Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13887 del 06/07/2020

Cassazione civile sez. III, 06/07/2020, (ud. 19/02/2020, dep. 06/07/2020), n.13887

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28990-2018 proposto da:

AUTORITA’ DI SISTEMA PORTUALE DEL MARE ADRIATICO SETTENTRIONALE, in

persona del Presidente in carica, elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI l2, presso. AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

B.R., B.P., B.S., in proprio e in

qualità di eredi della de cuius G.M.P., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA POMPEO MAGNO, 23/A, presso lo studio

dell’avvocato GUIDO ROSSI, rappresentati e difesi dall’avvocato

LEONELLO AZZARINI;

– controricorrente –

e contro

G.M.P.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 809/2018 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 31/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19/02/2020 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI.

Fatto

RILEVATO

che:

con atto di citazione notificato nel dicembre 2012, G.M.P. e i figli S., R. e B.P. agirono in giudizio nei confronti dell’Autorità Portuale di Venezia per ottenere il risarcimento del danno parentale conseguito al decesso di B.B. (coniuge della prima e padre degli altri attori), avvenuto nel (OMISSIS) e causato da una malattia polmonare che assumevano correlata alla inalazione di fibre di amianto durante l’attività lavorativa svolta presso il (OMISSIS);

il Tribunale accolse la domanda, ritenendo che l’Autorità Portuale fosse responsabile del decesso nella misura del 30%, e riconobbe un risarcimento di 67.000,00 Euro alla G. e di 30.000,00 Euro a ciascuno dei figli; il primo giudice escluse che fosse maturata la prescrizione eccepita dalla convenuta, affermando che era applicabile il termine decennale relativo al delitto di omicidio colposo e che tale termine era decorso soltanto dal 21.4.2005, ossia dal momento in cui gli attori avevano proposto ricorso avanti al giudice del lavoro per ottenere – iure hereditatis – il risarcimento del danno sofferto dal congiunto;

pronunciando sul gravame principale proposto dalla G. e dai figli e su quello incidentale dell’Autorità Portuale, la Corte di Appello di Venezia ha accolto parzialmente il primo (elevando le misure del risarcimento liquidato agli attori), mentre ha rigettato il secondo; in relazione all’eccepita prescrizione, la Corte ha ribadito che trova applicazione il termine decennale (ai sensi dell’art. 2947 c.c., comma 3), a prescindere dal fatto che i responsabili del delitto di omicidio colposo non siano stati perseguiti (essendo “sufficiente la astratta configurabilità del reato”) e che il termine di prescrizione “va fatto decorrere da quando gli eredi di B. hanno avuto una ragionevole consapevolezza della possibile dipendenza del decesso del loro congiunto all’esposizione al rischio di contrarre il carcinoma polmonare per l’attività lavorativa svolta nel (OMISSIS), termine che va fatto coincidere con la data di presentazione del ricorso al giudice del lavoro da parte del loro legale (21.4.2005)”, cosicchè l’azione promossa nel 2012 risultava tempestiva;

ha proposto ricorso per cassazione l’Autorità di sistema portuale del Mare Adriatico settentrionale (già Autorità Portuale di Venezia), affidandosi a tre motivi; hanno resistito, con controricorso, S., R. e B.P., anche in qualità di eredi di G.M.P..

Diritto

CONSIDERATO

che:

il primo motivo denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c. in quanto “la Corte veneziana ha completamente omesso di esaminare l’eccezione di improcedibilità dell’appello principale ex adverso proposto, per non essersi gli appellanti costituiti entro il termine di 10 giorni dal perfezionamento della notifica nei confronti dell’appellata”: la ricorrente rileva di avere dedotto l’improcedibilità fin dalla prima udienza e lamenta che la Corte ha completamente omesso di decidere su tale eccezione;

il motivo è inammissibile alla luce del principio secondo cui “il mancato esame da parte del giudice di una questione puramente processuale (…) non è suscettibile di dar luogo al vizio di omissione di pronuncia, il quale si configura esclusivamente nel caso di mancato esame di domande od eccezioni di merito, ma può configurare un vizio della decisione per violazione di norme diverse dall’art. 112 c.p.c. se, ed in quanto, si riveli erronea e censurabile, oltre che utilmente censurata, la soluzione implicitamente data dal giudice alla problematica prospettata dalla parte” (Cass. n. 3121/2016; cfr. anche Cass. n. 22860/2004 e Cass. n. 6174/2018);

il secondo motivo deduce (“nell’ipotesi in cui si ritenesse che la Corte d’Appello abbia implicitamente rigettato l’eccezione di improcedibilità dell’appello principale”) la violazione degli artt. 348,347 e 165 c.p.c.;

la ricorrente rileva che:

gli appellanti principali avevano notificato l’atto di impugnazione in data 25.11.2015, senza tuttavia provvedere alla iscrizione a ruolo nel termine di dieci giorni;

la causa era stata iscritta a ruolo dall’Autorità Portuale che, in data 24.12.2015, aveva depositato la propria comparsa di costituzione contenente l’appello incidentale (il procedimento aveva assunto il n. 3082/2015 di R.G.);

soltanto il 29.12.2015, a distanza di oltre 32 giorni dalla notifica della loro impugnazione, gli appellanti principali avevano proceduto all’iscrizione a ruolo (il procedimento aveva assunto il n. 3115/2015 di R.G.);

nel frattempo, gli appellanti principali avevano provveduto a depositare – nel giudizio n. 3082/2015 – una comparsa contenente replica all’appello incidentale svolto dall’Autorità Portuale;

i due giudizi erano stati successivamente riuniti (e decisi con la sentenza impugnata) senza che la Corte pronunciasse l’eccepita improcedibilità dell’appello principale;

tanto premesso, osserva che “le conseguenze del mancato rispetto del termine di costituzione dell’attore in appello sono diverse rispetto a quelle previste in relazione al giudizio di prime cure: nella fase di gravame la costituzione tardiva dell’appellante determina, in ogni caso l’improcedibilità della sua impugnazione, a nulla rilevando che l’appellato si sia costituito nel termine assegnatogli”;

premesso che la ricostruzione fattuale della ricorrente trova conferma nelle stesse allegazioni dei controricorrenti (cfr. pag. 6 del controricorso), il motivo risulta fondato, atteso che “l’art. 347 c.p.c., comma 1, nello stabilire che la costituzione in appello avviene secondo le forme ed i termini per i procedimenti davanti al tribunale, rende applicabili al giudizio d’appello le previsioni di cui agli artt. 165 e 166 c.p.c., ma non quella di cui all’art. 171 c.p.c. (concernente la ritardata costituzione delle parti), la quale è incompatibile con la previsione di improcedibilità dell’appello, se l’appellante non si costituisca nei termini, di cui all’art. 348 c.p.c.. Ne consegue che il giudizio di gravame sarà improcedibile in tutti i casi di ritardata o mancata costituzione dell’appellante, a nulla rilevando che l’appellato si sia costituito nel termine assegnatogli” (CasS., S.U. n. 10864/2011; cfr. Cass. n. 1032/2006 e Cass. n. 6654/2013);

ritenuta pertanto l’improcedibilità dell’appello principale proposto dalla G. e dai B., deve cassarsi la sentenza impugnata nella parte in cui ha pronunciato su detta impugnazione, senza necessità di rinviare alla Corte territoriale poichè ricorre un’ipotesi in cui il processo non poteva essere proseguito, ex art. 382 c.p.c., comma 3 (cfr. Cass. n. 2532/1971);

col terzo motivo (“violazione o falsa applicazione dell’art. 2947 c.c., comma 3, e individuazione del dies a quo del termine prescrizionale”), la ricorrente assume che “il termine prescrizionale, al momento della notifica dell’atto di citazione, era spirato, essendo intervenuto nel (OMISSIS) il decesso del sig. B. e l’atto di citazione notificato soltanto in data 7.12.2012” e censura la sentenza impugnata per avere “posticipato il dies a quo prescrizionale dal momento del decesso del lavoratore portuale ((OMISSIS)) alla data della proposizione del ricorso avanti al Giudice del Lavoro (2005); rileva, al riguardo, che il giudicante avrebbe dovuto accertare in concreto da quale momento vi fossero sufficienti elementi oggettivi per ritenere sussistente la consapevolezza della derivazione del decesso dall’illecito in ambito lavorativo ed evidenzia che già al momento del decesso la correlazione tra la malattia e l’esposizione all’amianto era largamente recepita in ambito scientifico ed aveva trovato pieno riconoscimento in numerosi testi normativi; sottolinea che “al de cuius degli odierni attori era stata espressamente riconosciuta da INAIL una rendita sulla base dell’accertamento dell’origine professionale della patologia, sicchè (…) non appare fondatamente sostenibile (…) che i congiunti del sig. B. non fossero in grado, fino alla proposizione del ricorso avanti al Tribunale del Lavoro, secondo l’ordinaria diligenza, di percepire la possibile correlazione tra il decesso del proprio de cuius e l’attività lavorativa pluridecennale”;

il motivo è inammissibile:

la scelta della Corte di Appello di far decorrere la prescrizione dal momento in cui gli eredi hanno avuto una “ragionevole consapevolezza della possibile dipendenza del decesso” dal rischio lavorativo è corretta, alla luce della pacifica giurisprudenza di legittimità (a partire da Cass., S.U., n. 576/2008 fino a Cass. n. 16217/2019 che, pur concernendo danni conseguenti ad emotrasfusioni o ad assunzione di emoderivati, esprimono principi di portata generale valevoli anche in relazione all’ipotesi in esame) secondo cui il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno decorre “non dal giorno in cui il terzo determina la modificazione causativa del danno o dal momento in cui la malattia si manifesta all’esterno, bensì da quello in cui tale malattia viene percepita, o può essere percepita, quale danno ingiusto conseguente al comportamento del terzo, usando l’ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche”; la censura risulta pertanto inammissibile ex art. 360 bis c.p.c., n. 1), atteso che la sentenza è conforme -sul punto – alla giurisprudenza di questa Corte e il motivo non offre elementi per modificarla;

tanto premesso, deve escludersi che la concreta individuazione dell’exordium praescriptionis nel giorno della presentazione del ricorso al giudice del lavoro possa essere utilmente censurata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 giacchè l’accertamento, in concreto, del momento in cui la parte ha raggiunto la consapevolezza della derivazione causale del decesso dal fatto del terzo costituisce appezzamento di merito non censurabile in sede di legittimità;

deve peraltro escludersi qualunque rilevanza alla circostanza che il B. potesse godere di una rendita INAIL, a fronte della novità della questione, che non risulta trattata dalla sentenza impugnata e rispetto alla quale la ricorrente non ha dedotto se, come e quando sia stata introdotta nei gradi di merito del presente giudizio (irrilevante essendo il riferimento ai documenti depositati avanti al Giudice del Lavoro);

il parziale accoglimento del ricorso giustifica la compensazione delle spese del giudizio di legittimità e di quello di appello; va, invece, confermata la liquidazione delle spese effettuata in primo grado.

PQM

La Corte, dichiarati inammissibili il primo e il terzo motivo, accoglie il secondo e cassa in relazione, senza rinvio, stante l’improcedibilità dell’appello principale;

compensa le spese del giudizio di appello e di quello di legittimità, facendo salva la liquidazione delle spese di lite effettuata in primo grado.

Così deciso in Roma, il 19 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2020

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