Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13884 del 06/07/2020

Cassazione civile sez. III, 06/07/2020, (ud. 18/02/2020, dep. 06/07/2020), n.13884

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13534-2018 proposto da:

CASA CURA VILLA DEL SOLE, in persona del suo legale rappresentante

pro tempore e Presidente del Consiglio di amministrazione,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FAA’ DI BRUNO 69, presso lo

studio dell’avvocato SILVIA ROSCIONI, rappresentata e difesa

dall’avvocato ENNIO CLAUDIO TOCCI;

– ricorrente –

contro

ASP AZIENDA SANITARIA PROVINCIALE COSENZA, in persona del Direttore

Generale, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FEDERICO CESI 21,

presso lo studio dell’avvocato ROBERTO BILOTTA, rappresentata e

difesa dall’avvocato GIUSEPPE LEPERA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 611/2017 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 31/03/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/02/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MISTRI CORRADO, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso in

particolare riferimento al primo motivo;

udito l’Avvocato ENRICO DE CARO per delega.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Casa di Cura Villa del Sole ricorre, sulla base di tre motivi, per la cassazione della sentenza n. 611/17, del 31 marzo 2017, della Corte di Appello di Catanzaro, che – respingendo il gravame da essa esperito avverso la sentenza n. 968/11, del 17 novembre 2011, del Tribunale di Cosenza – così provvedeva.

In particolare, il secondo giudice confermava il rigetto della domanda proposta dall’odierna ricorrente nei confronti dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza (d’ora in poi, “ASP Cosenza”), volta a conseguire la condanna della convenuta al pagamento, in via di principalità, delle somme di Euro 1.234.369,75 – pari alla differenza tra le prestazioni di assistenza ospedaliera effettivamente rese, per l’anno 2004, dall’allora appellante (struttura operante in regime di accreditamento presso il Servizio Sanitario nazionale), ed il budget contrattualmente previsto per la loro remunerazione – e di Euro 1.376.956,33 fino alla concorrenza della produzione netta erogata, ovvero, in via gradata, del minore importo di Euro 1.793.126,93, del quale l’ASP Cosenza si sarebbe riconosciuta debitrice, ex art. 1988 c.c., in forza di accordo transattivo del 6 luglio 2006, nonchè, infine, della medesima somma da ultimo indicata a titolo di indebito arricchimento.

2. In punto di fatto, la ricorrente riferisce di aver concluso, in data 24 settembre 2004, con l’allora ASL n. (OMISSIS) di Cosenza, un contratto, in forza del quale quest’ultima acquistava prestazioni di assistenza ospedaliera in regime di ricovero da erogare in favore dei propri assistiti, per un importo complessivo di Euro 3.447.840,70, e di avere documentato, in base all’estratto conto relativo all’anno 2004, di aver prodotto prestazioni di ricovero e servizi per un fatturato pari a Euro 4.824797,03. Avendo incassato, pertanto, il minor importo di Euro 2.213.470,45, essa adiva il Tribunale di Cosenza per ottenere il pagamento della differenza, ovvero del diverso e minore importo, sopra meglio indicato, del quale la convenuta si sarebbe riconosciuta debitrice, in forza del già menzionato accordo transattivo concluso in data 6 luglio 2006.

Costituitasi in giudizio l’Azienda sanitaria, essa eccepiva la totale infondatezza della domanda, sul rilievo che il tetto di spesa contrattualmente previsto rappresenterebbe un limite invalicabile, superato il quale nessuna pretesa economica può essere fatta valere, secondo quanto chiarito dalla giurisprudenza amministrativa.

Con memoria depositata ai sensi dell’art. 183 c.p.c., comma 6, l’allora attrice – sul presupposto che nel già citato accordo transattivo la convenuta avrebbe riconosciuto, comunque, la ricorrenza della fattispecie dell’indebito arricchimento – concludeva, a precisazione della domanda iniziale, nel senso che tale minore importo oggetto di riconoscimento dovesse intendersi dovuto dalla convenuta, in via di ulteriore subordine, anche ai sensi dell’art. 2041 c.c.

Il Tribunale rigettava la domanda principale, sul rilievo che, secondo quanto contrattualmente stabilito, per le prestazioni cosiddette extra budget, risulta applicabile un meccanismo di abbattimento tariffario, secondo criteri stabiliti dalla Giunta regionale della Calabria, ma fermo restando il limite di spesa sancito dalla L.R. 29 dicembre 2003, n. 30, art. 1. In altri termini, la remunerazione per le prestazioni rese oltre il limite di spesa preventivato risulterebbe soltanto eventuale, presupponendo, inoltre, che residuino, a consuntivo, risorse suscettibili di riparto tra le varie strutture sanitarie, nell’ambito del tetto di spesa globale, con la conseguenza che, nel caso di specie, non potesse riconoscersi il diritto a compensi, per le prestazioni eccedenti, non avendo l’allora attrice riscontrato l’esistenza di risorse residue, nell’ambito del tetto massimo di spesa sostenibile. Quanto, invece, alla domanda proposta in via subordinata, il Tribunale rilevava come l’accordo transattivo dovesse considerarsi inefficace, in ragione di apposita previsione che ne subordinava l’operatività alla condizione che la Regione lo avesse recepito, con propria delibera di consolidamento e accollo del debito extra budget, mentre la domanda ex art. 2041 c.c. veniva, infine, dichiarata inammissibile per difetto di sussidiarietà.

Proposto gravame dall’attrice soccombente, il giudice di appello lo respingeva.

3. Avverso la decisione della Corte catanzarese ricorre per cassazione la Casa di Cura Villa del Sole, sulla base – come detto – di tre motivi.

3.1. Con il primo motivo – proposto a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1218,1453 e 2697 c.c.

Si censura la sentenza impugnata laddove, al pari di quella del primo giudice, ha rigettato la domanda relativa al pagamento delle prestazioni extra budget per non avere l’odierna ricorrente dato prova dell’esistenza di somme ancora spendibili, in proporzione, all’interno del fondo sanitario regionale, nonchè dell’adozione dei criteri di abbattimento tariffario, ritenendoli come fatti costitutivi della pretesa azionata. In questo modo, tuttavia, sarebbero stati disattesi i principi sulla ripartizione dell’onere della prova in materia contrattuale, dal momento che la circostanza della inesistenza di somme siffatte si poneva, semmai, come fatto impeditivo della pretesa azionata, fondandosi essa su un titolo contrattuale. Del resto, significativamente, questa Corte – rammenta la ricorrente – ha affermato, con riferimento a controversie della medesima natura della presente, che il superamento del tetto di spesa, lungi dal porsi come fatto costitutivo della pretesa azionata, si configura, semmai, quale fatto impeditivo da provare da parte della struttura sanitaria (viene citata Cass. Sez. 3, sent. 31 agosto 2016, n. 17437).

Le conclusioni alle quali è pervenuta la sentenza impugnata violerebbero, oltre alle norme suddette, anche il principio della “vicinanza della prova”, che nel caso in esame imponeva di porre a carico della ASP la dimostrazione dell’inesistenza di quelle risorse eventualmente disponibili con cui garantire la remunerazione anche delle prestazioni “extra budget”.

3.2. Con il secondo motivo – proposto a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1988 c.c.

In questo caso si censura l’affermazione della Corte catanzarese, laddove ha negato che l’accordo transattivo del 6 luglio 2006 potesse valere come riconoscimento di debito, per non essere stato lo stesso recepito nè dalla ASP, nè dalla Regione con apposita delibera.

Nondimeno, secondo l’odierna ricorrente, la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere che questo documento susciti perplessità sotto il profilo della forma e della non vincolatività per le parti, fermo restando, in ogni caso, che la domanda proposta in via subordinata non mirava a far valere il mancato adempimento dell’accordo transattivo, bensì la sua efficacia come atto di ricognizione di debito.

3.3. Il terzo motivo – proposto a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2041 e 2042 c.c.

La censura si indirizza, in questo caso, avverso il mancato accoglimento della domanda di ingiustificato arricchimento, per difetto del requisito della sussidiarietà. Si ribadisce come fosse stata l’ASP stessa ad aver affermato, nel già citato accordo transattivo, che l’eventuale mancato pagamento delle somme extra budget concretasse, per la pubblica amministrazione, un’ipotesi di indebito arricchimento. E’ quanto, del resto, avrebbe riconosciuto, in casi analoghi, la giurisprudenza di merito, nel richiamarsi a quell’arresto delle Sezioni Unite di questa Corte secondo cui la proposizione della azione ex art. 2041 c.c., nei confronti della pubblica amministrazione, non richiede come necessaria la prova di una “utilitas” per l’amministrazione.

4. Ha resistito l’ASP Cosenza, con controricorso, all’avversaria impugnazione, chiedendone la declaratoria di inammissibilità ovvero, in subordine, di infondatezza.

5. Entrambe le parti hanno presentato memoria ex art. 378 c.p.c., insistendo nelle rispettive argomentazioni.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

6. Il ricorso va rigettato.

6.1. Il primo motivo non è fondato.

6.1.1. La questione da esso posta, finora inedita nella giurisprudenza di questa Corte, è se – al pari della prova del superamento del tetto di spesa, che non consente la remunerazione delle prestazioni rese extra budget dalle strutture private accreditate con il Servizio Sanitario nazionale – anche quella dell’inesistenza delle risorse finanziarie in esubero, che potrebbero consentire la loro remunerazione, debba essere posto a carico dell’Azienda sanitaria debitrice. Su punto, infatti, va notato come questa Corte abbia, di recente, affrontato soltanto la questione se la mancata predisposizione di criteri per la determinazione della remunerazione delle strutture che abbiano erogato volumi di prestazioni, eccedenti il programma preventivo concordato, integri un’ipotesi di responsabilità aquiliana e/o contrattuale, ed eventualmente a carico di quale soggetto (sul punto, si veda Cass. Sez. 3, sent. 29 ottobre 2019, n. 27608, Rv. 655496-01).

6.1.2. Per decidere in merito alla questione oggetto del motivo di ricorso in esame occorre, peraltro, muovere dall’illustrazione della normativa di riferimento.

In particolare, il D.Lgs. n. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 8-sexies, comma 1, dispone che le “strutture che erogano assistenza ospedaliera e ambulatoriale a carico del Servizio sanitario nazionale sono finanziate secondo un ammontare globale predefinito indicato negli accordi contrattuali di cui all’art. 8-quinquies e determinato in base alle funzioni assistenziali e alle attività svolte nell’ambito e per conto della rete dei servizi di riferimento”, mentre il precedente art. 8-quinquies, al comma 1, lett. d), prevede che le Regioni stabiliscano i “criteri per la determinazione della remunerazione delle strutture ove queste abbiano erogato volumi di prestazioni eccedenti il programma preventivo concordato, tenuto conto del volume complessivo di attività e del concorso allo stesso da parte di ciascuna struttura”.

Ciò detto, come posto in luce dalla più recente giurisprudenza di questa Corte, il sistema di remunerazione disciplinato dalla norma di legge suddetta si articola sulla base dei seguenti principi:

– “il rispetto del corrispettivo preventivato a fronte delle attività concordate, globalmente risultante dalla applicazione dei valori tariffari ed ove considerata compatibile con i limiti di programmazione di spesa, anche la remunerazione extra-tariffaria delle funzioni incluse nell’accordo”;

– “la verifica a consuntivo delle prestazioni effettivamente svolte rispetto al limite dei volumi prestazionali prefissato cui viene commisurata la remunerazione”;

– “la eventualità che il volume massimo di prestazioni remunerate possa essere – anche nel corso dello stesso anno – rideterminato onde assicurare comunque il mantenimento del tetto di spesa pubblica programmato” (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 31 ottobre 2019, n. 27997).

Resta, però, inteso che tanto “la fissazione del tetto massimo annuale di spesa sostenibile con il fondo sanitario, per singola istituzione o per gruppi di istituzioni”, quanto “la determinazione dei preventivi annuali delle prestazioni”, risulta “rimessa ad un atto autoritativo e vincolante di programmazione regionale, e non già ad una fase concordata e convenzionale”, visto che “tale attività di programmazione, tesa a garantire la corretta gestione delle risorse disponibili, assume valenza imprescindibile in quanto la fissazione dei limiti di spesa rappresenta l’adempimento di un preciso ed ineludibile obbligo che influisce sulla possibilità stessa di attingere le risorse necessarie per la remunerazione delle prestazioni erogate” (cfr. Cass. Sez. 3, sent. n. 27997 del 2019, cit., che richiama Cons. St. Ad. Plen., sent. 12 aprile 2012, n. 3). In altri termini, “l’osservanza del tetto di spesa in materia sanitaria rappresenta un vincolo ineludibile che costituisce la misura delle prestazioni sanitarie che il Servizio sanitario nazionale può erogare e che può permettersi di acquistare da ciascun erogatore privato”, di talchè si è ritenuta persino “giustificata (anche) la mancata previsione di criteri di remunerazione delle prestazioni extra budget”, e ciò in ragione della “necessità di dover comunque rispettare i tetti di spesa e, quindi, il vincolo delle risorse disponibili” (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. n. 27608 del 2019, cit., la quale richiama Cons. St. Sez. 3, sent. 10 febbraio 2016, n. 566; Cons. St., Sez. 3, sent. 10 aprile 2015, n. 1832).

Una conclusione, questa, che si è ritenuto essere confortata dalle stesse norme vigenti in materia (L. 27 dicembre 1997, n. 449, art. 32, comma 8, D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 12, comma 3, e D.Lgs. n. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 39), le quali “hanno disposto che, in condizioni di scarsità di risorse e di necessario risanamento del bilancio, anche il sistema sanitario non può prescindere dall’esigenza di perseguire obiettivi di razionalizzazione finalizzati al raggiungimento di una situazione di equilibrio finanziario attraverso la programmazione e pianificazione autoritativa e vincolante dei limiti di spesa dei vari soggetti operanti nel sistema” (Cass. Sez. 3, sent. n. 27608 del 2019, cit.).

Quello, infatti, che viene in rilievo in tale ambito è “un potere connotato da ampi margini di discrezionalità, posto che deve bilanciare interessi diversi e per certi versi contrapposti, ovvero l’interesse pubblico al contenimento della spesa, il diritto degli assistiti alla fruizione di adeguate prestazioni sanitarie, le aspettative degli operatori privati che si muovono secondo una legittima logica imprenditoriale e l’assicurazione della massima efficienza delle strutture pubbliche che garantiscono l’assistenza sanitaria a tutta la popolazione secondo i caratteri tipici di un sistema universalistico”. Il tutto, però, sempre nella prospettiva “che il perseguimento degli interessi collettivi e pubblici compresenti nella materia” non resti “subordinato e condizionato agli interessi privati i quali, per quanto meritevoli di tutela, risultano cedevoli e recessivi rispetto a quelli pubblici” (nuovamente, Cass. Sez. 3, sent. n. 27608 del 2019, cit.), giacchè, in definitiva, gli “operatori privati restano liberi di valutare la convenienza a continuare ad operare in regime di accreditamento accettando le limitazioni imposte, oppure di collocarsi al di fuori del servizio sanitario nazionale e continuare ad operare privatamente” (cfr. Corte Cost., sent. 26 maggio 2005, n. 200).

6.1.3. In questo quadro, dunque, deve ritenersi che – fermo il principio, ormai acquisito nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, “in tema di pretesa creditoria della struttura sanitaria accreditata per le prestazioni erogate nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale, il mancato superamento del tetto di spesa, fissato secondo le norme di legge e nei modi da esse previsti, non integra un fatto costitutivo la cui prova deve essere posta a carico della parte creditrice (struttura sanitaria accreditata), mentre rileva come fatto impeditivo, il suo avvenuto superamento, con conseguente onere della prova, ex art. 2697 c.c., a carico della parte debitrice” (così Cass. Sez. 3, ord. 13 febbraio 2018, n. 3403, Rv. 647598-01, ma nello stesso già Cass. Sez. 3, sent. 31 agosto 2016, n. 17437, non massimata, nonchè, successivamente, Cass. Sez. Un., sent. 13 giugno 2018, n. 15516, non massimata, Cass. Sez. 1, ord. 27 settembre 2018, n. 23324, Rv. 650933-01; Cass. Sez. 6-2, ord. 16 ottobre 2019, n. 26234, Rv. 655695-01) – l’onere della prova dell’esistenza di risorse disponibili per la remunerazione delle prestazioni extra budget vada, invece, sopportato dalla struttura accreditata.

Si è visto, infatti, come il principio cardine che governa l’intera materia sia quello secondo cui “l’osservanza del tetto di spesa in materia sanitaria rappresenta un vincolo ineludibile”, al punto da “conformare” lo stesso contenuto della relazione contrattuale corrente tra la struttura accreditata e l’azienda sanitaria, secondo un fenomeno che può ricostruirsi alla stregua di un’eterointegrazione del suo oggetto. Di conseguenza, se quello alla remunerazione delle prestazioni erogate extra budget – come affermato da questa Corte è un diritto esistente “solo in astratto”, visto che, in concreto, la sua attuazione dipende dalla sussistenza delle risorse disponibili, circostanza che ne condiziona la “esigibilità” (Cass. Sez. 3, sent. n. 27608 del 2019, cit.), occorre fare applicazione del principio generale in base al quale incombe sul creditore la prova della esigibilità del suo diritto (Cass. Sez. 1, sent. 15 ottobre 1999, n. 11629, Rv. 53066601).

In altri termini, qui si controverte non del diritto alla remunerazione della prestazione erogata entro il tetto di spesa fissato nei modi di legge, sicchè il superamento di tale limite va provato dal debitore (trattandosi di fatto impeditivo del credito), bensì di un diritto, quello a conseguire il corrispettivo della prestazione erogata oltre quel tetto, che è subordinato a condizioni ulteriori, il ricorrere delle quali deve provarsi da parte del creditore, onerato, così, dalla dimostrazione della sussistenza non del solo accordo contrattuale con l’azienda sanitaria, bensì della complessiva fattispecie legale che fonda il suo diritto.

Per tali ragioni, dunque, il primo motivo di ricorso non è fondato.

6.2. I motivi secondo e terzo – da esaminarsi congiuntamente, perchè relativi, entrambi, alla domanda subordinata, nonchè concernenti, in definitiva, sebbene da due diversi angoli visuali, la possibilità di considerare “indebita”, da parte della Pubblica Amministrazione, la fruizione delle prestazioni rese extra budget sono, del pari, non fondati.

6.2.1. Sul punto, infatti, va data continuità al principio di recente affermato da questa Corte, ma già in almeno due occasioni da essa ribadito.

Si è, infatti, ritenuto (Cass. Sez. 3, ord. 24 aprile 2019, n. 11209, Rv. 653710-01; ma nello stesso senso, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. n. 27608 del 2019, cit.; Cass. Sez. 3, sent. n. 27997 del 2019, cit.) che, nel deliberare “il tetto di spesa, la pubblica amministrazione” adempia “ai suoi obblighi di legge di sana gestione delle finanze pubbliche” (giacchè, come si è visto, “anche il sistema sanitario non può prescindere dall’esigenza di perseguire obiettivi di razionalizzazione finalizzati al raggiungimento di una situazione di equilibrio finanziario attraverso la programmazione e pianificazione autoritativa e vincolante dei limiti di spesa dei vari soggetti operanti nel sistema”; Cass. Sez. 3, sent. n. 27608 del 2019, cit.), sicchè l’azienda sanitaria, “comunicando alla struttura accreditata il limite di spesa determinato” per l’erogazione delle prestazioni sanitarie, le viene, “implicitamente ma inequivocamente”, a manifestare “il suo diniego di una spesa superiore, ovvero la sua volontà contraria a prestazioni ulteriori rispetto a quelle il cui corrispettivo sarebbe rientrato nel limite di spesa”; ciò che conferisce all’arricchimento che pure, obiettivamente, l’Amministrazione consegue dalla loro esecuzione – quel carattere “imposto”, ancora rilevante (secondo l’insegnamento di Cass. Sez. Un. sent. 26 maggio 2015, n. 10798, Rv. 635369-01) ai fini dell’impossibilità di esperire l’azione ex art. 2041 c.c. nei confronti della P.A.

Del resto, diversamente opinando, e dunque consentendo la remunerazione di una prestazione “non voluta”, si perverrebbe al risultato di ritenere che – nella materia della “tutela della salute”, nella quale la giurisprudenza costituzionale ha elevato il “contenimento della spesa pubblica sanitaria”, in quanto “espressione di un correlato principio di coordinamento della finanza pubblica”, al rango di “principio fondamentale”, rilevante ai fini e agli effetti di cui all’art. 117 Cost., comma 3, (cfr. Corte Cost., sent. 23 aprile 2010, n. 141). – “l’entità delle spese pubbliche” sia “rimessa alle scelte di strutture private, anche se accreditate: il che è chiaramente insostenibile” (così, nuovamente, Cass. Sez. 3, ord. n. 11209 del 2019, cit.).

7. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.

8. A carico della ricorrente sussiste l’obbligo di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso, condannando la Casa di Cura Villa del Sole a rifondere, all’Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza, le spese del presente giudizio, che liquida in Euro 13.200,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, più spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, all’esito di pubblica udienza della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 18 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2020

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