Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13887 del 23/06/2011

Cassazione civile sez. VI, 23/06/2011, (ud. 19/05/2011, dep. 23/06/2011), n.13887

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – rel. Presidente –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 6060-2010 proposto da:

R.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli

avvocati NITRATO IZZO SERGIO, GAETANO COCCOLI, giusta procura

speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

A.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MATTEUCCI

106, presso lo studio dell’avvocato ATTANASIO FRANCESCO,

rappresentato e difeso dall’avvocato ATTANASIO VITTORIO, giusta

mandato a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3290/2009 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI del

12.11.09, depositata il 20/11/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19/05/2011 dal Presidente Relatore Dott. FINOCCHIARO Mario;

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. SGROI

Carmelo.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

1. E’ stata depositata in cancelleria la seguente relazione, regolarmente comunicata al P.G. e notificata alle parti.

“Il relatore, Cons. F.C., esaminati gli atti rileva:

Con sentenza 12-20 novembre 2009 la Corte di Appello di Napoli ha confermato la decisione del Tribunale di Torre Annunziata del 7 ottobre 2008, la quale ha dichiarato il contratto di locazione ad uso diverso dall’abitazione di un immobile sito in (OMISSIS), per inadempimento del conduttore, R. G., che ha condannato a rilasciare i locali in favore del proprietario A.C..

I giudici di appello osservavano che il Tribunale aveva fatto applicazione del principio interpretativo, assolutamente costante nella giurisprudenza di questa Corte, in forza del quale – in materia di locazione di immobili non adibiti ad uso di abitazione – è valida la clausola che prevede il canone in misura frazionata e crescente, nell’arco del rapporto, allorchè l’importo del canone stesso, ancorchè del tutto indipendente dalle variazione del potere di acquisto della moneta, sia stato ancorato a predeterminati elementi incidenti sull’equilibrio economico del sinallagma contrattuale o sia stato legato ad una giustificata riduzione del canone per un limitato periodo iniziale.

Sulla base di tale premessa, la Corte di appello concludeva che la clausola contrattuale che prevedeva l’aumento del canone iniziale da Euro 413,17 ad Euro 550,00 dopo i primi quattro anni doveva ritenersi perfettamente legittima, considerato che il locatario aveva rinunciato a richieste di spese sostenute per l’ammodernamento ed il restauro dell’immobile.

Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione il R. con quattro distinti motivi.

Resiste l’ A. con controricorso.

1. Il primo motivo riguarda la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 392 del 1978, art. 79 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

2. La misura differenziata stabilita dalle parti, ad avviso della ricorrente, integrerebbe proprio quell’aumento del canone, vietato dalla disposizione di legge richiamata, che ne consentirebbe solo l’aggiornamento.

3. Il primo motivo è inammissibile (art. 360 bis c.p.c., n. 1) avendo la Corte territoriale applicato i principi più volte affermati dalla giurisprudenza di questa Corre in materia.

Costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte che: “Per effetto del principio generale della libera determinazione convenzionale del canone locativo per gli immobili destinati ad uso non abitativo, risulta legittima la clausola con cui si convenga una determinazione del canone in misura differenziata, crescente per frazioni successive di tempo nell’arco del rapporto, ancorata, infine, ad elementi predeterminati (idonei ad influire sull’equilibrio economico del sinallagma contrattuale) o sia stata legata ad una giustificata riduzione del canone per un limitato periodo iniziale, a meno che non risulti una sottostante volontà delle parti volta, in realtà, a perseguire surrettiziamente lo scopo di neutralizzare esclusivamente gli effetti della svalutazione monetaria, eludendo, così, i limiti quantitativi posti dall’art. 32 della legge cosiddetta “sull’equo canone” (sia nella formulazione originaria che in quella novellata dalla L. n. 118 del 1985, art. 1, comma 9 sexies), ed incorrendo, conseguentemente, nella sanzione di nullità prevista dal successivo art. 79 della legge predetta. (Cass. 5 marzo 2009 n. 5349, 23 febbraio 2007 n.4210, 8 maggio 2006 n. 10500, 22 novembre 1994 n. 9878).

Una volontà delle parti di questo genere è stata espressamente esclusa dai giudici di appello.

Con motivazione che sfugge a qualsiasi censura, i giudici di appello hanno spiegato che la riduzione del canone per i primi anni trovava la sua giustificazione con la necessità di lavori di sistemazione ed ammodernamento concordati dal conduttore con il locatario.

La diversa misura del canone – ha accertato il giudice di appello – non era tale da alterare il rapporto sinallagmatico, poichè la sua originaria riduzione era stata stabilite a fronte di una controprestazione del conduttore, che tendeva a riequilibrare il rapporto obbligatorio.

Vi erano, pertanto, elementi oggettivi predeterminati che giustificavano le variazioni in aumento del canone di locazione.

4. Con il secondo motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. vizio di ultra petitum in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, inesistenza dell’inadempimento del conduttore.

I giudici di merito avevano pronunciato oltre le domande contenute nella intimazione di sfratto per morosità (affermando che vi era stato inadempimento anche in ordine alle mensilità successive al luglio 2004 e per tutti gli anni 2005 e 2006, che pure non erano oggetto di causa.

Le censure formulate con questo mezzo sono prive di fondamento.

La Corte territoriale ha precisato che nell’atto di intimazione l’ A. aveva dedotto il mancato pagamento dell’aumento dovuto dopo i primi quattro anni, dal mese di agosto 2007 sino al oggi.

Nessun vizio di ultrapetizione è possibile ravvisare nella sentenza impugnata che si è limitata a statuire su quanto richiesto, nel rispetto di quanto dispone l’art. 112 c.p.c..

5. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1575 c.c. in combinato disposto con l’art. 1460 c.c. nonchè dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Poichè l’ A. si era reso inadempiente all’obbligo di mantenere l’immobile locato in buone condizioni, legittimamente il conduttore aveva rifiutato di corrispondere il canone pattuito.

Il motivo è inammissibile, ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1.

Si richiama sul punto il costante indirizzo giurisprudenziale di questa Corte, per il quale: “in tema di locazione al conduttore non è consentito di astenersi dal versare il canone, ovvero di ridurlo unilateralmente, nel caso in cui si verifichi una riduzione o una diminuzione nel godimento del bene, e ciò anche quando sì assume che tale evento sia ricollegabile al fatto del locatore. La sospensione totale o parziale dell’adempimento dell’obbligazione del conduttore è, difatti, legittima soltanto qualora venga completamente a mancare la controprestazione da parte del locatore, costituendo altrimenti un’alterazione del sinallagma contrattuale che determina uno squilibrio tra le prestazioni delle parti. Inoltre, secondo il principio inadimplenti non est adimplendum, la sospensione della controprestazione è legittima solo se conforme a lealtà e buona fede” (Cass. 10 gennaio 2008 n. 261, Cass. 8 ottobre 2008 n. 24799).

6. Con il quarto ed ultimo motivo si deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1455 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 inesistenza della gravità dell’inadempimento.

La valutazione della persistenza dello stato di morosità all’ottobre 2008 era da considerare palesemente errata.

Diverse, infatti, erano le ragioni che legittimamente facevano ritenere al conduttore non dovuta la differenza di canone; in ogni caso, con decorrenza 16 maggio 2008, alla luce del provvedimento emesso dal giudice, il R. non era più tenuto al versamento del canone e dunque dalla stessa data non poteva sussistere la morosità.

Anche questo ultimo motivo si rivela del tutto inammissibile.

Le Sezioni Unite di questa Corte (con sentenza 28 dicembre 1990 n. 12210) hanno confermato che per le locazioni non abitative la valutazione della importanza dell’inadempimento del conduttore resta affidata ai comuni criteri di cui all’art. 1455 c.c., salva la facoltà del giudice di utilizzare come parametro orientativo il principio di cui alla L. n. 392 del 1978, art. 5, alla stregua delle particolarità del caso concreto.

Costituisce accertamento di merito, nel caso di specie logicamente motivato, l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata della persistenza dello stato di morosità, in conseguenza del parziale pagamento del canone protrattosi per circa un anno.

I giudici di appello hanno ribadito che non vi era alcuna prova che il locatore non avesse eseguito lavori (dei quali si sarebbe assunto l’onere); lavori, che secondo il ricorrente, avrebbero giustificato l’aumento del canone.

Si richiama, per qualche riferimento, il consolidato insegnamento di questa Corte, per il quale non è necessario che l’inadempimento del conduttore si sia concretato nella mancata corresponsione del canone, essendo sufficiente anche la reiterata e colpevole inadempienza del pagamento delle spese relative ai servizi accessori della locazione, quando la stessa abbia carattere di rilevante gravità ed importanza.

Conclusivamente, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio, potendo essere dichiarato inammissibile o rigettato in quanto manifestamente infondato”.

2. Il collegio condivide i motivi in fatto e diritto esposti nella relazione in replica alla quale non sono state presentate memorie.

Il proposto ricorso, pertanto, deve essere rigettato, con condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso – condanna il ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200.00, oltre Euro 800,00 per onorari e oltre spese generali e accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6^ – 3 sezione civile della Corte di cassazione, il 19 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 23 giugno 2011

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