Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13897 del 22/05/2019

Cassazione civile sez. I, 22/05/2019, (ud. 10/04/2019, dep. 22/05/2019), n.13897

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 18368/2018 proposto da:

U.S., domiciliato in Roma, P.zza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’Avvocato Paolo Righini giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso la sentenza n. 3005/2017 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

del 19/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

10/4/2019 dal Cons. Dott. PAZZI ALBERTO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. U.S. impugnava avanti al Tribunale di Bologna la decisione emessa dalla competente Commissione Territoriale insistendo per il riconoscimento dello status di rifugiato ovvero della protezione internazionale nelle forme della protezione sussidiaria o della protezione umanitaria.

In particolare il migrante, nato in (OMISSIS) e di religione cristiana, raccontava di essersi allontanato dalla città di Nasarawa, dove si era recato per lavorare come muratore, dopo essere stato sorpreso a pregare da alcuni musulmani, che lo avevano aggredito e cacciato via.

U.S., rifugiatosi prima in Niger e poi in Libia, raggiungeva l’Italia nel 2015, dove domandava il riconoscimento della protezione internazionale manifestando il proprio timore di restare ucciso, in caso di rimpatrio, nella guerra tra musulmani e Biafra.

Il Tribunale di Bologna evidenziava come il richiedente asilo si fosse sottratto ai doveri di completezza e non contraddittorietà stabiliti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, escludeva il ricorrere della fattispecie prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), in ragione del mancato coinvolgimento della regione dove il migrante aveva stabilmente vissuto in un contesto di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, rilevava che la condizione di pericolosità in caso di rientro rappresentata nel ricorso era stata delineata in termini talmente generici da non essere ostativa al rimpatrio e, di conseguenza, respingeva il ricorso.

2. La Corte d’appello di Bologna, nel rigettare il gravame proposto da U.S., osservava, ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato, come questi non avesse spiegato come l’aggressione subita potesse costituire il prodromo di una persecuzione per motivi religiosi; rispetto alla protezione sussidiaria la corte distrettuale rilevava che l’esposizione del richiedente asilo, generica e contraddittoria, risultava storicamente superata ed escludeva che l’oggettiva situazione della Nigeria integrasse le condizioni per il riconoscimento della tutela richiesta, in considerazione dell’inesistenza della guerra rappresentata dall’ U. e dell’estraneità del medesimo al conflitto esistente fra pastori e agricoltori.

3. Ricorre per cassazione avverso tale pronuncia U.S. affidandosi a tre motivi di impugnazione.

L’intimato Ministero dell’Interno non ha svolto alcuna difesa.

Parte ricorrente ha deposito memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4.1 Il primo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 1 e 5 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3: la decisione della corte territoriale sarebbe il frutto di una malintesa applicazione del principio di cooperazione e indagine gravante sul giudicante, il quale, ove avesse voluto attribuire rilievo alla mancata produzione dell’atto di nascita o alle presunte contraddizioni relative all’individuazione del luogo di lavoro, avrebbe dovuto assolvere il proprio dovere di cooperazione assegnando un termine per provvedere al deposito del documento mancante o riconvocare il migrante per consentirgli di spiegare le discrepanze del suo racconto.

Allo stesso modo la corte territoriale, pur essendo tenuta ad attivare i propri poteri istruttori per verificare, anche allo scopo di saggiare la genuinità delle dichiarazioni rese, se ricorresse veramente una persecuzione per motivi religiosi, si sarebbe limitata a dichiarare inesistenti i problemi fra cristiani e musulmani, senza dar corso a una seria indagine in proposito.

4.2 Il secondo mezzo lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14: la corte distrettuale, nel valutare il ricorrere delle condizioni per il riconoscimento della protezione sussidiaria, avrebbe apprezzato l’attualità del pericolo denunciato omettendo di considerare le condizioni della zona di provenienza del ricorrente alla luce della situazione attuale.

4.3 Il terzo motivo assume l’esistenza di una motivazione apparente su un fatto decisivo del giudizio: l’omesso assolvimento del dovere di cooperazione e indagine gravante sul giudicante si sarebbe inevitabilmente riverberato sulla statuizione resa, la quale non poteva che avere carattere apparente, dato che l’organo giudicante aveva trascurato di acquisire e ponderare gli elementi decisivi ai fini della valutazione della domanda presentata.

5. I motivi, da esaminarsi congiuntamente, sono fondati, nei termini che si vanno a illustrare.

Tale esame andrà però effettuato con riferimento agli argomenti addotti dalla sola corte distrettuale (a pag. 4), ponendo in disparte ogni critica rivolta alla decisione del primo giudice – che il collegio d’appello si è limitato soltanto a ricordare in esordio alla propria motivazione (pagg. 2 e 3) -, atteso che l’esercizio del diritto d’impugnazione deve esplicarsi in una critica della sentenza impugnata e alle ragioni che fondano la stessa.

5.1 La valutazione della domanda di protezione internazionale deve avvenire, a mente del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3,comma 3, lett. a), tramite l’apprezzamento di tutti i fatti pertinenti che riguardano il paese di origine al momento dell’adozione della decisione.

Il successivo comma 5 della norma stabilisce che qualora taluni elementi o aspetti delle dichiarazioni del richiedente non siano suffragati da prove, essi sono considerati veritieri se l’autorità competente a decidere ritenga che le dichiarazioni siano coerenti e plausibili e non siano in contraddizione con le informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso di cui si dispone (lett. c).

Ciò fa il paio con l’obbligo, previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, di esaminare ciascuna domanda alla luce delle informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel paese di origine dei richiedenti asilo.

Queste norme dunque, oltre a sancire un dovere di cooperazione del richiedente asilo consistente nell’allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, pongono a carico dell’autorità decidente un più incisivo obbligo di informarsi in modo adeguato e pertinente alla richiesta, soprattutto con riferimento alle condizioni generali del paese d’origine, allorquando le informazioni fornite dal richiedente siano deficitarie o mancanti (Cass. 7333/2015).

5.2 Una simile verifica officiosa deve essere compiuta con riguardo alla situazione del paese sulla base di un accertamento che deve essere aggiornato al momento della decisione (Cass. 17075/2018).

Nei giudizi aventi a oggetto domande di protezione internazionale e di accertamento del diritto al permesso per motivi umanitari la verifica delle condizioni socio-politiche del paese di origine non può quindi fondarsi su informazioni risalenti, ma deve essere svolta, anche mediante integrazione istruttoria ufficiosa, all’attualità (Cass. 28990/2018).

5.3 Nei giudizi di protezione internazionale l’esame officioso della situazione generale esistente nel paese di origine del cittadino straniero svolto dal giudice del merito deve poi essere specifico e dar conto delle fonti di informazione consultate.

Ne consegue che incorre nella violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, oltre che nel vizio di motivazione apparente, la pronuncia che, nel prendere in considerazione la situazione generale esistente nel paese di origine del cittadino straniero, si limiti a valutazioni solo generiche o comunque non individui le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte.

5.4 La pronuncia impugnata non si è attenuta a simili principi.

Infatti, a fronte di una domanda che si imperniava in larga misura sul timore persecutorio ricollegato alla appartenenza religiosa del migrante e sul paventato rischio di subire un grave danno in caso di rimpatrio a causa degli scontri fra fazioni di opposto credo religioso, era onere del giudice, nella duplice prospettiva di valutare la credibilità del racconto del migrante e vagliare la fondatezza della sua domanda, prendere in esame le condizioni esistenti nella regione di provenienza del richiedente asilo.

Nell’assolvere questo obbligo il collegio del merito era tenuto a spiegare in base a quali specifiche fonti aveva ritenuto inesistente lo stato di guerra paventato dal ricorrente, onde dare conto della puntualità e attualità della propria verifica e fare così in modo che la motivazione assumesse carattere effettivo.

6. La sentenza impugnata andrà dunque cassata, con rinvio della causa alla corte distrettuale, la quale, nel procedere al suo nuovo esame, si atterrà ai principi sopra illustrati, avendo cura anche di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Bologna in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 10 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2019

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