Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13897 del 01/06/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 01/06/2017, (ud. 05/04/2017, dep.01/06/2017),  n. 13897

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9965/2016 proposto da:

S.G., T.E., elettivamente domiciliate in

ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentate e difese dall’avvocato FABIO LUZI;

– ricorrenti –

contro

INAIL – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI

SUL LAVORO, C.F. (OMISSIS), in persona del Dirigente con incarico di

livello generale, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE

144, presso lo studio dell’avvocato LUCIANA ROMEO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato LETIZIA GRIPPA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 304/2015 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 04/02/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 05/04/2017 dal Consigliere Dott. PAOLA GHINOY.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

1. S.G. e T.E. hanno proposto ricorso per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Ancona che, in riforma della sentenza del Tribunale di Ascoli Piceno, aveva rigettato la domanda da loro proposta per ottenere la rendita ai superstiti in qualità di eredi di T.M., deceduto in data (OMISSIS) nell’ospedale di (OMISSIS), dove era stato condotto da un collega dopo aver accusato un malore, dopo la fine della giornata lavorativa svolta quale operaio edile.

2. A fondamento del gravame, le ricorrenti deducono come primo motivo la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 1124 del 1965, artt. 2, 66, 85 e lamentano che la Corte territoriale non abbia ritenuto che lo sforzo fisico, che non deve necessariamente essere caratterizzato da intensità particolare e può essere anche costituito dalla normale misura quotidiana del lavoro, abbia esercitato un ruolo di elemento causale o concausale rispetto all’evento-morte, che si era verificato con essa in continuità temporale.

2.1. Come secondo motivo deducono la violazione e falsa applicazione degli artt. 214 e 215 c.p.c., art. 2702 c.c., nonchè la nullità della sentenza e del procedimento in relazione alla c.t.u. medico-legale e lamentano che il consulente di secondo grado abbia ritenuto che non vi era stata una particolare intensificazione dei ritmi lavorativi nel giorno dell’ evento, valorizzando quanto riferito dal datore di lavoro all’Inail e dal collega di lavoro M. in dichiarazioni precedenti alla causa, piuttosto che quanto riferito dallo stesso M. in sede di deposizione testimoniale, quando aveva confermato lo stato fisico di affaticamento del T..

2.2. Come terzo motivo, lamentano la violazione o falsa applicazione dell’art. 41 c.p., del D.Lgs. n. 1124 del 1965, art. 2 e vizio di motivazione e sostengono che la Corte d’appello non avrebbe valutato i fattori concausali che avevano condotto al decesso del signor T., consistenti nel fatto che la morte avvenne in una giornata durante la quale il lavoratore era stato sottoposto ad un maggiore stress fisico e ambientale e non abbia analizzato i dati dell’anamnesi lavorativa del de cuius, che aveva in precedenza svolto attività richiedenti minor sforzo fisico.

2.3. Come quarto motivo, deducono omesso esame di quanto emerso dalle osservazioni formulate dal c.t. di parte appellata ed in particolare del fatto che l’essere l’ischemia miocardica causa del decesso risultava confermata dagli esiti negativi delle analisi effettuate in relazione ad altre possibili cause (eco fast negativa per versamento in cavità addominale, TC cerebrale senza mdc risultata negativa per segni di ischemia ed emorraggia), mentre il c.t.u. si era basato solamente sul referto del pronto soccorso che aveva ritenuto tale causa soltanto sospetta.

3. L’Inail ha resistito con controricorso; le ricorrenti hanno depositato anche memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2.

4. Il Collegio ha autorizzato la redazione della motivazione in forma semplificata.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

1. il Collegio rileva che il primo motivo risulta inammissibile, prima che infondato come prospettato nella proposta del relatore ex art. 380 bis c.p.c., comma 1, posto che il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte e l’esame del motivo non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa (v. Cass. S.U. 21/03/2017 n. 7155).

1.1. La Corte territoriale nella motivazione ha recepito le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, il quale aveva affermato che “per le circostanza del decesso, l’incertezza delle cause della morte, la non comprovata esposizione a sforzi o ritmi lavorativi particolarmente gravosi e la non individuazione di segni significativi durante l’arco della giornata lavorativa da ritenersi prodromici rispetto alla successiva crisi, risultata, poi, fatale, non è consentita, con certezza

o alta probabilità, l’individuazione di un collegamento causale del decesso del sig. T. a condizioni ambientali e di lavoro improvvisamente eccedenti la normale adattabilità e tollerabilità”.

1.2. La Corte di merito si è quindi attenuta ai principi enucleati dalla giurisprudenza di questa Corte, cui occorre dare continuità, che escludono che possano ritenersi indennizzabili come infortuni sul lavoro tutte le patologie che trovino concausa nell’affaticamento che costituisce normale conseguenza del lavoro (Cass. n. 14119 del 20/06/2006, n. 17649 del 28/07/2010), essendo necessario che la causa o concausa dell’evento consista in uno sforzo che, ancorchè non eccezionale ed abnorme, si riveli diretto a vincere una resistenza peculiare del lavoro medesimo e del relativo ambiente, che può essere costituita da specifiche condizioni ambientali e di lavoro improvvisamente eccedenti la normale adattabilità e tollerabilità, dovendosi avere riguardo alle caratteristiche dell’attività lavorativa svolta e alla loro eventuale connessione con le conseguenze dannose dell’infortunio (v. Cass. 29/08/2003 n. 12685, Cass. 30/12/2009 n. 27831). Ha quindi escluso che tali requisiti sussistessero nel caso in esame, sulla base della ricostruzione delle emergenze probatorie che viene attinta con gli ulteriori motivi di ricorso.

2. I motivi secondo e terzo censurano l’esclusione del nesso causale, operata dalla Corte territoriale sulla base delle risultanze fattuali acquisite e dell’indagine tecnica dell’ausiliare.

2.1. In merito alla ricostruzione del quadro fattuale in esito al quale si è verificato il decesso, la Corte d’appello – nel condividere la valutazione del c.t.u. come sopra riportato – ha tenuto conto (contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente) di quanto riferito dal M. nella sua deposizione testimoniale, secondo il quale il lavoratore il giorno del decesso aveva manifestato uno stato di malessere anche a causa della giornata calda, che lo portava a bagnarsi spesso la testa, e che nella stessa giornata era stato montato il ferro per il cemento armato sul tetto dell’edificio in costruzione ed il carico era molto pesante, ma ha concluso che comunque la giornata lavorativa precedente all’evento non fosse stata diversa dall’ordinario in relazione alla mansione svolta di operaio edile.

2.2. I suddetti motivi, pur formalmente epigrafati anche con riferimento alla violazione di legge, prospettano in realtà una valutazione dei fatti più consona alla tesi delle ricorrenti e in sostanza sollecitano una nuova lettura critica delle risultanze probatorie, operazione preclusa innanzi a questa S.C.. Occorre qui ribadire che l’attuale formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, introdotta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, ha ridotto al “minimo costituzionale” il sindacato di legittimità sulla motivazione, nel senso chiarito dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 8053 del 2014, secondo il quale la lacunosità e la contraddittorietà della motivazione possono essere censurate solo quando il vizio sia talmente grave da ridondare in una sostanziale omissione, nè può fondare il motivo in questione l’omesso esame di una risultanza probatoria, quando essa attenga ad una circostanza che è stata comunque valutata dal giudice del merito.

2.3. E’ però da escludere che nel caso ci si trovi innanzi a una delle indicate patologie estreme dell’apparato argomentativo, considerato che gli aspetti valorizzati nel ricorso sono stati esaminati dalla Corte territoriale, ma ritenuti superati dalle ulteriori risultanze o comunque non decisivi. Ne deriva che sotto nessun profilo la motivazione può dirsi omessa, nè può quindi procedersi in questa sede a nuova valutazione delle medesime circostanze.

3. Il quarto motivo è inammissibile laddove contesta la valutazione del c.t.u. e sostiene che erroneamente egli non avrebbe attribuito il decesso ad ischemia al miocardio, pur in presenza di analisi mediche che escludevano altre cause. E difatti, il ricorrente non riproduce il contenuto della c.t.u., nè la allega agli atti, in violazione delle prescrizioni desumibili dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, sicchè non è possibile comprendere se ed in che limiti l’esito delle suddette analisi sia stato ignorato e la decisività dell'(eventuale) omessa valutazione nella ricostruzione operata dall’ausiliare.

3.1. Inoltre, per costante giurisprudenza in materia di prestazioni previdenziali, il difetto di motivazione della sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio è ravvisabile solo in caso di palese deviazione dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata, o nell’omissione degli accertamenti strumentali dai quali, secondo le predette nozioni, non si può prescindere per la formulazione di una corretta diagnosi. Al di fuori di tale ambito la censura anzidetta costituisce mero dissenso non attinente a vizi del processo logico-formale, che si traduce, quindi, in un’ inammissibile critica del convincimento del giudice (giurisprudenza consolidata: v. da ultimo Cass. n. 23775/2013, n. 26558/11; n. 9988/2009 e n. 8654/2008).

4. Il ricorso risulta quindi complessivamente inammissibile.

5. La regolamentazione delle spese processuali, liquidate come da dispositivo, segue la soccombenza.

6. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

 

dichiara inammissibile il ricorso. Condanna le ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.500,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.Lgs. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte delle ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 5 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 1 giugno 2017

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