Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13885 del 22/05/2019

Cassazione civile sez. I, 22/05/2019, (ud. 13/03/2019, dep. 22/05/2019), n.13885

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 19613/2018 proposto da:

O., alias E.V. alias V.B., domiciliato in Roma,

Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di

Cassazione, rappresentato e difeso dall’Avvocato Angelo Ventola

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di LECCE del 25/5/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/3/2019 dal cons. Dott. PAZZI ALBERTO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con decreto in data 25 maggio 2018 il Tribunale di Lecce respingeva il ricorso proposto da O. alias E.V. alias V.B. avverso il provvedimento di diniego di protezione internazionale emesso dalla Commissione territoriale di Lecce al fine di domandare il riconoscimento del diritto alla protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 2 e 14 e del diritto alla protezione umanitaria ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.

In particolare il Tribunale escludeva che sussistessero le condizioni necessarie per la concessione della protezione sussidiaria, in assenza dei presupposti richiesti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 dato che la narrazione del richiedente asilo in merito alle vicende dalle quali sarebbe insorto un rischio per la sua incolumità personale in caso di rientro in patria non appariva verosimile; peraltro, stando alle fonti di informazioni raccolte, nell’area di provenienza del ricorrente non si rilevava un livello di violenza così elevato da comportare per i civili, per la sola presenza nell’area in questione, un concreto rischio alla vita.

Infine il collegio di merito considerava insussistente una condizione di elevata vulnerabilità all’esito di un eventuale rimpatrio, tenuto conto della mancata rappresentazione di fattori soggettivi di vulnerabilità e dell’omessa dimostrazione di un’effettiva stabilizzazione lavorativa e sociale nel paese di accoglienza.

2. Ricorre per cassazione avverso questa pronuncia O. alias E.V. alias V.B., al fine di far valere tre motivi di impugnazione.

L’intimato Ministero dell’Interno non ha svolto alcuna difesa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

3.1 Il primo motivo di ricorso lamenta, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’erronea o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 9: il Tribunale, pur essendo tenuto ad avvalersi delle informazioni più recenti e maggiormente attinenti alla situazione sociopolitico-economica del paese di provenienza, avrebbe assunto la propria decisione in ordine al ricorrere dei presupposti previsti al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) e c) avvalendosi di generiche informazioni sulla situazione socio politica dello stato di provenienza del migrante ((OMISSIS)), trascurando le informazioni sul paese di origine depositate dalla difesa e valutando così la domanda non in considerazione della completezza delle prove disponibili ma sulla scorta di mere presunzioni.

3.2 Il motivo è in parte infondato, in parte inammissibile.

La proposizione del ricorso al Tribunale nella materia della protezione internazionale dello straniero non si sottrae, invero, all’applicazione del principio di allegazione dei fatti posti a sostegno della domanda, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass., 17069/2018, Cass. 27336/2018, Cass. 3016/2019).

Nel caso di specie il Tribunale ha rilevato una serie di genericità, criticità e incongruenze nel racconto del ricorrente, tali da rendere la narrazione dei fatti scarsamente credibile, talchè il dovere di cooperazione istruttoria – invocato dal ricorrente con il richiamo al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 – a fronte di tale difetto di allegazione non sarebbe stato neppure attivabile.

Ad ogni buon conto il Tribunale, facendo corretta applicazione del disposto del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 35-bis, comma 9, ha fatto riferimento a molteplici fonti di informazione sulla situazione socio-politico-economica esistente nel paese di provenienza del richiedente asilo, arrivando a ritenere, sulla base delle informazioni tratte dalle fonti citate, che non sussistessero le condizioni per il riconoscimento della protezione sussidiaria.

Il motivo di ricorso, sotto le spoglie della eccepita violazione di legge di natura processuale, assume la mancata valutazione delle informazioni depositate dalla difesa (di cui tuttavia la stessa parte qui non allega, in ossequio al principio di autosufficienza, neppure gli estremi identificativi nè indica quando siano state prodotte) e tenta così di introdurre un inammissibile sindacato di fatto sull’esito della valutazione delle informazioni raccolte, istituzionalmente riservato al giudice di merito e non sindacabile in questa sede se non negli attuali limiti del vizio di motivazione (vizio peraltro che non ricomprende l’omesso esame di elementi istruttori ove il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la decisione non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie; Cass., Sez. U., 8053/2014).

4.1 Il secondo mezzo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, l’erronea o falsa applicazione del disposto dell’art. 16 della direttiva 32/2013/UE e la conseguente nullità della decisione adottata, anche per il mancato accoglimento delle richieste istruttorie di primo grado: il Tribunale, al pari di quanto già aveva fatto la commissione territoriale, avrebbe violato il diritto del ricorrente a un pieno contraddittorio e a una valutazione imparziale della propria domanda, poichè a sorpresa aveva giudicato inattendibili le dichiarazioni del migrante, senza dargli modo di risolvere eventuali dubbi dell’organo giudicante, e non aveva accolto le richieste istruttorie avanzate, e in particolare la richiesta di ascolto del richiedente asilo, omettendo di evidenziarne i motivi e attivare i propri poteri officiosi.

4.2 Il motivo risulta in parte infondato, in parte inammissibile.

Il ricorrente assume che il richiedente asilo debba avere modo di presentare gli elementi necessari a motivare la sua domanda di protezione nel modo più completo possibile, sia in sede di colloquio personale – che dunque sarebbe sempre obbligatorio e mai rinunciabile -, sia tramite produzioni documentali giudicate più opportune, senza preclusioni temporali o formali.

Questa Corte ha di recente chiarito che nel giudizio di impugnazione della decisione della Commissione territoriale innanzi all’autorità giudiziaria, in caso di mancanza della videoregistrazione del colloquio, il giudice deve necessariamente fissare l’udienza per la comparizione delle parti, configurandosi, in difetto, la nullità del decreto con il quale viene deciso il ricorso, per violazione del principio del contraddittorio (Cass. 5/7/2018 n. 17717); è stato però precisato che ciò non significa che si debba anche necessariamente dar corso in maniera automatica all’audizione del richiedente (v., in tal senso, Corte di giustizia dell’Unione Europea, 26 luglio 2017, Moussa Sacko contro Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Milano, p. 49) in presenza di una “domanda di protezione internazionale manifestamente infondata”.

La mancata audizione del richiedente asilo in sede di udienza non si presta quindi a censure di sorta, dovendosi escludere che le norme Europee di cui si denuncia la violazione prevedano un obbligo per il giudice di merito di procedere in maniera automatica all’audizione del ricorrente quand’anche la stessa sia del tutto inutile ai fini del decidere.

Secondo la più recente giurisprudenza di questa Corte (Cass. 2817/2019, Cass. 5973/2019) il Tribunale investito del ricorso avverso il rigetto della domanda di protezione internazionale può esimersi dall’audizione del richiedente asilo se a questi sia stata data la facoltà di renderla avanti alla commissione territoriale e il giudicante – cui siano stati resi disponibili il verbale dell’audizione ovvero la videoregistrazione e la trascrizione del colloquio attuata secondo quanto prescritto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 14, comma 1, nonchè l’intera documentazione acquisita, di cui all’art. 35-bis, comma 8 D.Lgs. cit. – debba respingere la domanda, per essere la stessa manifestamente infondata sulla base delle circostanze risultanti dagli atti del procedimento amministrativo svoltosi avanti alla commissione, oltre che dagli atti del giudizio trattato avanti al Tribunale medesimo (come nel caso di specie, dato che il collegio del merito, pur giudicando la narrazione non verosimile, ha evidenziato che comunque il migrante non era mai stato destinatario di alcuna concreta minaccia nè aveva indicato concrete modalità di intimidazione).

L’obbligo di audizione deve quindi essere valutato – come è stato precisato dalla decisione della Corte giustizia sopra richiamata – alla stregua dell’intera procedura di esame della domanda di protezione (par. 42) e sulla base del potere del giudice di esaminare l’intera documentazione, che a suo giudizio può ritenere esaustiva (par. 44), potendosi ritenere che la possibilità di omettere lo svolgimento di un’udienza di audizione corrisponda all’interesse, tanto degli Stati membri che dei richiedenti, che sia presa una decisione quanto prima possibile in merito alle domande di protezione internazionale, fatto salvo lo svolgimento di un esame adeguato e completo (par. 44 ultimo periodo).

Risultano poi inammissibili le critiche mosse al mancato accoglimento delle richieste istruttorie formulate dalla difesa del richiedente asilo o alla mancata attivazione dei poteri istruttori d’ufficio: quanto al primo profilo la doglianza è del tutto priva di autosufficienza, dato che non indica i mezzi istruttori asseritamente tralasciati e l’occasione in cui la richiesta era stata avanzata; rispetto al secondo profilo il motivo non si correla con il contenuto della decisione impugnata, che è stata assunta proprio all’esito dell’attività di cooperazione del giudicante nell’accertamento delle condizioni utili per il godimento della protezione internazionale.

5.1 Con il terzo motivo la sentenza impugnata è censurata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, per violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6: il Tribunale, pur dovendo effettuare una valutazione comparativa fra la situazione di integrazione in cui si trovava il richiedente asilo in Italia e la situazione di vulnerabilità, per violazione o impedimento all’esercizio dei diritti umani inalienabili, a cui sarebbe stato esposto in caso di rimpatrio, aveva ritenuto di definire velocemente la richiesta senza alcun approfondimento e adeguato riscontro; per questo motivo il collegio del merito aveva omesso di qualificare la condizione di pericolo in cui il migrante si era trovato a vivere nel suo paese come indicativa di una condizione di compromissione del suo benessere fisico, mentale e sociale e dunque di vulnerabilità.

5.2 Vero è (Cass. 4455/2018) che il parametro dell’inserimento sociale e lavorativo dello straniero in Italia può essere valorizzato come presupposto della protezione umanitaria – secondo il regime applicabile ratione temporis (Cass. 4890/2019) – non come fattore esclusivo, bensì come circostanza che può concorrere a determinare una situazione di vulnerabilità personale che merita di essere tutelata attraverso il riconoscimento di un titolo di soggiorno che protegga il soggetto dal rischio di essere immesso nuovamente, in conseguenza del rimpatrio, in un contesto sociale, politico o ambientale, quale quello eventualmente presente nel paese d’origine, idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali inviolabili; in questa prospettiva è necessaria una valutazione comparativa che consenta, in concreto, di verificare che ci si è allontanati da una condizione di vulnerabilità effettiva, sotto il profilo specifico della violazione o dell’impedimento all’esercizio dei diritti umani inalienabili.

Solo all’interno di questa puntuale indagine comparativa deve essere valutata, come fattore di rilievo concorrente, l’effettività dell’inserimento sociale e lavorativo e/o la significatività dei legami personali e familiari in base alla loro durata nel tempo e stabilità; i seri motivi di carattere umanitario possono quindi positivamente riscontrarsi nel caso in cui, all’esito di tale giudizio comparativo, risulti un’effettiva ed incolmabile sproporzione tra i due contesti di vita nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa (art. 2 Cost.).

Era allora compito del giudicante la verifica della sussistenza dei “seri motivi” che legittimano la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari attraverso un esame concreto ed effettivo di tutte le peculiarità rilevanti del singolo caso, quali le ragioni che indussero lo straniero ad abbandonare il proprio paese e le circostanze di vita che, anche in ragione della sua storia personale, egli si sarebbe trovato a dover affrontare nel medesimo paese, con onere in capo al medesimo quanto meno di allegare suddetti fattori di vulnerabilità.

Il che però è proprio quanto ha fatto il giudice del merito, il quale, esclusa la sussistenza di pericoli di sorta, da una parte ha constatato come il migrante non avesse fornito elementi utili a lasciar ritenere che egli avesse avviato un serio percorso di integrazione in Italia, dall’altra ha ritenuto che le condizioni del paese d’origine, in cui risiedeva la famiglia di origine del richiedente asilo, non comportassero la compromissione delle possibilità di soddisfare i bisogni e le esigenze ineludibili della sua vita personale.

Il motivo si rivela perciò inammissibile, poichè tenta di sovvertire, in maniera incongrua rispetto alle argomentazioni fornite, il giudizio sulla sussistenza delle condizioni per il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, quando in questa sede non è ammissibile la prospettazione di una diversa lettura e interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente asilo e della complessiva congerie istruttoria, trattandosi di censura attinente al merito.

6. In forza dei motivi sopra illustrati il ricorso va pertanto rigettato.

La mancata costituzione in questa sede dell’amministrazione intimata esime il collegio dal provvedere alla regolazione delle spese di lite.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 13 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2019

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