Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13895 del 22/05/2019

Cassazione civile sez. I, 22/05/2019, (ud. 10/04/2019, dep. 22/05/2019), n.13895

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 17940/2018 proposto da:

J.H., domiciliato in Roma, P.zza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’Avvocato Lorenzo Valenti giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso la sentenza n. 790/2018 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA del

19/3/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

10/4/2019 dal Cons. Dott. PAZZI ALBERTO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. J.H. impugnava la decisione emessa dalla Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Bologna – sezione di Forlì – Cesena, insistendo per la concessione della protezione internazionale.

In particolare il migrante riferiva di essersi allontanato dal Gambia a causa del comportamento dell’ex fidanzata la quale, pur dopo aver sposato suo zio, gli aveva comunque fatto delle avances e, vistasi rifiutata, era uscita di casa urlando che il giovane la stava violentando. J.H., a seguito di questo episodio, era riuscito a lasciare il paese, temendo che, in caso di rientro, gli sarebbe stata applicata la legge della sharia, secondo cui sarebbe stato sotterrato in un buco fino alla gola e picchiato fino a farlo morire.

Il Tribunale di Bologna, ritenute non credibili le dichiarazioni del richiedente asilo, rigettava la domanda di protezione in tutte le forme richieste.

2. A seguito del gravame proposto dal richiedente asilo la Corte d’appello di Bologna, con sentenza del 19 marzo 2018, condivideva la valutazione di non credibilità già espressa dal primo giudice, osservava che il Gambia non era interessato da una situazione di violenza indiscriminata tale da giustificare il riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), ed escludeva la sussistenza di una situazione di vulnerabilità sotto il profilo sia soggettivo che oggettivo.

3. Ricorre per cassazione avverso tale pronuncia J.H., affidandosi a sei motivi di impugnazione.

L’intimato Ministero dell’Interno non ha svolto alcuna difesa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4.1 Il primo motivo di ricorso denuncia l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in merito alle dichiarazioni fatte dal richiedente asilo, ritenute scarsamente plausibili benchè il migrante avesse compiuto ogni ragionevole sforzo per fornire chiarimenti.

4.2 Il secondo motivo lamenta l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione rispetto alle difformità tra il racconto fatto in Commissione e quello fatto davanti al Giudice e alle imprecisioni sulle date che la corte distrettuale aveva rilevato; in tesi di parte ricorrente non sussisterebbe alcuna reale differenza fra i due racconti e comunque tale difformità, di per sè, sarebbe insufficiente a formare il giudizio complessivo di credibilità.

4.3 Il terzo motivo di ricorso censura l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in relazione alla legge gambiana applicabile alla vicenda narrata, la violazione di legge rispetto all’onere di collaborazione del giudice nonchè l’omessa motivazione sui rischi connessi in caso di carcerazione: la Corte d’appello si sarebbe limitata a recepire i rilievi e le considerazioni della Commissione circa l’applicabilità al caso de quo della legge della Sharia senza verificare, in violazione del dovere di collaborazione posto a suo capo, che in caso di violenza sessuale trovava applicazione il Sexual Offence Act; ciò appurato, il giudice del merito avrebbe dovuto controllare le condizioni delle carceri in Gambia e l’eventualità che il richiedente asilo, in caso di rimpatrio, fosse sottoposto a trattamenti inumani e degradanti, dal momento che il Sexual Offence Act prevede pene non inferiori a dieci anni.

4.4 Il quarto motivo di ricorso prospetta l’inesistenza o l’insufficienza della motivazione in ordine al riconoscimento della protezione internazionale e dello status di rifugiato: la Corte territoriale avrebbe omesso qualunque pronuncia sul riconoscimento dello status di rifugiato perchè non richiesto, malgrado il Giudice dell’opposizione non sia vincolato ai motivi dedotti nel ricorso, ma debba pronunciarsi sulla fondatezza della domanda di protezione internazionale in base alle allegazioni del ricorrente e alle risultanze istruttorie acquisite anche d’ufficio all’esito del procedimento camerale.

4.5 Il quinto motivo di ricorso critica l’inesistenza o l’insufficienza della motivazione circa il riconoscimento della protezione sussidiaria, in violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, benchè il migrante, ove tornasse in patria, si troverebbe sicuramente esposto al rischio di subire torture o trattamenti inumani e degradanti.

4.6 Il sesto motivo di ricorso denuncia l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in punto di protezione umanitaria, non essendo a ciò sufficiente la constatazione che il viaggio lungo e penoso affrontato non pone il ricorrente in una situazione attuale di vulnerabilità.

5.1 I motivi di ricorso, il cui congiunto esame è reso opportuno dalla coincidente soluzione da attribuire agli stessi, risultano inammissibili.

Tutte le doglianze infatti si parametrano al vizio di motivazione che poteva essere dedotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, prima che il D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012, limitasse tale motivo di ricorso al solo omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti.

In seguito a questa riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (Cass. n. 23940/2017).

Le carenze motivazionali denunciate dal ricorrente non sono riconducibili nell’alveo del vizio di motivazione così rimodellato e risultano perciò inammissibili, parametrandosi a un canone di critica della decisione impugnata non più attuale.

5.2 La corte distrettuale, all’esito del giudizio di non credibilità, ha ritenuto che il richiedente asilo non fosse meritevole di qualsiasi forma di protezione.

A fronte di questi accertamenti – che rientrano nel giudizio di fatto demandato al giudice di merito – le doglianze in esame, sotto le spoglie della eccepita carenza di motivazione, tentano di introdurre un sindacato di fatto sull’esito della prova, fra l’altro tramite critiche rivolte all’ordinanza di primo grado piuttosto che alla sentenza di appello, e intendono così sollecitare, nella sostanza, una diversa lettura dei fatti di causa, traducendosi in un’inammissibile richiesta di rivisitazione del merito (Cass. 8758/2017).

5.3 Qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria personale nel paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (Cass. 16925/2018).

Non si presta quindi a censure la decisione impugnata, secondo quanto prospettato nel terzo motivo di ricorso, laddove osserva che la constatazione dell’inverosimiglianza del racconto del migrante esimeva il giudice dall’onere di cooperazione nell’acquisizione della prova.

5.4 La carenza assoluta di motivazione sul diritto al rifugio lamentata con il quinto motivo non corrisponde al contenuto della sentenza, che (a pag. 6) non solo esclude la fondatezza del timore del migrante di subire atti di persecuzione, ma rileva anche come il richiedente asilo non avesse neppure allegato il ricorrere di uno dei motivi di persecuzione previsti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8 (rilievo che fa corretta applicazione della giurisprudenza di questa Corte secondo cui la domanda diretta a ottenere il riconoscimento della protezione internazionale non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio; Cass. 27336/2018).

La doglianza non si correla con il contenuto della decisione impugnata ed esprime una critica priva di specifica attinenza al decisum della sentenza impugnata che è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4),.

6. In forza dei motivi sopra illustrati il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.

La mancata costituzione in questa sede dell’amministrazione intimata esime il collegio dal provvedere alla regolazione delle spese di lite.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 10 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2019

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