Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1389 del 22/01/2020

Cassazione civile sez. lav., 22/01/2020, (ud. 19/09/2019, dep. 22/01/2020), n.1389

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

Dott. PICCONE Valeria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26559/2015 proposto da:

SQUINZANESE SOCIETA’ COOPERATIVA AGRICOLA S.C.R.L., in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA ALESSANDRIA 88, presso lo studio dell’avvocato ALESSIA DI

COLA, rappresentata e difesa dall’avvocato GIOVANNI CRETI’;

– ricorrente –

contro

M.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COSSERIA 2,

presso lo studio dell’avvocato ALFREDO PLACIDI, rappresentato e

difeso dall’avvocato ANDREA MEMMO;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 2000/2015 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 05/08/2015, R.G.N. 1267/2012.

Fatto

RILEVATO

che:

1. il Tribunale di Lecce dichiarava l’improcedibilità della domanda proposta da M.S. relativa al riconoscimento di mansioni superiori espletate dal predetto dalla data di assunzione al 31.3.1981 presso la società Cooperativa Agricola Squinzanese e dichiarava la prescrizione dei crediti azionati in relazione al periodo ultraquinquennale antecedente la notifica del ricorso;

2. con sentenza non definitiva del 15.7.2014, la Corte d’appello di Lecce, rigettato il gravame incidentale della società, accoglieva quello principale del M. per quanto di ragione, accertando la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze della Cooperativa appellata dal 15.11.1973 al 30.6.2004, con mansioni, dall’inizio dello stesso al 15.5.1981, di impiegato di concetto di seconda categoria e, a partire dal 16.5.1981, con mansioni di impiegato di concetto di prima categoria secondo il c.c.n.l. di riferimento, con orario lavorativo medio per tre mesi all’anno dalle 6,00 alle 13,00 e dalle 14,00 alle 21,00 dal lunedì al sabato e la domenica dalle 8,00 alle 13,00, e normale orario lavorativo negli altri mesi. Dichiarava il diritto del M. alle relative differenze retributive ed allo straordinario, detratte lire 3.000.000 all’anno per tre anni, condannando la Cooperativa al pagamento, in favore del predetto, della somma dovuta, oltre accessori come per legge, somma la cui determinazione era demandata alla c.t.u. disposta con contestuale ordinanza, con dichiarazione di prescrizione dei crediti risalenti a più di un quinquennio rispetto alla data del 30.3.2005;

2.1. la Corte territoriale rilevava che la istanza di conciliazione del 17.11.2006 fosse sufficientemente determinata con riguardo alla richiesta di differenze retributive per mansioni superiori alla qualifica di inquadramento svolte dalla data di assunzione al 31.3.1981 e che l’art. 410 c.p.c., non prevedeva che vi fosse piena corrispondenza tra il contenuto della comunicazione per il tentativo di conciliazione ed il contenuto della domanda giudiziale, sicchè la domanda doveva considerarsi procedibile in ordine al periodo intercorrente tra l’assunzione del 15.11.1973 sino al 31.3.1981;

2.2. quanto alla prescrizione dei crediti relativi al periodo ultraquinquennale antecedente la notifica del ricorso introduttivo, premesso che doveva condividersi la valutazione del Tribunale quanto alla natura agricola dell’impresa cooperativa, la Corte del merito riteneva che il requisito occupazionale, ai fini della decorrenza dei crediti maturati in corso di rapporto – ritenuta dal Tribunale -, andasse accertato sulla base del criterio della normale occupazione e che il riferimento al criterio medio statistico, in ipotesi di ricorso al contratto a termine o al part time verticale, consentiva di pervenire alla conclusione che la Cooperativa aveva avuto alle dipendenze in media più di cinque dipendenti, considerata la notevole rilevanza delle dimensioni dell’azienda e che in conseguenza il posto di lavoro era garantito da stabilità reale, con decorrenza dei termini prescrizionali in costanza di rapporto. Gli atti interruttivi richiamati dal M. non avevano una tale valenza, laddove poteva essere considerata utile ai detti fini la ricezione della istanza di conciliazione, che interrompeva la prescrizione sospendendone il decorso del termine;

2.3. in ordine all’inquadramento del M., la Corte, alla stregua degli elementi confermati dai testi escussi, perveniva alle conclusioni sopra indicate, con distinzione delle qualifiche per i successivi periodi e determinazione dell’orario di lavoro svolto;

2.4. veniva, invece, respinto l’appello incidentale della società teso ad ottenere la detrazione di voci opposte in compensazione rispetto alle quali non vi era stata alcuna contestazione circa la relativa spettanza, con la conseguenza che i relativi compensi andavano considerati come ormai facenti parte del patrimonio del lavoratore e non più recuperabili;

3. con sentenza definitiva del 5.8.2015, la Corte di Lecce condannava la Cooperativa al pagamento di Euro 38.364,46, oltre accessori di legge;

4. di tali decisioni domanda la cassazione la società cooperativa con ricorso principale, affidato a quattro motivi, cui resiste, con controricorso il M., che propone ricorso incidentale, fondato su unico motivo.

Diritto

CONSIDERATO

che:

RICORSO PRINCIPALE.

1. Con il primo motivo, la società denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 410 – 412 bis c.p.c., ante riforma del 2010, ex lege n. 183, in tema di obbligatorietà del tentativo di conciliazione, assumendo che l’istanza proposta dal M. a seguito della sospensione del giudizio pendente, ex art. 412 bis c.p.c., proprio per l’omissione iniziale del tentativo obbligatorio di conciliazione, non conteneva alcun riferimento alla questione del demansionamento, ovvero del difetto di inquadramento rispetto alle effettive mansioni ricoperte dal dipendente;

2. con il secondo motivo, la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione del contratto collettivo nazionale di lavoro di settore con riguardo all’inquadramento del M. in dipendenza delle mansioni effettivamente svolte, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. adduce che la valutazione delle risultanze istruttorie avrebbe dovuto indurre la Corte a non discostarsi dalla decisione di primo grado, non essendo risultata provata la sussistenza delle peculiari caratteristiche del livello superiore reclamato, ossia i poteri propri del Dirigente, in quanto le mansioni svolte erano risultate compatibili con il livello di impiegato di concetto assegnato al lavoratore;

3. con il terzo motivo, si ascrive alla decisione impugnata omesso esame circa fatti decisivi del giudizio che sono stati oggetto di discussione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, contestandosi la motivazione di rigetto dell’appello incidentale in relazione alla irripetibilità di somme entrate nel patrimonio del lavoratore ed asseritamente non dovute ed il diniego di rinnovo della consulenza tecnica d’ufficio in relazione alla dedotta mancata considerazione degli importi corrisposti al lavoratore;

4. il quarto motivo attiene alla dedotta violazione e falsa applicazione del disposto dell’art. 92 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, quanto alla disposta condanna alle spese della società;

5. la censura articolata con il primo motivo pecca di specificità, perchè non viene trascritto il testo dell’istanza per il tentativo di conciliazione ed, in ogni caso, la questione involge questioni interpretative della stessa che non sono poste nel presente ricorso nei termini idonei a rendere possibile il vaglio di legittimità sollecitato;

5.1. diversa è, poi, la questione della proponibilità della domanda in materia agraria ex L. n. 203 del 1982, art. 46, comma 1 (cfr., da ultimo Cass. 16281/19), sicchè ogni analogia risulta inconferente ai fini considerati, a prescindere dalle affermazioni contenute nella decisione impugnata, che non incidono sulla ratio decidendi;

6. inammissibile è anche la doglianza espressa con il secondo motivo, in quanto, in primo luogo, non si riporta il contenuto delle declaratorie contrattuali, anche qui peccandosi per mancanza di specificità del motivo, e peraltro, l’esame compiuto dal giudice di secondo grado si sottrae alle censure che gli sono state mosse con il motivo in esame, atteso che: a) la Corte ha valutato concretamente e in maniera compiuta le attività svolte dal lavoratore; b) ha fatto espresso riferimento alle declaratorie contrattuali delle categorie a confronto, già oggetto di richiamo da parte del Tribunale nella sentenza oggetto di gravame; c) ha dimostrato di avere ben presenti i tratti differenziali che distinguono le qualifiche ed i livelli rispetto alla categoria impiegatizia di concetto di seconda categoria nel primo periodo e di prima categoria nel secondo;

6.1. la Corte territoriale ha posto in rilievo, con motivazione adeguata ed esente da vizi logici, l’insieme dei caratteri idonei a giustificare l’inquadramento superiore, in particolare richiamando i tratti di elevata responsabilità professionale caratterizzante l’appartenenza al livello impiegatizio di prima categoria, rilevando non solo il potere di controfirma degli atti (rispetto alla cui contestazione non è trascritto il contenuto del verbale della deliberazione del C.d.A. del 12.4.1990, pure richiamato), quanto a “ulteriori poteri e responsabilità circa l'”assunzione e gestione di manodopera, predisposizione dei turni di lavorazione, gestione e vendita dei titoli di stato per conto della Cooperativa”;

6.2. al cospetto di tale esaustivo quadro ricostruttivo, la doglianza non è idonea a scalfire l’esito dell’esame correttamente eseguito dalla Corte del merito;

7. va disatteso anche il terzo motivo del ricorso principale, dovendo essere ribadita l’inconfigurabilità della denunciata omissione di esame di alcun fatto storico, tanto meno decisivo, per la pluralità di fatti censurati (di palese negazione ex se del requisito di decisività: Cass. 5 luglio 2016, n. 13676; Cass. 28 maggio 2018, n. 13625), al di fuori del paradigma devolutivo e deduttivo del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498; Cass. 26 giugno 2015, n. 13189; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439), avendo la doglianza piuttosto il carattere di una (inammissibile) contestazione della valutazione probatoria della Corte di merito (cfr. Cass. 13568/2018);

7.1. non si trascrivono, poi, neanche i passaggi della relazione della CTU su cui si incentra la censura e quelli relativi alle contestazioni mosse alla stessa, non consentendosi a questa Corte di valutare i termini del dissenso, che peraltro rifluisce in critiche di puro merito;

8. infine, quanto all’ultima critica rivolta con il ricorso principale, non risultano disattesi i principi in materia di regolazione delle spese di lite: ed invero, ai fini della compensazione totale delle spese processuali non è sufficiente nè la mancata opposizione alla domanda da parte del convenuto nè la mera riduzione della domanda operata dal giudice in sede decisoria, permanendo comunque la sostanziale soccombenza della controparte che dev’essere adeguatamente riconosciuta sotto il profilo della suddivisione del carico delle spese (cfr. Cass. 23.1.2012 n. 901);

9. quanto all’inibitoria richiesta nel ricorso principale, con riguardo alla sospensione dell’esecuzione della sentenza d’appello impugnata è sufficiente rilevarne l’inammissibilità della richiesta, posto che l’art. 373, comma 1, 2 parte, prevede che “il giudice che ha pronunciato; la sentenza impugnata può, su istanza di parte e qualora dall’esecuzione possa derivare grave ed irreparabile danno, disporre con ordinanza non impugnabile, che l’esecuzione sia sospesa o che sia prestata congrua cauzione”;

RICORSO INCIDENTALE:

10. si assume la violazione e/o falsa applicazione art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, in relazione al requisito dimensionale prescritto per la tutela reale, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, rilevandosi l’erroneità del calcolo dei dipendenti riferito alla media di cinque lavoratori nell’arco di ciascun anno;

11. il motivo è infondato;

11.1. la Corte ha ritenuto la computabilità dei lavoratori assunti a termine, ma ha fatto riferimento alla specifica fattispecie esaminata, caratterizzata dalla variabilità del numero di assunzioni a termine, in consonanza con l’insegnamento giurisprudenziale di legittimità secondo cui la decisione sulla consistenza del livello occupazionale è frutto di una valutazione di fatto, di esclusiva competenza del Giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità se basata su una motivazione congrua e priva di vizi logici (così Cass. 8 maggio 2001 n. 6421 richiamata da Cass. 5.10.2006 n. 21407, Cass. 14.12.2010 n. 25249, Cass. 10.2.2004 n. 2546). Il calcolo della media annuale non risulta fondato sullo stretto computo matematico indicato in ricorso (1 dipendente a tempo indeterminato (ricorrente) x 12 mesi + 5 operai x 7 mesi + 1 impiegato amministrativo x 7 mesi: 12 = 4,5), ma si basa anche sulla considerazione della dimensione dell’azienda che rendeva necessaria la presenza durante la campagna olearia di un certo numero di dipendenti;

11.2. in definitiva, il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte di cassazione, essendo stato il fatto idoneamente scandagliato e rivelandosi corretto il il principio di diritto applicato;

12. vanno, per quanto detto, respinti entrambi i ricorsi;

13. le spese del giudizio di legittimità vanno compensate, avuto riguardo alla reciproca soccombenza;

14. ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e di quello incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta entrambi i ricorsi e compensa tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma dell’art. 13, comma 1 bis, del citato D.P.R., ove dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 19 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2020

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