Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13890 del 22/05/2019

Cassazione civile sez. I, 22/05/2019, (ud. 13/03/2019, dep. 22/05/2019), n.13890

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21025/2018 proposto da:

T.S., elettivamente domiciliato in Roma, Via Giuseppe Marcora

n. 18/20, presso lo studio dell’avvocato Faggiani Guido,

rappresentato e difeso dall’avvocato Dalla Bona Roberto, giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in Roma, Via Dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

contro

Commissione Territoriale per il Riconoscimento Della Protezione

Internazionale Milano;

– intimata –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, del 31/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13/03/2019 dal Cons.Dott. AMATORE ROBERTO.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con il decreto impugnato il Tribunale di Milano – decidendo sulla opposizione avanzata da T.S. (cittadino della (OMISSIS)) al provvedimento di diniego emesso dalla Commissione Terroriale in riferimento alla domanda di protezione internazionale ed umanitaria avanzata dal ricorrente – ha rigettato le domande di protezione del ricorrente.

Il tribunale ha ritenuto non credibile intrinsecamente il racconto della vicenda personale e delle ragioni sottostanti alla scelta di espatriare dalla Costa d’Avorio da parte del richiedente asilo. Quest’ultimo – precisa il tribunale – aveva raccontato di essere orfano di entrambi i genitori e di aver deciso di lasciare il paese di origine dopo che lo zio paterno aveva ucciso il padre ed lo aveva aggredito, in seguito ad una faida familiare derivante dalla spartizione dei terreni da coltivare e che la decisione di fuggire era stata altresì rafforzata dal fatto che lo zio era entrato a far parte di una banda di ribelli al governo allora in carica. Il tribunale ha dunque ritenuto non fondata la domanda volta al riconoscimento dello status di rifugiato, non ricorrendone i presupposti di legge, e ha, altresì, rilevato la mancanza delle condizioni per riconoscere la protezione sussidiaria. Sotto quest’ultimo profilo, il giudice del merito hanno ritento che, sebbene la Costa d’Avorio sia stata scossa da una eschlation di combattimenti tra forze leali al nuovo presidente Q. e quelle fedeli al precedente G., la situazione socio-politica del paese era andata man mano normalizzandosi anche grazie alle missioni di peacekeeping delle N. . e che, pertanto, non era attuale il pericolo di un conflitto armato generalizzato. Il tribunale ha infine rilevato la mancanza dei presupposti per il riconoscimento della richiesta protezione umanitaria, in assenza di un’accertata situazione di particolare vulnerabilità del richiedente.

2. Il decreto, pubblicato il 31.5.2018, è stata impugnata da T.S. con ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, cui il Ministero dell’Interno ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1.2 Con i primi due motivi la parte ricorrente, lamentando, ai sensi degli artt. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, la violazione di svariate norme di natura processuale e sostanziale, si duole della trattazione della domanda di protezione umanitaria con il rito camerale, previsto espressamente per la trattazione delle domande di protezione internazionale e, dunque, dell’irritualità del procedimento adottato che avrebbe invece dovuto obbedire, in virtù dei principi dettati dall’art. 40 c.p.c., alle regole del rito ordinario.

3. Con il terzo motivo si articola vizio di violazione di legge in riferimento al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, della direttiva 2004/83/CE e del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3. Osserva il ricorrente che la motivazione impugnata era erronea perchè fondava il convincimento posto alla base del provvedimento di diniego della richiesta protezione internazionale sulla sola considerazione della non credibilità soggettiva del richiedente, senza attivare i necessari poteri istruttori officiosi per la verifica in concreto delle condizioni socio-politiche del paese di provenienza del richiedente.

4. Con il quarto motivo si declina vizio di violazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c, alla Direttiva 2004/83/CE, in riferimento alla reclamata protezione sussidiaria.

5. Con il quinto motivo si articola vizio di violazione di legge sempre in relazione alla violazione della Direttiva 2004/83/CE, e dell’art. 2 Cost. ed art. 8 CEDU, in relazione alla protezione umanitaria.

6. Il ricorso è infondato e va pertanto rigettato.

6.1.2 I primi due motivi di doglianza di carattere processuale sono infondati. Orbene, va ricordato che il rito camerale ex artt. 737 c.p.c. e segg., si applica, invero, a tutta la materia delle controversie internazionali riguardanti gli immigrati (cfr. anche, Cass. 17717/2018).

6.3 n terzo motivo è, invece, inammissibile.

La valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce, invero, un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito. Per contro, poichè il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, mentre l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità, il giudizio di fatto circa la credibilità del ricorrente non può essere censurato sub specie della violazione di legge (Cass., 05/02/2019, n. 3340). Nella specie, è evidente come il ricorrente denunci la violazione di norme di legge relative alla valutazione della credibilità del richiedente protezione internazionale, attraverso il richiamo alle disposizioni disattese e fornendo – inammissibilmente in questa sede – una ricostruzione della fattispecie concreta difforme da quella accertata dal Tribunale, che ha accertato in fatto che il racconto del ricorrente è poco circostanziato, generico ed inverosimile, per le ragioni ampiamente illustrate in motivazione. Il che esclude anche la necessità per il Tribunale di operare accertamenti officiosi, peraltro comunque svolti, come si dirà, in ordine alla situazione socio-politica della Costa d’Avorio. Ed infatti, l’accertamento del giudice di merito deve innanzi tutto avere ad oggetto la credibilità soggettiva della versione del richiedente circa l’esposizione a rischio grave alla vita o alla persona. Qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine, salvo che – ipotesi neppure allegata nella specie – la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (Cass., 27/06/2018, n. 16925; Cass., 12/11/2018, n. 28862).

6.4 Il quarto motivo è, in parte, inammissibile e, in altra parte, infondato. E’ evidente che i presupposti di cui all’art. 14, lett. a) e b) (condanna a morte e tortura) sono esclusi per effetto della non credibilità del richiedente. Quanto al riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, va rappresentata dal ricorrente come minaccia grave e individuale alla sua vita, sia pure in rapporto alla situazione generale del paese di origine, ed il relativo accertamento costituisce apprezzamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito non censurabile in sede di legittimità (Cass., 12/12/2018, n. 32064).

Nel caso concreto, il Tribunale ha accertato – mediante il ricorso a fonti internazionali aggiornate – la insussistenza di una situazione di violenza indiscriminata nella Costa d’Avorio, paese di provenienza del ricorrente, ed il mezzo ripropone questioni di merito, peraltro in modo del tutto astratto e generico.

6.5 IL quinto motivo è infondato.

Ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria – secondo la disciplina previgente, applicabile ratione temporis (Cass. 4890/2019) – è evidente che l’attendibilità della narrazione dei fatti che hanno indotto lo straniero a lasciare il proprio paese svolge un ruolo rilevante, atteso che ai fini di valutare se il richiedente abbia subito nel paese d’origine una effettiva e significativa compromissione dei diritti fondamentali inviolabili, pur partendo dalla situazione oggettiva del paese d’origine, questa deve essere necessariamente correlata alla condizione personale che ha determinato la ragione della partenza, secondo le allegazioni del richiedente (Cass. 4455/2018), la cui attendibilità soltanto consente l’attivazione dei poteri officiosi. Il che è stato escluso, nel caso di specie, per i motivi suesposti. Complessivamente il ricorso va dunque rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da separato dispositivo.

Non è dovuto il pagamento del doppio contributo stante l’ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore del contro ricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 2.100 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 13 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2019

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