Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13901 del 09/06/2010

Cassazione civile sez. I, 09/06/2010, (ud. 26/05/2010, dep. 09/06/2010), n.13901

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Immobiliare Casal Ferrante s.r.l. in liquidazione, domiciliata in

Roma, Via Muzio Clementi 18, presso l’avv. GROLLINO F., che la

rappresenta e difende, come da mandato in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Economia e delle Finanze, domiciliato in Roma, Via dei

Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che per

legge lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

contro

Ministero della Giustizia;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1817/2004 della Corte d’appello di Roma,

depositata il 19 aprile 2004;

Sentita la relazione svolta dal Consigliere dott. Aniello Nappi;

udito il difensore della ricorrente, avv. Grollino, che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

Udite le conclusioni del P.M., Dott. PRATIS Pierfelice, che ha

chiesto il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con la sentenza impugnata la Corte d’appello di Roma ha confermato la dichiarazione di inammissibilità della domanda proposta dalla Immobiliare Casal Ferrante s.r.l. per la dichiarazione di illegittimità della trascrizione di una confisca di prevenzione disposta nei confronti di R.G. e sul 50% del valore di appartamenti di proprietà della società.

Hanno ritenuto i giudici del merito che, essendo R.G. titolare del 50% delle quote della Casal Ferrante s.r.l., la confisca di prevenzione fu disposta sul 50% del valore dei beni che, benchè intestati alla società, erano in realtà nella disponibilità del socio, sospettato di appartenenza mafiosa. Sicchè l’unico rimedio esperibile era quello dell’opposizione dinanzi alla Corte d’appello.

Ricorre per cassazione la Casal Ferrante s.r.l. in liquidazione e propone due motivi d’impugnazione, cui resiste con controricorso il Ministero dell’economia e delle finanze, mentre non ha spiegato difese il Ministero della giustizia.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione della L. n. 575 del 1965, art. 2 ter, L. n. 1423 del 1956, artt. 3 ter e 4.

Sostiene che il particolare mezzo di impugnazione delle misure di prevenzione, previsto dalla L. n. 1423 del 1956, art. 4, è esperibile solo da parte dei soggetti che abbiano partecipato al procedimento di applicazione della misura. E’ infatti previsto che siano chiamati a intervenire i terzi proprietari dei beni sottoposti a sequestro e poi a confisca.

Sicchè, non avendo partecipato al procedimento di applicazione della confisca di prevenzione, la ricorrente non poteva proporre il ricorso alla corte 4 d’appello previsto dalla L. n. 1423 del 1956, art. 4, ma può far valere le proprie ragioni solo davanti al suo giudice naturale, il tribunale civile.

Ogni diversa interpretazione delle norme richiamate sarebbe in contrasto sia con il principio di eguaglianza sia con il principio di precostituzione del giudice naturale.

Con il secondo motivo la ricorrente deduce violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 4 e art. 2472 c.c., vizi di motivazione della decisione impugnata. Sostiene che apoditticamente i giudici del merito hanno qualificato la Casal Ferrante s.r.l. come società di comodo, i cui beni erano in realtà riconducibili per una metà a R., senza considerare che la società e il socio sono soggetti diversi.

2. Il ricorso è infondato.

La L. 31 maggio 1965, n. 575, consente di applicare una misura di prevenzione sulla base della sola esistenza di indizi di appartenenza alle associazioni di tipo mafioso, in quanto in tal caso la pericolosità dell’associato è presunta dal legislatore (Cass., sez. 1^, 19 maggio 1995, m. 201756, che correttamente sottolinea come tali misure di prevenzione si differenzino da quelle prevista dalla L. 27 dicembre 1956, n. 1423, che richiede, invece, l’accertamento in concreto della pericolosità del soggetto). E secondo la giurisprudenza di questa corte, “il presupposto per l’applicazione della misura patrimoniale non risiede necessariamente nella condanna per alcuno dei reati associativi indicati dalla L. n. 575 del 1965, essendo sufficiente la mera condizione di indiziato di appartenenza al sodalizio criminale” (Cass., sez. 2^, 9 maggio 2000, Coraglia, m.

217801, Cass., sez. 1^, 15 ottobre 2003, Andronico, m. 226609, Cass., sez. 5^, 12 dicembre 2007, Campione, m. 238871). Come si desume dalla L. n. 575 del 1965, art. 2 ter, comma 6, così come modificato dalla L. n. 55 del 1990, art. 2, dunque, perchè possa disporsi la confisca si richiedono tre condizioni:

a) che sia stata applicata una misura personale di prevenzione;

b) che i beni sequestrati risultino nella disponibilità anche indiretta di colui cui la misura di prevenzione è stata applicata;

c) che di tali beni non sia stata dimostrata la legittima provenienza.

In particolare, “in tema di misure di prevenzione patrimoniale, la disponibilità dei beni – che costituisce il presupposto per la confisca in capo alla persona pericolosa di quelli di cui si sospetta la provenienza illecita – non deve necessariamente concretarsi in situazioni giuridiche formali, essendo sufficiente che il prevenuto possa di fatto utilizzarli, anche se formalmente appartenenti a terzi, come se ne fosse il vero proprietario” (Cass., sez. 2^, 5 dicembre 1996, Liso, m. 207118, Cass., sez. 5^, 17 marzo 2000, Cannella, m. 215834). Sicchè è corretta, e non è censurabile in questa sede, la motivazione esibita dai giudici del merito circa l’effettiva disponibilità dei beni da parte di R.G..

Quanto al procedimento, è previsto che, “se risulta che i beni sequestrati appartengono a terzi, questi sono chiamati dal tribunale, con decreto motivato, ad intervenire nel procedimento e possono, anche con l’assistenza di un difensore, nel termine stabilito dal tribunale, svolgere in camera di consiglio le loro deduzioni e chiedere l’acquisizione di ogni elemento utile ai fini della decisione sulla confisca” (L. n. 575 del 1965, art. 4). Tuttavia “il procedimento di prevenzione ha istituzionalmente i suoi necessari referenti nel pubblico ministero e nel preposto, sicchè l’omessa chiamata del terzo non si pone sullo stesso piano dell’intervento di colui cui può essere applicata la misura, onde l’omessa citazione non comporta la nullità del procedimento, ma un’irregolarità che non inficia il procedimento medesimo, e quindi l’applicazione della misura di prevenzione, ferma restando la facoltà dell’extraneus di esplicare le sue difese – postume – con incidente di esecuzione e con ricorso per cassazione avverso l’ordinanza che delibera sull’incidente medesimo” (Cass., sez. 5^, 19 maggio 1998, Cassani, m.

211700, Cass., sez. 6^, 22 marzo 1999, Riela L, m. 214506, Cass., sez. 5^, 14 aprile 2000, Spierto, m. 216542, Cass., sez. 2^, 17 ottobre 2002, Ferdico, m. 223021, Cass., sez. 1^, 22 giugno 2007, Scala, m. 236930).

Sicchè è vero che, come sostiene la ricorrente, solo quando abbiano partecipato al procedimento di confisca i terzi sono legittimati a impugnare dinanzi alla corte d’appello il provvedimento applicativo della misura.

Secondo una giurisprudenza ormai indiscussa, però, chi non sia stato chiamato a prendere parte al procedimento e “comunque non vi abbia preso parte può far valere l’inefficacia nei suoi confronti della confisca mediante incidente di esecuzione” (Cass., 8 sez. un., 19 dicembre 2006, Auddino, m. 234956, Cass., sez. 1^, 5 maggio 2008, Nocera, m. 240292).

L’incidente di esecuzione, cui la giurisprudenza si riferisce, è quello disciplinato dall’art. 666 c.p.p., che si apre dinanzi al giudice dell’esecuzione, su richiesta del pubblico ministero o degli interessati. E, secondo quanto prevede l’art. 665 c.p.p., comma 1, “salvo diversa disposizione di legge, competente a conoscere dell’esecuzione di un provvedimento è il giudice che lo ha deliberato”; mentre la L. n. 575 del 1965, art. 2 ter, comma 6, prevede che sulla richiesta di confisca provveda lo stesso tribunale che ha disposto la misura di prevenzione personale.

Sicchè risulta precostituito per legge il giudice competente a decidere sulla legittimità della confisca; e il sistema così ricostruito è palesemente compatibile con gli artt. 3 e 25 Cost., invocati dalla ricorrente.

Nel caso in esame dunque la Casal Ferrante s.r.l. in liquidazione può far valere le sue ragioni con il procedimento di cui all’art. 666 c.p.p., dinanzi al tribunale che dispose la confisca. Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente alle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese in favore del resistente, liquidandole in complessivi Euro 3.000,00 per onorari, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 26 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2010

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