), in persona del suo amministratore pro

tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 71, presso

lo studio dell’avvocato MAURIZIO BELLUCCI, rappresentato e difeso

dall’avvocato VINCENZO LO STERZO giusta delega a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

DITTA D.G.P.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1106/2013 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA

del 29/10/2013, depositata il 07/11/2013; udita la relazione della

causa svolta nella pubblica udienza del 17/12/2015 dal Consigliere

Relatore Dott. ANTONINO SCALISI;

udito l’Avvocato Vincenzo Lo Sterzo difensore del ricorrente che

insiste per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Condominio (OMISSIS) opponeva il decreto ingiuntivo con il quale il Presidente del Tribunale di Teramo gli ingiungeva su istanza della ditta d.G.P. di pagare a quest’ultimo l’importo di Lire 5.003,60 dovuti al saldo dei lavori commissionati con contratto del 23 luglio 2002 ed aventi ad oggetto il rifacimento della pavimentazione della strada privata condominiale.

Il Condominio chiedeva la revoca del decreto ingiuntivo esponendo: 1) che erano stati versati in pagamento dei lavori due acconti per la complessiva somma di Euro 8.002,00; 2) che la ditta ricorrente non aveva ultimato i lavori, nonostante il direttore dei lavori avesse rilasciato certificato attestante la regolare esecuzione dei lavori;

3) che l’amministratore aveva provveduto a comunicare alla ditta che i lavori non risultavano ultimati e l’opera realizzata presentava dei vizi. Chiamava in giudizio anche il direttore dei lavori, che assumeva essere corresponsabile, ma tale domanda veniva dichiarata inammissibile implicando la chiamata in causa da parte del convenuto in senso sostanziale nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, che, in quanto tale, avrebbe dovuto essere preceduta da un’autorizzazione del giudice, mai richiesta ed insussistente.

Chiedeva, altresì, in via riconvenzionale, la condanna della ditta alla eliminazione dei vizi ed al risarcimento del danno da liquidarsi nella misura di Euro 50,00 per ogni giorno a decorrere dal 10 agosto 2002, data prevista in contratto per l’ultimazione dei lavori.

Resisteva l’opposto, contestando le domande avversarie ed eccepiva che a seguito del sopralluogo del dicembre 2002 l’opera doveva ritenersi accettata, sia per esplicito che implicitamente, Eccepiva, inoltre, la decadenza dalla garanzia dell’opponente, dato che non aveva neppure indicato la data della scoperta dei vizi dell’opera.

Il Tribunale di Teramo con sentenza n. 134 del 2007 rigettava l’opposizione e, per l’effetto, confermava integralmente il decreto ingiuntivo, compensava le spese giudiziali tra le parti.

Avverso tale sentenza interponeva appello il Condominio (OMISSIS) per tre motivi:

a) con il primo motivo si censurava la decisione del Tribunale in ordine alla ritenuta avvenuta accettazione dell’opera e alla qualificazione dei vizi, siccome palesi e non occulti, come, invece, sostenuto dall’appellante; b) con il secondo motivo si censurava la sentenza impugnala per la ritenuta intempestività della denuncia dei vizi; c) la sentenza veniva censurata per l’eccessività della penale ex art. 1384 c.c. fissata in Euro 19,22 per ogni giorno a partire dalla domanda.

La Corte di Appello dell’Aquila, con sentenza n. 1106 del 2013, rigettava l’appello confermando integralmente la sentenza impugnata, condannava il Condominio al pagamento delle spese del secondo grado del giudizio.

Secondo la Corte dell’Aquila, a fronte dell’esistenza del certificato di regolare esecuzione dei lavori e di collaudo dell’opera, era ragionevole ritenere che il committente avesse ottenuto la disponibilità dell’opera che gli era stata certamente consegnata dall’appaltatore; pertanto, sarebbe stato onere dell’appellante indicare con precisione ed, in concreto, la data della consegna e dell’accettazione dell’opera e quella della scoperta dei vizi lamentati. La Corte distrettuale ha chiarito che, nella specie, doveva constatarsi, come in contratto, fosse prevista una penale più elevata, tuttavia, andava liquidata in misura più ridotta perchè era stata ridotta dallo stesso opposto in misura proporzionale al parziale inadempimento.

La cassazione di questa sentenza è stata chiesta dal Condomino (OMISSIS) per un motivo. La ditta d.G.P., intimata, in questa fase non ha svolto alcuna attività giudiziale.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.= Con l’unico motivo di ricorso il Condominio (OMISSIS) lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1384 c.c. in relazione con l’art. 1815 c.c., comma 2, ex art. 360 c.p.c., n. 3. Secondo il ricorrente, la Corte distrettuale avrebbe errato nell’escludere una diminuzione della penale incorrendo nella violazione dell’art. 1384 in relazione all’art. 1815 c.c., comma 2, così come modificato dalla L. n. 108 del 1996, art. 2 nella parte in cui consente al giudice di diminuire la penale se l’ammontare di essa è manifestamente eccesivo o si traduce in un corrispettivo a titolo di interessi superiore al tasso di usura, perchè non avrebbe valutato la portata effettiva della penale richiesta ed ottenuta nel procedimento monitorio posto che ammonterebbe ad Euro 33.769,54. In particolare, far decorrere sic et simpliciter la penale di Euro 19,22 giornalieri dalla data della domanda sino alla data dell’effettivo pagamento, senza tener conto del tempo decorso per il giudizio di primo grado e del comportamento processuale del Condominio, avrebbe in concreto il significato di riconoscere al creditore, sul ritardato pagamento di un residuo e minor credito, un tasso di gran lunga superiore a quello ritenuto per legge come tasso usuraio in contrasto con l’art. 1815 c.c., comma 2.

Piuttosto, la Corte distrettuale avrebbe dovuto accertare e valutare le ragioni del ritardato pagamento della residua somma dovuta, individuando l’insussistenza o meno di ragioni di fatto e di diritto che ne giustificavano il ritardo. Considerato, poi, che la giustificazione del ritardato e mancato pagamento del residuo importo si protraeva per tutto il giudizio di primo grado, conclusosi con la sentenza pubblicata in data 4 maggio 2007 e notificata il 28 giugno 2007, sarebbe da quest’ultima data, o, al più presto, da quello della pubblicazione che dovrebbe decorrere il termine iniziale della penale richiesta e proporzionalmente ridotta nella misura di Euro 19,22 giornaliera, che porterebbe il creditore a vedersi corrisposta una somma complessiva di Euro 5.112,52 più che satisfattiva sia per gli interessi che per la rivalutazione monetaria quale risarcimento del maggior danno convenzionalmente sostituito dalla clausola penale ripassata tra le parti.

1.1.= Il motivo è fondato.

Secondo quanto dispone l’art. 1384 c.c. “la penale può essere diminuita equamente dal giudice, se l’obbligazione principale è stata eseguita in parte, ovvero, se l’ammontare della penale è manifestamente eccessivo, avuto sempre riguardo all’interesse che il creditore aveva all’adempimento”. Nella letteratura giuridica italiana, molto si è discusso e si discute in ordine al criterio che il giudice dovrebbe utilizzare per valutare se una penale sia eccessiva e conseguentemente il limite che dovrebbe osservare nella riduzione della stessa. Tuttavia, il riferimento all’interesse del creditore contenuto nella norma appena richiamata, e considerato che la possibilità della riduzione, ad una “misura equa”, trova la sua ragion d’essere nell’interesse del debitore inadempiente, consente di identificare quel criterio nell’equo contemperamento degli interessi contrapposti, che assicuri, cioè, il posizionamento del soggetto adempiente sulla curva di indifferenza più vicina a quella su cui si sarebbe collocato qualora il contratto fosse stato adempiuto.

Non vi è dubbio, che la norma dell’art. 1384 c.c. – che attribuisce al giudice il potere dì diminuire equamente la penale – non ha la funzione di proteggere il contraente economicamente più debole dallo strapotere del più forte, tuttavia, mira alla tutela e ricostituzione dell’equilibrio contrattuale, evitando che da un inadempimento parziale o, comunque, di importanza non enorme, possano derivare conseguenze troppo gravi per l’inadempiente.

D’altra parte, tenuto conto che dal nuovo e moderno sistema contrattuale, quale viene sempre più emergendo, anche, dalla normativa europea, corollario di un liberismo che al contempo è anche solidaristico, emerge una maggiore attenzione per la giustizia contrattuale, cioè, per un contratto che non presenti nè uno squilibrio strutturale, ne e, soprattutto, uno squilibrio di prestazioni o di contenuto, appare ragionevole ritenere che anche la clausola penale debba essere espressione di un corretto equilibrio degli interessi contrattuali contrapposti.

Ora, nel caso in esame, la Corte distrettuale che in modo corretto ha richiamato i principi espressi dalle Sezioni Unite di questa Corte (sent. 1384 del 2005) che correttamente ha evidenziato che gli elementi sulla cui base operare il giudizio di riduzione dovevano risultare dagli atti di causa, tuttavia, la Corte distrettuale ha ritenuto equa, senza alcun valutazione, una riduzione della penale indicata nel contratto, operata dallo stesso creditore, in proporzione al parziale inadempimento (essendo stata per la maggior parte l’obbligazione di pagamento adempiuta), quando, invece, avrebbe dovuto valutare: a) intanto, se la penale nella sua totalità, in ragione dell’intera economia contrattuale, fosse di per se eccessiva;

b) se, quella penale, sia pure ridotta, prevista per l’inadempimento di un’obbligazione ben più significativa, poteva essere riferita anche allo specifico parziale inadempimento; c) se, comunque, nella visione del comportamento complessivo delle parti, anche giudiziale, fosse possibile rapportare l’originaria penale alla parte di obbligazione non adempiuta mediante una semplice operazione aritmetica.

senza alcuna considerazione del nuovo equilibrio contrattuale ovvero dei nuovi e residui interessi contrapposti.

In definitiva, il ricorso va accolto, la sentenza impugnata va cassata e la causa va rinviata ad altra sezione della Corte di Appello dell’Aquila, anche per il regolamento delle spese del presente giudizio di cassazione.

PQM

La Corte accoglie il ricorso cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di Appello dell’Aquila, in altra composizione, anche per il regolamento delle spese del presente giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Sesta civile – 2 della Corte di cassazione, il 17 dicembre 2015.

Depositato in Cancelleria il 7 luglio 2016

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