Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13899 del 23/06/2011

Cassazione civile sez. VI, 23/06/2011, (ud. 19/05/2011, dep. 23/06/2011), n.13899

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. LANZILLO Raffaella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 12005-2010 proposto da:

R.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIALE MAZZINI 88, presso lo studio dell’avvocato DE BONIS

MASSIMO, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati CADEO

FAUSTO, FERRARESE ALBERTO, giusta procura speciale a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

PLODARI ANTONIO DI PLODARI MASSIMO & C. SAS (OMISSIS), (già

Plodari Antonio srl), in persona del socio accomandatario,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PACUVIO 34, presso lo studio

dell’avvocato ROMANELLI GUIDO, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato CIVIDINI EZIO, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 208/2010 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA del

3/03/2010, depositata il 12/03/2010;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19/05/2011 dal Consigliere Relatore Dott. RAFFAELLA LANZILLO;

udito l’Avvocato Santarelli Stefano, (delega avvocato Guido

Romanelli), difensore della controricorrente che si riporta agli

scritti;

è presente il P.G. in persona del Dott. CARMELO SGROI che condivide

la relazione.

La Corte:

Fatto

PREMESSO IN FATTO

– Il 21 marzo 2011 è stata depositata in Cancelleria la seguente relazione ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ.:

“1. Con la sentenza impugnata in questa sede la Corte di appello di Brescia, in riforma della sentenza emessa in primo grado dal Tribunale di Brescia, ha parzialmente respinto l’opposizione proposta da R.G. al decreto ingiuntivo con cui la s.r.l. Antonio Plodari – poi divenuta s.a.s. Antonio Plodari di Massimo Plodari & C. – gli ha ingiunto il pagamento di L. 314.144.000, quale corrispettivo di forniture di latte artificiale per alimentazione animale.

L’ingiunto aveva motivato la sua opposizione con il fatto che dai dati contabili in suo possesso, diversi da quelli prospettati dalla società ricorrente, risulterebbe che egli ha interamente pagato le forniture, tramite vari assegni, alcuni dei quali recano sulla matrice dichiarazioni di quietanza.

La Corte di appello ha revocato il decreto ingiuntivo, ma ha condannato il R. a pagare alla soc. Plodari la somma di Euro 103.234,66 oltre interessi, compensando le spese dei due gradi di giudizio.

Il R. propone tre motivi di ricorso per cassazione.

Resiste l’intimata con controricorso.

2.- Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione degli artt. 2730 e 2732 cod. civ., sul rilievo che la Corte di appello ha ritenuto revocata la confessione resa dalla creditrice, tramite quietanza in data 9.1.1986, di avere ricevuto il pagamento di tutto quanto dovuto, in mancanza dei presupposti di legge, cioè sulla base di altre quietanze di contenuto diverso, rilasciate in data successiva, che non potrebbero produrre tale effetto.

2.1.- Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6 e perchè non congruente con le ragioni della decisione.

Il ricorrente non indica nel ricorso se siano stati prodotti, e come siano reperibili fra gli atti e i documenti di causa, le quietanze in oggetto, sulle quali il ricorso si fonda, e ciò comporta l’inammissibilità delle censure (Cass. civ. Sez. 3, 17 luglio 2008 n. 19766; Cass. civ. S.U. 2 dicembre 2008 n. 28547).

Inoltre, la Corte di appello non ha fatto applicazione dell’art. 2732 cod. civ. sulla revoca della confessione – come afferma il ricorrente – ma ha rilevato che due annotazioni a firma del R. apposte su matrici di assegni in data (OMISSIS), contengono dichiarazioni incompatibili con quelle contenute nella quietanza del gennaio 1986 e che ciò porta a ritenere che le quietanze si riferissero a diversi rapporti e a diverse forniture. Ha comunque escluso che possa attribuirsi efficacia probatoria a documenti il cui contenuto sia smentito da successive dichiarazioni di segno opposto, aventi la medesima valenza probatoria. Su questo aspetto il ricorrente avrebbe dovuto fecalizzare le sue censure.

3.- Il secondo motivo, con cui il ricorrente lamenta violazione dell’art. 2735 cod. civ., per avere la Corte di appello attribuito efficacia confessoria alla dichiarazione contenuta nell’ultima matrice, è anch’esso inammissibile, sia ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6, perchè ancora non è indicato se e dove il documento sia stato prodotto, sia perchè richiede 1’interpretazione del significato di un atto negoziale, interpretazione che è rimessa alla discrezionale valutazione del giudice di merito e che è suscettibile di riesame in sede di legittimità solo per violazione delle norme in tema di interpretazione dei contratti o per vizi di motivazione, norme e vizi che nella specie non sono neppure menzionati, mentre la sentenza risulta più che congruamente e logicamente motivata.

4.- Il terzo motivo, che denuncia violazione dell’art. 2697 cod. civ. e omessa motivazione nella parte in cui la Corte di appello ha determinato nell’8 luglio 1989 la data fino alla quale sarebbe efficace la quietanza e tutti i rapporti risulterebbero saldati, è anch’esso inammissibile ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6, oltre che per il fatto che richiede a questa Corte il riesame di accertamenti in fatto, che la Corte di appello ha correttamente motivato, sulla base di apposita perizia contabile, esperita nel corso del giudizio.

2.- Propongo che il ricorso sia dichiarato inammissibile, con procedimento in camera di consiglio”. – La relazione è stata comunicata al pubblico ministero e ai difensori delle parti.

– Il P.M. non ha depositato conclusioni scritte.

Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il Collegio, all’esito dell’esame del ricorso, ha condiviso la soluzione e gli argomenti prospettati dal relatore, che le argomentazioni difensive contenute nella memoria non valgono a disattendere.

La sentenza di questa sezione 23 febbraio 2011 n. 4443 – citata dal ricorrente a supporto dell’ammissibilità dei motivi di ricorso – conferma, anzichè disattendere, la soluzione prospettata nella relazione circa l’applicabilità dell’art. 366 c.p.c., n. 6, sia perchè anche nel caso in esame si tratta di documenti (ed in particolare delle quietanze di pagamento); sia perchè nella citata sentenza il riferimento ai documenti non intende escludere l’applicabilità del principio ad altri atti o mezzi di prova, ma dipende dal fatto che in quella sede si trattava per l’appunto dei soli documenti indicati a supporto delle tesi difensive.

Gli ulteriori rilievi – peraltro attinenti al merito della controversia – risultano assorbiti.

Il ricorso deve essere rigettato.

Le spese del presente giudizio, liquidate nel dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte di cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate complessivamente in Euro 9.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 9.500,00 per onorari; oltre al rimborso delle spese generali ed agli accessori previdenziali e fiscali di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della terza sezione civile, il 19 maggio 2011 Depositato in Cancelleria il 23 giugno 2011

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