Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13881 del 07/07/2016


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Cassazione civile sez. lav., 07/07/2016, (ud. 21/04/2016, dep. 07/07/2016), n.13881

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – rel. Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19899/2011 proposto da:

INAIL – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI

SUL LAVORO, C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE

144, presso lo studio dell’avvocato LUIGI LA PECCERELLA, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato LUCIANA ROMEO, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

S.S., C.F. (OMISSIS), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CARLO POMA 2, presso lo studio

dell’avvocato GIUSEPPE SANTE ASSENNATO, che lo rappresenta e

difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 282/2011 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 06/04/2011 R.G.N. 562/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/04/2016 dal Consigliere Dott. ADRIANA DORONZO;

udito l’Avvocato ROMEO LUCIANA;

udito l’Avvocato ASSENNATO GIUSEPPE SANTE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. S.G., con ricorso depositato in data 21 gennaio 2005, chiese al Tribunale di Pesaro che, in contraddittorio con l’Inail, fosse dichiarato il suo diritto all’indennizzo per inabilità temporanea assoluta e per la menomazione della sua integrità psicofisica per postumi permanenti conseguenti all’infortunio sul lavoro occorsogli il (OMISSIS).

2. Il Tribunale accolse parzialmente la domanda e riconobbe al lavoratore l’indennità per l’inabilità temporanea assoluta fino al 1 agosto 2003. Rigettò invece la richiesta di indennizzo per il danno biologico, avendo valutato i postumi permanenti nella misura del 3%.

3. La Corte d’appello di Ancona, con sentenza depositata in data 6 aprile 2011, accolse l’appello del lavoratore e, sulla base della consulenza tecnica d’ufficio rinnovata, condannò l’Istituto convenuto ad erogare all’appellante “il trattamento per infortunio nella percentuale del 6%, con decorrenza dal termine della temporanea, del 12% con decorrenza dal 1/1/2008 e del 14% con decorrenza dal 14/10/2010”. Condannò l’Istituto al pagamento delle spese di entrambi gradi del giudizio.

4. Contro la sentenza ricorre per cassazione l’Inail affidandosi a due motivi. L’intimato deposita controricorso e memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, l’Inail denuncia la violazione del D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, art. 13, comma 4: assume che l’erogazione dell’indennizzo in capitale per le menomazioni di grado pari o superiore al 6% e inferiore al 16% non ha la funzione di definitiva liquidazione del danno, essendo consentito al lavoratore di chiedere in caso di aggravamento dei postumi (entro dieci anni dalla data dell’infortunio o quindici anni dalla data della domanda di riconoscimento della malattia professionale), la rideterminazione degli stessi. Nel caso in cui per effetto dell’aggravamento il grado di menomazione risulti inferiore al 16%, ma superiore a quello già indennizzato in capitale, il lavoratore avrà diritto all’adeguamento del capitale, inteso come differenza tra l’indennizzo dovuto per il maggior grado accertato e quello già percepito, calcolato con riferimento all’età del lavoratore al momento di decorrenza dell’aggravamento. Assume che per espresso dettato normativo tale adeguamento può essere corrisposto una sola volta. La ratio della norma risiedere, secondo il ricorrente, nella necessità di un equo bilanciamento delle diverse esigenze che vengono in rilievo in conseguenza della scelta operata dal legislatore di indennizzare in capitale le menomazioni di entità non particolarmente rilevanti, escludendo che l’indennizzo possa essere soggetto a revisione in caso di miglioramento delle condizioni fisiche dell’assicurato e consentendo che quest’ultimo possa denunciare un successivo aggravamento, in relazione al quale può ottenere, ma una sola volta, l’adeguamento del capitale. Così dovendosi interpretare la norma, era errata la sentenza nella parte in cui, facendo proprie le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, ha ritenuto possibile l’esistenza di plurimi adeguamenti dell’indennizzo in capitale.

2. Il secondo motivo concerne invece l’omessa e insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo della controversia, essendosi il giudice basato sulle conclusioni dell’ausiliare errate e lacunose.

3. – Il ricorso è infondato.

La questione è stata già oggetto di decisione da parte di questa Corte con la sentenza del 20 gennaio 2012, n.796, le cui motivazioni sono condivise da questo Collegio e così si riassumono.

Il D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 13, comma 4, prevede che, entro il termine di dieci anni dalla data dell’infortunio o di quindici anni se trattasi di malattia professionale, l’assicurato, dichiarato guarito senza postumi o con postumi che non raggiungono il minimo per l’indennizzabilità in capitale o in rendita, possa chiedere, in caso di aggravamento dei postumi, la liquidazione del capitale o della rendita nei termini e modi stabiliti per la revisione della rendita in caso di aggravamento. La revisione dell’indennizzo in capitale, per espressa previsione dello stesso comma, può essere chiesta una sola volta.

La disposizione, come è fatto palese dal tenore letterale della norma, si riferisce esclusivamente all’ipotesi in cui l’assicurato:

a) sia stato dichiarato guarito senza postumi; b) sia stato dichiarato guarito con postumi che non raggiungono il minimo per l’indennizzabilità in capitale (e cioè che non presenti una menomazione di grado pari o superiore al 6 per cento); c) sia stato riconosciuto portatore di postumi che non raggiungono il minimo per l’indennizzabilità in rendita, ma solo quello che dà diritto all’erogazione dell’indennizzo in capitale (cioè di una menomazione di grado pari o superiore al 6 per cento ed inferiore al 16 per cento).

Solo per quest’ultimo caso, e cioè solo nel caso in cui l’assicurato sia stato riconosciuto portatore di postumi che danno diritto all’erogazione dell’indennizzo in capitale, è previsto che l’interessato possa chiedere, per una sola volta, la “revisione dell’indennizzo in capitale per aggravamento della menomazione” sopravvenuto nei termini di cui al comma 4. In questo caso, come rilevato anche dal ricorrente, il lavoratore avrà diritto all’adeguamento del capitale, inteso come differenza tra l’indennizzo dovuto per il maggior grado successivamente accertato e quello già percepito, ricalcolato con riferimento all’età del lavoratore al momento dell’aggravamento.

4. Nella specie, tuttavia, l’assicurato si è visto respingere la domanda di riconoscimento del diritto all’indennizzo, sicchè egli non ha ricevuto l’indennizzo in capitale nè ha mai richiesto (non avrebbe infatti potuto farlo) una “revisione” dell’indennizzo in capitale. A tanto consegue l’inapplicabilità, nel caso in esame, di una disposizione, quella del comma 4, che presuppone che l’indennizzo sia stato già concesso (per essere stato raggiunto il grado d’inabilità previsto nella misura pari o superiore al 6 per cento) e che possa, quindi, esserne richiesta la revisione, sia pure per una sola volta, per intervenuto aggravamento della menomazione nei limiti temporali previsti dalla legge.

5. Al riguardo, è opportuno ribadire quanto già affermato dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. ex plurimis Cass., ord. 27 dicembre 2011, n. 28954; Cass. 30 luglio 2002, n. 1129), e cioè che l’intero sistema dell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali è disciplinato in modo da adeguare, per quanto possibile, la prestazione all’effettiva misura della riduzione dell’attitudine al lavoro.

Il diritto alla prestazione previdenziale nasce dalla legge (e gli atti dell’istituto assicuratore hanno natura meramente ricognitiva e di adempimento di un’obbligazione ex lege) per cui nel giudizio promosso dall’assicurato, che assume l’inadempimento dell’obbligazione previdenziale, si deve sempre accertare l’esistenza e la misura del diritto azionato, così che, in sede giudiziale, sia che si tratti di prima liquidazione, sia che si tratti di revisione ad opera dell’Inail ovvero dell’assicurato, l’oggetto del giudizio –

ove non operino le speciali preclusioni relative alla stabilizzazione dei postumi o altre limitazioni concernenti sempre la possibilità di ottenere un adeguamento della prestazione attraverso il meccanismo delle revisioni, come è anche per quella in esame – verte sull’accertamento dell’effettivo grado di riduzione dell’attitudine al lavoro (o, nel vigore del D.Lgs. n. 38 del 2000, della lesione all’integrità psicofisica suscettibile di valutazione medico-

legale) (Cass. 28 settembre 2000, n. 12900, Cass., ord. n. 28954/2011, cit.). Ancora più chiaramente, il legame causale che intercorre tra il diritto alla rendita o all’indennizzo e la riduzione della capacità di lavoro condiziona non solo la nascita del diritto ma anche il suo successivo sviluppo: l’incremento o il decremento della riduzione della capacità lavorativa determinano l’incremento o il decremento della rendita (Cass., 14 ottobre 2000, n. 13735). Pertanto, anche alla luce di questi principi, l’interpretazione della norma in esame qui sostenuta appare maggiormente conforme al sistema.

6. Anche il secondo motivo di ricorso è infondato, oltre a presentare un’evidente deficit di autosufficienza. Con esso la parte lamenta l’erroneità della decisione in quanto si fonda, per relationem su un’erronea consulenza tecnica d’ufficio, ma non specifica quali errori di carattere tecnico o logico sarebbero stati commessi dal consulente. Peraltro, la parte non deposita nè trascrive la consulenza tecnica d’ufficio cui la Corte territoriale ha prestato adesione. Il motivo pertanto è inammissibile.

7. Il ricorso non merita, dunque, accoglimento. Ricorrono giusti motivi, desumibili anche dalla novità e dalla particolarità delle questioni trattate, per compensare integralmente tra le parti le spese del presente giudizio.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 21 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 7 luglio 2016

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