Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1390 del 23/01/2014


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 1390 Anno 2014
Presidente: LA TERZA MAURA
Relatore: MAROTTA CATERINA

ORDINANZA
sul ricorso 9438-2012 proposto da:
I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA
SOCIALE 80078750587 in persona del Presidente e legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
DELLA FREZZA 17, presso l’AVVOCATURA CENTRALE
DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati
CHERUBINA CIRIELLO, ELISABETTA LANZETTA, LUCIA
POLICASTRO, giusta procura procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente contro
ZARRI CARLA, VALLONE STEFANIA in qualità di eredi legittime
di Vallone Angelo, elettivamente domiciliate in ROMA, presso la
CORTE DI CASSAZIONE, rappresentate e difese dall’avv. MARTA
LANZILLI, giusta procura speciale in calce al controricorso;

Data pubblicazione: 23/01/2014

- controricorrenti avverso la sentenza n. 237/2011 della CORTE D’APPELLO di
TORINO del 23.2.2011, depositata 1’11/04/2011;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

udito per il ricorrente l’Avvocato CHERUBINA CIRIELLO che ha
chiesto raccoglimento del ricorso.
E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott.
GIANFRANCO SERVELLO che ha concluso per l’accoglimento del
ricorso.
1 – Considerato che è stata depositata relazione del seguente
contenuto:
“Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Torino, per
quanto di interesse nel presente giudizio, confermava la statuizione di
primo grado con cui era stata accolta la domanda proposta da Angelo
Vallone nei confronti dell’I.N.P.S. di cui quest’ultimo era dipendente,
per ottenere la restituzione della trattenuta operata dall’Istituto sul
trattamento di buonuscita ai sensi della legge n. 297 del 1982, art. 3,
u.c., con condanna dall’Istituto alla restituzione del relativo importo; la
Corte territoriale affermava che la trattenuta in questione, prevista
come aggiuntiva al T.F.R. (dovendosi detrarre l’importo di detta
contribuzione aggiuntiva dall’ammontare della quota del trattamento di
fine rapporto del periodo corrispondente), andasse applicata solo con
riferimento al lavoro privato e non anche a quello pubblico per il quale
la disciplina legislativa del T.F.S. rimaneva ferma, ossia “inalterata”,
nonostante l’intervenuta riforma del T.F.R.. In buona sostanza, ad
avviso della Corte di merito, la citata disposizione di cui alla legge n.
297 del 1982, art. 3, u.c. non era applicabile al dipendente dell’Istituto

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14/11/2013 dal Consigliere Relatore Dott. CATERINA MAROTTA;

in quanto destinatario, non già del trattamento di fine rapporto,
introdotto dalla medesima legge n. 297 del 1982, ma della indennità di
fine servizio, prevista dalla legge n. 70 del 1975 per il cd. Parastato.
Per la cassazione di tale sentenza l’I.N.P.S. propone ricorso
fondato su un unico motivo.

qualità di eredi di Angelo Vallone).
Denuncia l’Istituto ricorrente: “Violazione e falsa applicazione
dell’art. 3 della legge 29 maggio 1982, n. 297 e dell’art. 14 della legge 10
marzo 1975, n. 70 (art. 360, n. 3 cod. proc. civ.)”. Sostiene che la
disciplina di cui alla legge n. 297 del 1982, introducendo una serie di
benefici pensionistici ha, in modo corrispondente, previsto l’aumento
delle aliquote contributive a carico dei datoti di lavoro pari allo 0,30%
dal 1982 ed allo 0,20% dal 1983, mentre all’ultimo comma dispone che
il datore debba detrarre l’importo di detta contribuzione aggiuntiva
dall’ammontare della quota del trattamento di fine rapporto del
periodo corrispondente. Deduce che il legislatore ha voluto porre a
carico dei lavoratori destinatati dei benefici pensionistici il “costo”
dell’operazione limitando il ruolo del datore di lavoro a quello di
“anticipatore” della contribuzione aggiuntiva, fino alla corresponsione
del trattamento di fine rapporto. Evidenzia che l’art. 3 della legge n.
297 del 1982 non pone alcuna distinzione tra datore di lavoro pubblico
e privato e che la relativa disciplina è da riferire a tutte le categorie di
lavoratori dipendenti iscritti all’Assicurazione generale obbligatoria,
dunque, sia ai dipendenti dei datori di lavoro privati, sia ai dipendenti
dell’I.N.P.S., e che, essendo finalizzata a far fronte ai maggiori oneri
conseguenti all’aumento dei contributi, non possa che valere per tutti,
e cioè sia per i dipendenti destinatati del T.F.R., sia per i dipendenti

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Resistono con controricorso Carla Zanni e Stefania Vallone (nella

destinatari dell’indennità di fine servizio, non rilevando, in materia
pensionistica, il diverso regime di calcolo tra le due indennità.
Il motivo si palesa manifestamente fondato alla stregua del
principio enunciato in recenti decisione di questa Corte cui va data
continuità (cfr. Cass. n. 4225 del 16 marzo 2012; id. 4838 del 26

Non vi è invero da dubitare che ai dipendenti I.N.P.S., quale il
congiunto degli attuali controricorrenti, si applichi l’indennità di fine
servizio e non il T.F.R.. Tanto è stato chiaramente affermato la
sentenza di questa Corte n. 11604 del 9 maggio 2008, nei seguenti
termini: 1. La legge n. 70, art. 1, disponeva “Lo stato giuridico e il
trattamento economico di attività e di fine servizio del personale
dipendente degli enti pubblici individuati ai sensi dei seguenti commi
sono regolati in conformità alla presente a legge”. La nuova disciplina
recava quindi un trattamento retributivo omogeneo per i dipendenti di
“tutti” gli enti interessati (tramite accordi sindacali, come già avveniva
per i dipendenti statali) e, quanto al trattamento di quiescenza, si
disponeva all’art. 13, che “all’atto della cessazione del servizio spetta al
personale un’indennità di anzianità, a totale carico dell’ente, pari a tanti
dodicesimi dello stipendio annuo complessivo in godimento quanti
sono gli anni di servizio prestato”. Pertanto, questa divenne ormai, per
tutti i dipendenti del parastato, la disciplina applicabile per la
quiescenza, con conseguente abolizione di quelle, diversamente
stabilite, dalle varie, molteplici delibere dai consigli di amministrazione.
2. Per affermare la perdurante vigenza della legge n. 70 del 1975, art.
13, non appaiono sufficienti le argomentazioni già svolte, essendo
necessario anche escludere che la materia sia stata diversamente
regolata da altre disposizioni intervenute nelle more. E’ noto che, a
seguito della privatizzazione del rapporto, il trattamento economico
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febbraio 2013).

dei dipendenti degli enti pubblici non economici, tra cui si annovera
l’I.N.P.S., viene regolato dai contratti collettivi; tuttavia la materia
relativa alle spettanze che maturano alla fine del rapporto non è stata
oggetto di accordo tra le parti. Ci si chiede allora se valgano per i
dipendenti “privatizzati” le regole civilistiche che presiedono al

d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 2, comma 2, richiama le disposizioni
del capo I, titolo II, del libro V del codice civile e le leggi sui rapporti
di lavoro subordinato nell’impresa, tra cui è sicuramente ricompreso
l’art. 2120 cod. civ., sul T.F.R.. 3. Al quesito va data risposta negativa,
come già ha avuto modo di osservare la sentenza di questa Corte n.
15998 del 14 luglio 2006. Infatti la legge 8 agosto 1995, n. 335,
(“Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare”),
nel quadro complessivo di omogeneizzazione introdotto, sia pure
gradualmente, tra lavoro pubblico e privato anche per quanto riguarda
gli aspetti previdenziali, all’art. 2, nei commi 5 e 7, dettava in materia
disposizioni riguardanti i dipendenti delle amministrazioni pubbliche
contemplati nel d.lgs. n. 29 del 1993, art. 1, assunti rispettivamente dal
1 gennaio 1996 ovvero già occupati alla data del 31 dicembre 1995. Per
i primi era stabilito che “i trattamenti di fine servizio, comunque
denominati, sono regolati in base a quanto previsto dall’art. 2120 cod.
civ., in materia di trattamento di fine rapporto”. Per i secondi erano
rimesse alla contrattazione collettiva nazionale le modalità per
l’applicazione della disciplina del trattamento in materia di fine
rapporto. In entrambi i casi, la disciplina di esecuzione era affidata ad
un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri. Si desume da tali
disposizioni che solo per i lavoratori che fossero stati assunti nel corso
del 1996 avrebbero trovato applicazione, in base alla legge n. 335 del
1995, le regole civilistiche in tema di trattamento di fine rapporto. La
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trattamento di fine rapporto dei dipendenti privati, dal momento che il

restrizione a tale categoria era giustificata dal rilievo che per gli altri,
ossia per quelli già occupati alla data del 31 dicembre 1995,
l’applicazione di tali regole era esplicitamente condizionata
all’intervento della contrattazione collettiva nazionale. Vale la pena di
aggiungere che la legge 27 dicembre 1997, n. 449, (“misure per la

mantenendo fermo quanto previsto dalle legge n. 335 del 1995, e
successive modificazioni in materia di applicazione delle disposizioni
relative al trattamento di fine rapporto ai dipendenti delle pubbliche
amministrazioni, ha previsto la possibilità di richiedere la
trasformazione dell’indennità di fine servizio in trattamento di fine
rapporto, collegando a tale opzione la destinazione alla previdenza
complementare. Questa facoltà è stata confermata dall’Accordo
Quadro nazionale in materia di T.F.R. e previdenza complementare del
27 luglio 1999, per cui i dipendenti assunti prima del 1996, possono
optare per il T.F.R., in luogo della previgente disciplina, ma nella
specie, detta opzione non è stata esercitata. 4. Successivamente il d.lgs.
30 marzo 2001, n. 165, art. 69, comma 2, ha previsto che, in attesa di
una nuova regolamentazione contrattuale della materia, resta ferma per
i dipendenti pubblici, la disciplina vigente in materia di trattamento di
fine rapporto. Non operando dunque l’art. 2120 cod. civ., né avendo
ancora provveduto a contrattazione collettiva, si deve applicare, ai fini
del trattamento di fine rapporto del dipendenti I.N.P.S. la disciplina
legale, ossia la legge n. 70 del 1975, art. 13, che regola l’indennità di
anzianità per i dipendenti degli enti pubblici economici, nel quadro di
omogeneizzazione di cui sopra si è detto, dei trattamenti differenziati
dalle singole discipline regolamentari vigenti presso ciascuno. 5. Vale la
pena di rilevare che la regola per cui l’indennità di anzianità viene
calcolata su una base non onnicomprensiva, ossia limitata allo
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stabilizzazione della finanza pubblica”), all’art. 59, comma 56,

stipendio base, con esclusione di altre indennità, conduce comunque
ad un trattamento molto più favorevole rispetto a quello relativo al
T.F.R. spettante ai dipendenti privati giacché i destinatari della legge n.
70 del 1975, citato art. 13, hanno il vantaggio di moltiplicare “l’ultimo
stipendio” per il numero degli anni di servizio prestati, in luogo del

annuali, che riproducono, non già i più alti compensi percepiti al
termine della carriera, ma solo la quota di quelli ricevuti anno per anno.
Ciò precisato, pur condividendo questo Collegio le argomentazioni
di cui al controricorso sulla persistenza della indennità di anzianità o
indennità fine servizio per i dipendenti I.N.P.S., il ricorso è fondato,
perché non viene qui in applicazione la problematica sul computo di
ciò che spetta alla fine del rapporto di lavoro, ma viene in applicazione
una disposizione in materia previdenziale, precisamente in materia
contributiva, che pone a carico dei dipendenti la trattenuta per cui è
causa. Trattenuta che vale per “tutti” gli iscritti all’assicurazione
generale obbligatoria, perché è in corrispondenza dell’aumento della
misura delle pensioni, aumento che deve trovare necessariamente
copertura nell’aumento dei contributi, anche di quelli a carico dei
dipendenti. In relazione al carico contributivo pertanto, tutti gli iscritti
all’AGO vengono equiparati: se uguale è il trattamento pensionistico
uguale deve essere l’onere contributivo e non sarebbe logico
discriminare solo in forza del diverso meccanismo di calcolo vigente in
ordine al computo della indennità spettante alla fine del rapporto di
lavoro, che nessuna connessione ha con il rapporto assicurativo.
In conclusione, si propone l’accoglimento del ricorso e, non
essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la decisione della
causa nel merito con il rigetto della domanda proposta da Angelo
Vallone volta ad ottenere la declaratoria di illegittimità della trattenuta
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sistema del T.F.R., che si compone della somma di accantonamenti

operata dall’Istituto sulla indennità di buonuscita a titolo di c.d. rivalsa
contributiva ex art. 3 legge n. 297/1982, con ordinanza, ai sensi
dell’art. 375 cod. proc. civ., n. 5″.
2 – Ritiene questa Corte che le considerazioni svolte dal relatore
siano del tutto condivisibili, siccome coerenti alla consolidata

presupposto dell’art. 375, n. 5, cod. proc. civ. per la definizione
camerale del processo, soluzione non contrastata dalle parti e condivisa
dal Procuratore generale, che ha aderito alla relazione. Va, peraltro,
dato atto del fatto che i controricorrenti, in sede di memoria depositata
ai sensi degli artt. 378 e 380 bis cod. proc. civ., hanno rinunciato agli
effetti favorevoli della sentenza della Corte di appello di Torino e così
all’azione ed al diritto sostanziale allora riconosciuto alla restituzione
delle somme trattenute a titolo di rivalsa contributiva ex art. 3 legge n.
297/1982.
3 – Conseguentemente, il ricorso va accolto e la sentenza cassata.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, ex art. 384,
comma 2, cod. proc. civ., la causa può decidersi nel merito,
dichiarandosi cessata tra le parti la materia del contendere.
4 – Sussistono giusti motivi – in ragione del fatto che l’Istituto
ricorrente nulla ha opposto alla espressa richiesta, contenuta nell’atto
di rinuncia, di compensazione delle spese e, comunque, del
comportamento delle parti controricorrenti che hanno preso atto, non
insistendo nelle pretese sopra indicate, delle recenti pronunce di questa
Corte, in vicende del tutto analoghe, citate nella relazione – per
compensare tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

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giurisprudenza di legittimità in materia. Ricorre con ogni evidenza il

LA CORTE accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e,
decidendo nel merito, dichiara cessata tra le parti la materia del
contendere; compensa tra le parti le spese dell’intero processo.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 14 novembre 2013.

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