Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13896 del 06/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 06/07/2020, (ud. 13/02/2020, dep. 06/07/2020), n.13896

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25340-2019 proposto da:

I.N., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

DELL’OROLOGIO 7, presso lo studio dell’avvocato NICOLA MARCONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato LEONARDO BRESCIA;

– ricorrente –

contro

F.C. SRL IN LIQUIDAZIONE E IN CONCORDATO PREVENTIVO, in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 268-A, presso lo studio

dell’avvocato ALESSIO PETRETTI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato LODOVICO VALSECCHI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 865/2019 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 28/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 13/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott.

GIANNACCARI ROSSANA.

Fatto

RILEVATO

che:

– con atto notificato il 16.12.2015, I.N. citava in giudizio innanzi al Tribunale di Bergamo la società F.C. s.r.l. in liquidazione chiedendo la liquidazione dei compensi per l’attività professionale svolta, pari ad Euro 5.440.000,00, consistita nella realizzazione di una serie business plans;

– la società convenuta, medio tempore posta in concordato preventivo, contestava la fondatezza della pretesa e l’inopponibilità del credito alla massa dei creditori perchè il contratto non aveva data certa;

– la domanda veniva rigettata dal Tribunale;

– la sentenza di primo grado veniva confermata dalla Corte d’appello di Brescia con sentenza del 28.5.2019;

– la corte distrettuale rilevava che la sentenza di primo grado era fondata su tre distinte rationes decidendi, ciascuna di esse idonea a sostenere la decisione: 1) assenza di prova del conferimento dell’incarico per l’inattendibilità dei testimoni di parte attrice; 2) assenza di data certa della documentazione prodotta oltre che priva della sottoscrizione dei legali rappresentanti delle società, oltre alla circostanza che lo stesso attore aveva ammesso di aver smarrito la documentazione in modo non convincente; 3) carenza di prova del quantum;

– secondo la corte di merito, a fronte di tre distinte rationes decidendi, idonee autonomamente a sorreggere la decisione, l’appello censurava unicamente la prima ratio;

– per la cassazione della sentenza d’appello ha proposto ricorso I.N. sulla base di un unico motivo;

– ha resistito con controricorso la F.C. s.r.l. in liquidazione e concordato preventivo;

– il relatore ha formulato proposta di decisione, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., di manifesta infondatezza del ricorso;

– In prossimità dell’udienza le parti hanno depositato memorie illustrative.

Diritto

RITENUTO

che:

– la memoria ex art. 380 bis c.p.c di I.N. è inammissibile in quanto trasmessa via pec e non depositata in cancelleria, attesa la limitata operatività della disciplina del processo telematico nel giudizio di cassazione (da ultimo Cassazione civile sez. un., 04/03/2020, n. 6074 in tema di deposito del ricorso);

– con l’unico motivo di ricorso, si deduce, sotto la lettera a), la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2727 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, 3; nell’ambito dello stesso motivo, sotta la lettera b), si censura la sentenza impugnata per l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio; il ricorrente contesta che la corte territoriale non ha dato rilevanza alla deposizione del teste M., che avrebbe confermato il conferimento dell’incarico al professionista e la sua presenza ad una serie di incontri, anche a Londra, per la realizzazione dei business plan. La corte di merito avrebbe omesso di valutare le risultanze della prova testimoniale, decisiva per il giudizio, soffermandosi unicamente sull’esito della prova documentale;

– il motivo è inammissibile;

– il ricorso non coglie la ratio ratio decidendi, basata sul principio secondo cui, laddove la sentenza di primo grado pronunci sulla domanda in base ad una pluralità di autonome ragioni, ciascuna di per sè sufficiente a giustificare la decisione, la parte soccombente ha l’onere di censurare con l’atto d’appello ciascuna delle ragioni della decisione, non potendo il giudice d’appello estendere il suo esame a punti non prospettati dal gravame, senza violare il principio della corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato (Cassazione civile sez. VI, 03/03/2015, n. 4259);

– nel caso di specie, il ricorrente avrebbe dovuto dimostrare di aver appellato la sentenza di primo grado in relazione all’an ed al quantum debeatur, mentre il ricorso ha censurato la sentenza sotto il profilo della violazione dell’onere della prova della prova in ordine al conferimento dell’incarico al professionista;

– la sentenza di primo grado non è stata non è stata impugnata nè in relazione alla genuinità dei documenti ed alla loro opponibilità alla massa dei creditori, nè in relazione al quantum debeatur (pag.7-8 della sentenza impugnata);

– la natura della decisione esclude la configurabilità del vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che, in questa sede è dedotto non come omesso esame di un “fatto decisivo” per il giudizio, ma come rivalutazione delle risultanze istruttorie, non consentita in sede di legittimità (Cassazione civile sez. un., 07/04/2014, n. 8053);

– il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile;

– le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate in dispositivo;

– ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM


dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta Sezione Civile – 2 della Corte di cassazione, il 13 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2020

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