Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13888 del 06/07/2020

Cassazione civile sez. III, 06/07/2020, (ud. 19/02/2020, dep. 06/07/2020), n.13888

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2698-2018 proposto da:

C.N., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COLA DI RIENZO

28, presso lo studio dell’avvocato RICCARDO BOLOGNESI, rappresentato

e difeso dall’avvocato PAOLO BARONE;

– ricorrente –

contro

P.A., elettivamente domiciliato in ROMA, V.LE DELLE

MILIZIE 38, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE APRILE,

rappresentato e difeso dall’avvocato PROSPERO PIZZOLLA;

– controricorrente –

e contro

P.G., PA.GI., M.E.R.M.,

D.C.B.M.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 4119/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 12/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19/02/2020 dal Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI.

Fatto

RILEVATO

che:

C.N. depositava al Tribunale di Napoli il 3 maggio 2011 ricorso ex art. 702 bis c.p.c., in cui esponeva di essere stato conduttore di un immobile adibito a bar/pasticceria e di avere il 9 novembre 1989 stipulato con D.C.B.M. – locatrice che ne era anche proprietaria – contratto preliminare di compravendita per Lire 197.500.000, di cui aveva pagato dapprima Lire 23.000.000 come caparra confirmatoria, e poi come acconto Lire 25.400.000. Non avendo rinvenuto banche o società finanziarie che gli concedessero un mutuo per pagare il residuo prezzo, si rivolgeva a tale P.A., indicatogli da conoscenti, il quale gli si dimostrava disponibile a corrispondergli il denaro per il prezzo residuo e per le spese notarili. Il 2 maggio 1990, però, nello studio del notaio per la conclusione del contratto di compravendita, il P., sempre secondo la narrazione del ricorrente, pretendeva di intestarsi l’immobile, al contempo concordando con il mutuatario che glielo avrebbe trasferito in proprietà al momento della estinzione del debito, che avrebbe dovuto scontare sui canoni del contratto locatizio, il quale sarebbe proseguito. Il ricorrente veniva in seguito sfrattato dall’immobile per morosità e il 15 marzo 1999 il P. e altri due coimputati venivano condannati per i reati d’usura e associazione a delinquere; ma frattanto, il 4 ottobre 1995, il ricorrente era stato dichiarato fallito. Mentre il processo penale già pendeva, il P. donava ai figli G. e Pa.Gi. la nuda proprietà dello stesso immobile, mantenendo l’usufrutto vita natural durante per sè e per la moglie M.E.R.M..

Illustrata così la vicenda, il ricorrente sosteneva che era stato stipulato tra lui e P.A. un mutuo usurario, che era stato garantito con patto commissorio mediante l’interposizione reale di persona – il P., appunto – nel contratto di compravendita; in subordine, prospettava l’interposizione fittizia del P. nello stesso contratto di compravendita. Sulla base di ciò proponeva varie domande, ovvero chiedeva:

A) che fosse dichiarato nullo per causa illecita il mutuo usurario;

B) che fosse accertata l’esistenza di patto commissorio a garanzia del mutuo, e che tale patto fosse dichiarato nullo ex art. 2744 c.c.;

C) che fosse accertata l’interposizione reale del P. nella compravendita dell’immobile;

D) che, una volta accertato il pagamento da parte del ricorrente, dopo la conclusione del contratto di compravendita tra il P. e la D.C., di 300 milioni di Lire (Euro 154.937,07) come accertato in sede penale – e accertata pure la restituzione da parte del ricorrente al P. del saldo prezzo della compravendita (155 milioni di Lire, cioè Euro 80.050,82), fosse dichiarata nulla la “cessione de facto del preliminare di vendita” e conseguentemente E) che fosse pronunciata, una volta dichiarato il P. inadempiente dell’obbligo di trasferire l’immobile al ricorrente nonchè dichiarato il diritto di proprietà di quest’ultimo sull’immobile e il connesso suo diritto alla esecuzione in forma specifica, sentenza ex art. 2932 c.c.;

F) in subordine e in alternativa, che fosse dichiarata, fermi i fatti costitutivi e le conclusioni sub A. B e D, interposizione fittizia (recte, simulazione relativa) e conseguentemente;

G) che fosse dichiarata nulla la compravendita quanto al vincolo del P.;

H) che fosse dichiarato il diritto di proprietà dell’immobile in capo al ricorrente;

I) che fosse accertata la simulazione assoluta della donazione della nuda proprietà dell’immobile concessa dal P. ai figli;

L) che fosse pronunciata condanna generica al risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non patrimoniali, nei confronti di tutti i convenuti.

Notificato poi il ricorso-decreto il 21 luglio 2011 ad P.A., P.G., Pa.Gi. e a M.E.R.M., si costituiva P.A., resistendo; il giudice istruttore in seguito integrava il contraddittorio nei confronti della D.C., che pure si costituiva resistendo.

Con ordinanza definitiva del 17 aprile 2012 il Tribunale dichiarava nullo il contratto di mutuo per causa illecita e rigettava ogni altra domanda.

Avendo il C. proposto appello principale e P.A. appello incidentale, ed essendosi costituita resistendo la D.C., la Corte d’appello di Napoli, con sentenza del 12 ottobre 2017, rigettava gli appelli, peraltro correggendo la motivazione della prima pronuncia.

Il C. ha proposto ricorso, da cui si è difeso con controricorso P.A.. Entrambi hanno depositato memoria.

Il Procuratore Generale ha concluso per il rigetto del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Premesso che nella sua memoria il ricorrente ha chiesto che la causa sia trattata in pubblica udienza, istanza non accoglibile in quanto non sussistono in essa particolari rilievi nomofilattici, si rileva che il ricorso si articola in due motivi.

1.1 Il primo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, erronea interpretazione e falsa applicazione dell’art. 1350 c.c., n. 1 e art. 1351 c.c., nonchè omessa applicazione degli artt. 1703,1705 e 1706 c.c., pertanto violati, e dell’art. 2932 c.c.

Pur confermando la nullità del mutuo usurario e pur riconoscendo (a differenza del Tribunale, che l’aveva negata) la sussistenza del patto commissorio, il giudice d’appello, seguendo un orientamento che sarebbe risalente e soltanto maggioritario, ha negato di poter emettere sentenza ai sensi dell’art. 2932 c.c., ritenendo necessaria forma scritta ex art. 1351 c.c. per ogni ipotesi contrattuale, come quella in esame, “da cui derivi per le parti l’obbligo di prestare un futuro consenso al fine di realizzare un trasferimento immobiliare”. Peraltro gli stessi arresti di legittimità citati dalla corte territoriale (Cass. 4118/1990, Cass. 1787/1981 e Cass. 2130/1964) la necessità della forma scritta ad substantiam, nei casi da essi esaminati, l’avrebbero affermata soltanto per negare la possibilità di dimostrare l’accordo di interposizione e la conseguente obbligazione di trasferimento del bene con un mezzo diverso dalla prova scritta, ma non per negare l’esistenza dell’accordo, che nel caso in questa sede discusso sarebbe già stata provata nella sua “peculiarissima” fattispecie criminosa.

Richiama poi il motivo giurisprudenza più recente di questa Suprema Corte (Cass. 20051/2013, Cass. 10633/2014, Cass. 22989/2015 e Cass. 21805/2016) per escludere l’obbligatorietà della forma scritta nella fattispecie in esame, per la quale invece la Corte d’appello avrebbe sviluppato una interpretazione formalistica, ostativa di una soluzione “di sostanziale giustizia”, quanto alla interpretazione degli artt. 1350 e 1351 c.c., che nei suddetti arresti più recenti sarebbero stati interpretati in modo differente in “omologhe ipotesi” di interposizione (ovvero contratti di mandato senza rappresentanza e patto fiduciario tra coniugi poi separatisi).

In questa “atipicissima fattispecie”, in luogo di scritture o di dichiarazioni unilaterali posteriori al patto interpositorio, sarebbe comunque sufficiente “il documentato contenuto” della sentenza penale divenuta definitiva. Negare a tale sentenza valore documentale almeno pari a quello di una posteriore dichiarazione scritta del mandatario o del fiduciario, come attribuito dalla giurisprudenza di legittimità più recente, significherebbe premiare chi ha commesso un reato profittando di uno stato di bisogno altrui. D’altronde, come avrebbe riconosciuto l’invocata Cass. 20051/2013, ratio degli artt. 1350 e 1351 c.c. è la necessità di responsabilizzare il consenso delle parti e di attribuire certezza all’atto negoziale. Incomprensibile quindi sarebbe far valere la mancanza di forma scritta nella “peculiarissima ipotesi” in cui P.A., “impostosi mandatario e fiduciario”, avrebbe rifiutato di “sottoscrivere l’accordo interpositorio” per non lasciar tracce del suo reato, e anche proprio per “creare volute incertezze sull’esistenza dell’atto”.

Al limite, non sarebbe “audace” ritenere incostituzionali gli artt. 1350 e 1351 c.c. in tali casi “ad elevata illiceità penale”, onde, in subordine, si chiede di sollevare questione di legittimità costituzionale.

1.2 Il secondo motivo denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 1414 c.c., n. 1 (sic) e art. 1417 c.c. nonchè degli artt. 2725 e 2727 c.c., e pure, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, motivazione apparente in ordine alla “domanda di simulazione assoluta” (sic) della donazione da parte di P.A. della nuda proprietà dell’immobile ai figli, con conseguente nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 1 (sic), n. 4.

il giudice d’appello afferma che “la sola volontà di pregiudicare le ragioni dei propri creditori” non è sufficiente, in difetto di altri elementi indiziari, a provare la fittizietà della donazione di P.A. ai figli. In seguito, con motivazione apparente, afferma pure che l’usufrutto vita natural durante lasciato ai genitori connota la donazione “come forma di anticipazione degli effetti della futura successione, al fine di garantire ai discendenti (anche in danno dei creditori del donante) un adeguato patrimonio immobiliare”.

Una siffatta motivazione dimostrerebbe un approccio deficitario, e sarebbe incomprensibile il particolare disfavore nei confronti dell’utilizzo dell’accertamento presuntivo. La donazione di P.A. ai figli sarebbe chiaramente simulata, e non solo perchè riguarda unicamente la nuda proprietà, mantenendo l’usufrutto vita natural durante ai genitori dei donatari, ma pure perchè disposta durante la pendenza del processo penale per usura a carico di P.A.. Così avrebbe ritenuto in un caso analogo la stessa corte territoriale napoletana, con una sentenza – la n. 1639/1993 – poi confermata da Cass. 1657/1996.

Una volta accertato che il contratto di vendita con patto di riscatto o retrovendita era stato stipulato per eludere l’art. 2744 c.c. e quindi era un contratto in frode alla legge (art. 1344 c.c.) con causa illecita (art. 1343 c.c.), la nullità del contratto e degli atti “collegati e conseguenti” a esso varrebbe erga omnes. L’illiceità della causa renderebbe poi irrilevanti i “motivi” – come la precostituzione di una provvista immobiliare per i figli in frode ai creditori e le singole posizioni soggettive. E quanto sostenuto sarebbe stato d’altronde confermato dalla disposizione di sequestro penale sull’immobile.

3. Va premesso che il secondo motivo è ontologicamente subordinato alla fondatezza del motivo precedente, poichè solo in tal caso l’attuale ricorrente ne avrebbe interesse.

Per ben comprendere, allora, il motivo fondamentale, ovvero il primo, è necessario ricostruire viste le divergenze motivazionali e anche considerate le ambiguità o addirittura contraddittorietà presenti nella motivazione della sentenza d’appello, come infra si dovrà evidenziare – il thema decidendum, e in particolare effettuare una esatta sussunzione giuridica dei fatti di causa.

3.1 Il giudice di prime cure dichiarava nullo per illiceità della causa il contratto di mutuo che, a suo avviso, sarebbe stato stipulato dal C. con P.A., rigettando ogni altra domanda attorea, e in particolare negando l’esistenza di un patto commissorio in quanto il ricorrente non era mai stato proprietario dell’immobile, e la D.C. non lo aveva mai concesso in garanzia al P. (il primo giudice si riferiva chiaramente al fatto che la venditrice non ha mai concesso di ipotecare il P. per porre in essere il necessario presupposto della fattispecie di cui all’art. 2744 c.c.).

Riteneva inoltre il Tribunale che dalla stessa narrazione attorea emergesse l’esclusione della interposizione fittizia, dato che P.A. era divenuto reale proprietario dell’immobile. Constatava poi il Tribunale l’assenza di qualunque accordo dotato di forma scritta che potesse fondare l’applicazione dell’art. 2932 c.c.

Negava, infine (il che concerne il secondo motivo, onde qui si rileva per mera completezza nella descrizione del contenuto della decisione di primo grado), che fosse stata provata la simulazione della donazione.

3.2 A fronte di appello principale del C. e appello incidentale di P.A., la corte territoriale ha ritenuto di dover correggere/modificare la motivazione della pronuncia del Tribunale, e ciò per giungere a rigettare entrambi i gravami.

Il giudice d’appello reputa che vi sia stato un patto commissorio, e argomenta in tal senso con una motivazione “sparsa” tra i passi con cui confuta l’appello incidentale e quelli in cui disattende l’appello principale. In particolare, afferma che vi sarebbe stata interposizione reale della compravendita dell’immobile (si veda a pagina 9 della sentenza impugnata) e che vi sarebbe stato un mutuo verbale stipulato tra l’attuale ricorrente e P.A., mutuo che non avrebbe però fatto insorgere in capo al primo alcun obbligo di restituzione, in quanto il mutuatario materialmente non avrebbe mai ricevuto la somma prestata. Così infatti si esprime la corte territoriale laddove confuta l’appello incidentale censurante la dichiarazione del Tribunale di nullità del contratto di mutuo adducendo che la nullità investiva soltanto le clausole relative agli interessi (pagine 8-9 della sentenza impugnata):

“In primo luogo, deve precisarsi che la previsione di interessi usurari in favore del mutuante non implica la nullità del contratto di mutuo ma soltanto della clausola relativa agli interessi, come previsto dall’art. 1815 c.c., comma 2… A ben vedere, però, il mutuo stipulato verbalmente tra il C. e il P. non ha fatto sorgere, in capo al C., alcun obbligo di restituzione, neppure del capitale, poichè alcuna somma di denaro è stata effettivamente consegnata al mutuatario, dal momento che l’importo del prestito è stato destinato all’acquisto immobiliare da parte dello stesso P….”.

Peraltro in seguito (a pagina 10 della sentenza), a proposito dell’appello principale, la corte territoriale asserisce che l’acquisto dell’immobile da parte del P. “ha realizzato la funzione di garanzia tipica del patto commissorio”, e ciò in riferimento all’obbligazione del mutuatario a pagare il dovuto:

“In sostanza, l’acquisto degli immobili da parte del P. ha realizzato la funzione di garanzia tipica del patto commissorio nel senso che la proprietà degli stessi è stata attribuita al mutuante P. quale forma di garanzia del pagamento, da parte del mutuatario, della somma richiesta dal mutuante a condizioni usurarie. Infatti, ove si escluda tale funzione di garanzia, nella sostanza assimilabile a un patto commissorio, neppure sarebbe configurabile l’esistenza di un mutuo usurario, atteso che la somma mutuata, anzichè essere utilizzata dal C., è stata versata alla inconsapevole parte venditrice per un trasferimento immobiliare in favore del mutuante P…. per assicurarsi, con la proprietà dei cespiti, la garanzia tipica del patto commissorio”.

Da ciò deriverebbe, sempre secondo la corte territoriale, la sussistenza di due accordi funzionalmente collegati e reciprocamente interdipendenti, cioè un mutuo e un patto di garanzia; ed essendo il patto di garanzia nullo ex art. 2744 c.c., sarebbe pertanto nullo, in forza di tale intrinseco legame, anche il mutuo (si vedano le pagine 9s. della sentenza impugnata). Così sarebbe nullo tutto il mutuo – che la corte territoriale alla fin fine riconosce sussistente – e non soltanto la clausola sugli interessi: il che consente al giudice di secondo grado di tener ferma la pronuncia di primo grado sulla radicale nullità del contratto di mutuo, con conseguente rigetto dell’appello incidentale (v. pagina 9 della sentenza impugnata).

3.3 E’ alquanto evidente che la ricostruzione del giudice d’appello non regge a un’analisi, prima ancora che giuridica, logica, in quanto è intessuta in modo contraddittorio.

Dapprima, infatti, la corte territoriale afferma che il mutuo verbale “non ha fatto sorgere in capo al C. alcun obbligo di restituzione” perchè non gli è stata effettivamente consegnata “alcuna somma di denaro”. Però poco dopo afferma che le parti hanno stipulato due accordi reciprocamente interdipendenti per cui l’interposizione reale nella compravendita dell’immobile ha fatto sì che quest’ultima costituisca in realtà un patto di garanzia per la restituzione del denaro mutuato. Quale restituzione, allora, non si comprende.

Non solo: nella ricostruzione del giudice d’appello, il C. appunto non aveva ricevuto dal P. denaro da restituire – anche se, come si è appena evidenziato, con un rapido voltafaccia poi si afferma che doveva restituire denaro allo stesso P. -, ma altresì il C. non era mai stato proprietario dell’immobile, l’interposizione rimanendo reale per il giudice d’appello come lo era stata per il giudice di primo grado ed essendo certo che non aveva la D.C. concesso alcunchè sull’immobile al P. per farne garanzia. E nonostante questo, secondo la Corte partenopea, si era creato un patto commissorio.

3.4 In realtà, per prospettare ricorrente la violazione dell’art. 2744 c.c. sarebbe stata semmai da individuare una interposizione fittizia, ricostruendo nel senso che il vero acquirente, divenuto quindi proprietario, sarebbe stato proprio il C., il quale così avrebbe davvero ricevuto un prestito di denaro, utilizzandolo per l’acquisto effettivamente compiuto da lui (cfr., per casi sostanzialmente affini, Cass. sez. 6-2, ord. 9 ottobre 2017 n. 23617 e Cass. sez. 2, 23 ottobre 1999 n. 11924). Peraltro l’interposizione fittizia, integrando una simulazione soggettiva nel contratto di compravendita, avrebbe dovuto coinvolgere anche l’alienante, il che però non è stato accertato. E così infatti si esprime la stessa corte territoriale per disattendere la censura dell’appello principale che sosteneva la sussistenza di una interposizione fittizia del P.: “Va esclusa, nella fattispecie, l’interposizione fittizia, ossia la simulazione soggettiva, poichè questa presuppone che nell’accordo simulatorio siano coinvolte tutte le parti del contratto, ossia nella specie anche la venditrice…”.

3.5 Vi è di più. Il contratto di mutuo, come è noto, è un contratto reale, che si perfeziona appunto con la consegna del bene prestato al mutuatario (art. 1813 c.c.), nel senso che la traditio, se non materiale, deve attenere alla disponibilità giuridica (v. Cass. sez. 3, 27 agosto 2015 n. 17194). In alternativa potrebbe riscontrarsi, come fattispecie consensuale, la promessa di mutuo di cui all’art. 1822 c.c.

Ma nel caso in esame il P. non ha effettuato alcuna traditio, nè materiale nè giuridica, e non ha promesso al C. di “dargli a mutuo” alcunchè. Delle due versioni adottate dal giudice d’appello, appare allora maggiormente (anche se non del tutto) condivisibile la prima, laddove cioè si riconosce che in capo al C., non avendo egli ricevuto denaro dal P., non era insorta alcuna obbligazione di restituzione.

3.6 In realtà, la corte territoriale ha errato nel sussumere l’accordo stipulato tra il P. e il C. – che poi, a ben guardare, è un accordo unico, e non scisso in due negozi: la stessa corte li qualifica “collegati” e avvinti da “reciproca interdipendenza” (così si esprime a pagina 9 della sentenza), in tal modo sostanzialmente riconoscendone l’unitarietà – tanto nel mutuo quanto nel patto commissorio.

Non si può sussumere questo negozio nel contratto tipico “mutuo”, in quanto a favore del C. il P. non ha operato traditio alcuna. Non si può neppure sussumere nel patto commissorio o comunque nella specie garanziaria, perchè utilizzato per garanzia sarebbe allora l’immobile, che però è divenuto di proprietà dello stesso P.: e giammai un bene di proprietà del creditore può fungere da garanzia a favore del debitore.

Si è dinanzi, in effetti, a un contratto atipico, rispetto al quale la figura tipica più prossima è quella del leasing immobiliare. Infatti il P., accordatosi con il C. – che aveva stipulato un contratto preliminare di compravendita per sè o per persona da nominare (come rileva il giudice d’appello a pagina 12 della sentenza impugnata) e aveva già pagato una parte del corrispettivo, cioè Lire 48.400.000 tra caparra confirmatoria e acconto, e quindi circa un quarto del totale di Lire 197.500.000 -, ha acquistato, con denaro proprio, l’immobile scelto dal C.. Quest’ultimo, già conduttore di questo immobile, si era convenuto non solo che avrebbe continuato ad essere tale, ma in più che avrebbe dovuto pagare, oltre al canone locatizio, importi rateali per cui, quando sarebbe stato raggiunto l’importo totale concordato (inficiato peraltro dalla presenza di interessi usurari, che lo avevano “lievitato” in rapporto alla somma spesa dal P. per acquistare l’immobile posta come capitale), il P. avrebbe trasferito a lui la proprietà dell’immobile stesso.

La sussistenza di questo atipico accordo non era nota all’alienante D.C.; e illecitamente – si ripete – nell’importo che il C. avrebbe dovuto pagare al P. locatore/concedente, erano inclusi interessi usurari. (Non a caso, si nota per inciso, il C. è stato poi sfrattato dal immobile per morosità locatizia: in realtà, il contratto di locazione a sua volta si era, per così dire, “contagiato”).

Trattandosi comunque di un negozio finalizzato al trasferimento di un bene immobile – quando la corresponsione rateale della somma dovuta da parte del C. (a prescindere qui dalla illecita quantificazione usuraria) avrebbe raggiunto il suo totale, ciò avrebbe resa efficace l’obbligazione corrispettiva di trasferimento della proprietà posta in capo al P. – e dunque in certa misura improntato anche al tipo del contratto preliminare, è evidente che, per essere valido (a prescindere, si ripete ancora, dal profilo usurario), avrebbe dovuto essere stipulato in forma scritta ad substantiam, ai sensi dell’art. 1351 c.c. Non essendo stato dotato di tale forma, il contratto è nullo.

3.7 Una siffatta nullità non può essere sanata nè, ovviamente, con dichiarazioni unilaterali posteriori (peraltro, qui mancanti), nè con il contenuto di una sentenza penale irrevocabile, non potendo certo una sentenza, indipendentemente dal suo contenuto, fungere da negozio stipulato tra privati.

Nè, infine, è prospettabile un deficit costituzionale nell’imposizione, da parte del legislatore codicistico, della forma scritta ad substantiam ai negozi relativi al trasferimento di proprietà avente ad oggetto beni immobili. Lo stesso ricorrente – che, non a caso, non ha neppure indicato quali articoli della Costituzione non sarebbero rispettati – sostanzialmente riconosce, come si è visto, che la ratio degli artt. 1350 e 1351 c.c. è diretta alla certezza di un atto negoziale che investe beni di valore usualmente tutt’altro che minimale come gli immobili: il che è già più che sufficiente per dimostrare l’inconsistenza della prospettazione di un’incompatibilità dei suddetti articoli del codice civile con fonti normative superiori.

Il primo motivo risulta quindi inaccoglibile, giacchè, pur all’esito di una non del tutto corretta ricostruzione, la corte territoriale ha proprio affermato – per respingere il gravame dell’attuale ricorrente – la nullità di quanto stipulato tra loro dal C. e dal P. per difetto di forma scritta, non potendo pertanto derivarne l’effetto giuridico del diritto del C. a ricevere la proprietà dell’immobile, neppure con il dispositivo giurisdizionale delineato dall’art. 2932 c.c. (si veda soprattutto la pagina 11 della sentenza impugnata). E non si può non rilevare che ciò non si traduce in una sorta di favor verso un usuraio, dal momento che, anche a prescindere dal risarcimento dei danni che è stato già oggetto di condanna generica del giudice penale, come osserva, qui del tutto condivisibilmente, il giudice d’appello il C. avrebbe potuto proporre (e in questa causa è stata proposta) la domanda di ripetizione di indebito oggettivo ex art. 2033 c.c. per quanto da lui corrisposto ad P.A. in relazione al contratto nullo.

4. In conclusione, il primo motivo del ricorso deve essere rigettato, assorbendo ciò il secondo. La difformità delle motivazioni delle sentenze di merito e la necessità di correzione dell’iter seguito dalla sentenza impugnata giustificano la compensazione delle spese processuali.

Il ricorrente, se ne sussistono D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, ex art. 13, comma 1 quater, i presupposti, deve versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

Rigetta il primo motivo del ricorso, assorbito il secondo, e compensa le spese processuali. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto che, se sussistono i presupposti, il ricorrente deve versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 19 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2020

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