Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13881 del 06/07/2020

Cassazione civile sez. III, 06/07/2020, (ud. 18/02/2020, dep. 06/07/2020), n.13881

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5474-2017 proposto da:

S.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ANASTASIO II

80, presso lo studio dell’avvocato ADRIANO BARBATO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato SILVIA BIONDI;

– ricorrente –

contro

E.K.N.B., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MONTE

DE’ CENCI 21, presso lo studio dell’avvocato SIMON PIETRO FRANCESCO

CIOTTI, rappresentato e difeso dall’avvocato FABRIZIO NATALIZI;

– controricorrente –

e contro

AMISSIMA ASSICURAZIONI, GIA’ CARIGE ASSICURAZIONI, (OMISSIS);

– intimati –

nonchè da:

AMISSIMA ASSICURAZIONI SPA, (già CARIGE ASSICURAZIONI) in persona

del Dirigente e Procuratore speciale Dott. A.C.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CAIO MARIO 27 presso lo

studio dell’avvocato FRANCESCO ALESSANDRO MAGNI, rappresentata e

difesa dall’avvocato DIEGO MUNAFO’ giusta procura speciale in calce

al ricorso;

– ricorrenti –

contro

E.K.N.B., S.V., (OMISSIS);

– intimati-

avverso la sentenza n. 3169/2016 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 12/08/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/02/2020 dal Consigliere Dott. LINA RUBINO;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del

Sostituto Procuratore generale Dott. MISTRI Corrado, che ha chiesto

per il ricorso proposto da Amissima Assicurazioni SPA, per la

declaratoria di inammissibilità e comunque, anche in via di

subordine, per il rigetto dei motivi da terzo a sesto del ricorso;

per il rigetto del primo motivo di ricorso e per l’accoglimento del

secondo motivo di ricorso; quanto al ricorso proposto da

S.V., per la declaratoria di inammissibilità e comunque, anche in

via di subordine, per il rigetto del quarto e del quinto motivo del

ricorso; per il rigetto del primo motivo di ricorso, assorbito il

terzo e per l’accoglimento del secondo motivo di ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CORRADO MISTRI che ha concluso per il ricorso Amissima: declaratoria

di inammissibilità in subordine per il rigetto dei motivi da 3 a 6

del ricorso; rigetto del 1 motivo del ricorso; accoglimento del 2

motivo del ricorso;

Ricorso Vincenzo S.:

declaratoria di inammissibilità e in subordine per il rigetto del 4

e 5 del ricorso; rigetto del l motivo di ricorso, assorbito il 3 e

per l’accoglimento del 2 motivo di ricorso;

udito l’Avvocato ADRIANO BARBATO;

udito l’Avvocato FABRIZIO NATALIZI;

udito l’Avvocato CHIARA SRUBEK TOMASSY per delega orale.

Fatto

I FATTI DI CAUSA

1.- Nel 2010 E.K.N.B. convenne in giudizio il Dott. S.V., suo ginecologo di fiducia, rappresentando che lo stesso, non avendo rilevato la presenza di gravissime malformazioni fetali (agenesia del perone, della tibia e del piede destro, agenesia della mano destra, malformazioni alle dita della mano sinistra, dovute a “sindrome delle briglie amniotiche”), pur avendo eseguito numerose ecografie durante tutta la gravidanza e in particolare l’ecografia morfologica oltre la ventesima settimana di gravidanza, aveva pregiudicato il suo diritto di autodeterminazione alla scelta di interruzione della gravidanza, provocandole ingenti danni non patrimoniali (alla sua persona per inabilità temporanea, invalidità permanente, alla sfera sessuale ed affettiva) e patrimoniali (diminuzione dell’attività professionale di avvocato e del reddito professionale, spese di cura, di assistenza e per protesi, adeguamento dell’abitazione e mantenimento del figlio).

2. – Il S., contestate le pretese dell’attrice, chiamò in causa la Carige Assicurazioni s.p.a. (compagnia garante per la responsabilità civile del medico) e l'(OMISSIS).

3. – Espletata C.T.U. medico-legale, sia per l’accertamento e la quantificazione del danno non patrimoniale patito dalla madre, sia per la quantificazione dei costi necessari per la protesizzazione del bambino, con apparecchi da rinnovare nel tempo, il tribunale adito dichiarò il medico responsabile ex art. 1218 c.c. per il non corretto adempimento delle obbligazioni assunte da contratto, in particolare per essersi discostato dalle linee guida nell’eseguire la seconda ecografia, intorno alla 20 settimana, rilasciando un referto incompleto, in cui dava atto di aver proceduto alla verifica della presenza di tutti e quattro gli arti, delle mani e dei piedi del nascituro. Lo condannò a risarcire il danno (per un totale di circa Euro 1.800.000,00, comprensivo di danno biologico subito dalla signora nella misura del 6%, personalizzato con un aumento del 50%, danno biologico temporaneo, per 17.000 Euro, spese per il mantenimento del figlio fino a 25 anni di età dello stesso per 600.000 Euro, spese per l’adattamento della casa per 25.000,00 Euro e spese per l’acquisto di protesi future, per tutta la presumibile vita del figlio per 1.164.000,00 Euro); non le riconosceva invece il danno patrimoniale da decremento dell’attività lavorativa perchè non provato; condannò inoltre la Carige a manlevare il convenuto fino alla concorrenza del massimale, escludendo qualsiasi responsabilità della struttura sanitaria.

4. – Contro la sentenza n. 755/2015 del Tribunale di Como proposero separati appelli, poi riuniti, la Carige e il S.. Si costituirono l’appellata E.K., che propose appello incidentale, e l’Azienda Ospedaliera.

5. – La Corte d’appello, in parziale accoglimento delle impugnazioni principali proposte e respingendo l’appello incidentale della danneggiata, condannava il professionista convenuto al risarcimento del danno per un minore importo complessivo (1.440.000,00) oltre interessi legali sulla somma devalutata alla data del sinistro e rivalutata anno per anno sino alla data della sentenza di primo grado, con gli interessi legali dalla data della sentenza al saldo, confermato il resto.

5.1. – Il giudice di appello, riducendo l’importo complessivo (in ragione di una minore stima del costo per la futura sostituzione delle protesi, e della riliquidazione di interessi e rivalutazione secondo i dettami di Cass. S.U. 1712/95), confermava la linea decisionale del giudice di primo grado: riteneva provata la volontà della madre di procedere all’interruzione di gravidanza qualora fosse stata correttamente informata delle malformazioni fetali, evincendola dalla scelta della stessa di effettuare l’amniocentesi con espressa indicazione nell’analisi della presenza di una “motivazione psicologica” e dalle risultanze della CTU, da cui emergeva che – per circa due anni dalla nascita del figlio e a causa delle malformazioni di questi e delle ricadute sulla vita personale della signora della nascita di un bambino con significative menomazioni, inclusa una travagliata separazione dal compagno e padre del bambino – l’attrice era stata soggetta a forte depressione. Riconosceva l’esistenza di un danno biologico nella misura del 6% ed affermava che, con riguardo alla liquidazione del danno non patrimoniale esistenziale e psichico, essa dovesse essere effettuata in base alle Tabelle del Tribunale di Milano e non all’art. 139 cod. ass. in quanto, in assenza dell’obbligo di assicurazione obbligatoria per i medici per mancata emanazione dei decreti attuativi dalla Legge Balduzzi, non si giustificava alcuna limitazione del risarcimento; respingeva la censura di ultrapetizione mossa dall’appellante S. circa il risarcimento delle future spese per il mantenimento del bambino, sul presupposto che nell’atto di citazione la richiesta risarcitoria era stata formulata dalla E.K. con riferimento a due distinte voci (ossia maggiori esborsi per trasporto, educazione e assistenza a causa dell’handicap del bambino; e mantenimento vero e proprio per tutta la durata di tale obbligo); con riguardo agli importi liquidati per le protesi e la loro futura sostituzione, riteneva che essi dovessero essere liquidati non in funzione della presumibile aspettativa di vita del figlio – come statuito dal Tribunale – ma dell’aspettativa di vita della madre, obbligata a provvedervi.

5.2. – Con riguardo alla capitalizzazione anticipata dell’importo dovuto per la voce di danno relativa all’obbligo di mantenimento (peraltro contenuta nella domanda dalla E.K. al mantenimento per i primi 25 anni di vita del figlio), dava atto che non si fosse proceduto alla devalutazione per capitalizzazione anticipata, e tuttavia non riteneva di provvedervi, ritenendo che la valutazione complessiva fosse sostanzialmente riequilibrata dalla omessa rivalutazione dell’importo dovuto per il mantenimento, al momento della liquidazione e dal non aver concesso, per le protesi future, una quantificazione commisurata all’acquisto delle protesi maggiormente performanti, secondo quanto richiesto dalla danneggiata sulla base dei valori indicati dal suo c.t.p.

6. – Contro la sentenza n. 3169/2016 della Corte d’appello di Milano, depositata il 12.08.2016, propongono separati ricorsi ricorso per Cassazione il Dott. S.V. con cinque motivi e la Amissima Ass.ni s.p.a., proponendo sei motivi.

Resiste con controricorso E.K.N.B..

Sia il S. che la Amissima ass.ni s.p.a., già Carige, depositavano memoria.

La causa, trattenuta in decisione all’udienza del 5 giugno 2018, veniva rinviata a nuovo ruolo, in conformità ad un provvedimento del Presidente della sezione, in attesa della ridiscussione all’interno della sezione delle principali questioni di rilevanza nomofilattica inerenti alle più importanti e nuove tematiche in materia di responsabilità sanitaria, quali quelle introdotte dalla Legge Balduzzi, e veniva quindi rifissata per la trattazione all’udienza del 18 febbraio 2020.

Il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte.

Sia il S. che la controricorrente hanno depositato memoria in vista dell’udienza odierna.

Diritto

LE RAGIONI DELLA DECISIONE

I ricorsi del Dott. S. e della compagnia di assicurazioni Amissima sono in larga parte coincidenti.

Il ricorso principale del medico.

1.Con il primo motivo, il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione della L. n. 184 del 1978, art. 6; violazione degli artt. 2697,2727 e 2729 c.c. e dell’art. 116 c.p.c.

2. – Lamenta che, al fine di confermare la sentenza di primo grado -la quale aveva ritenuto sussistente la responsabilità del medico per l’omessa diagnosi delle malformazioni fetali, e che ciò avesse determinato la lesione del diritto all’autodeterminazione alla scelta abortiva, la Corte d’appello avrebbe dovuto preliminarmente verificare l’applicabilità al caso di specie della L. n. 184 del 1978, art. 6 e che invece, pur sollecitata, la Corte stessa avrebbe omesso di valutare la sussistenza dei tre elementi costitutivi dell’esercizio del diritto all’aborto terapeutico (rilevanza delle malformazioni, grave pericolo per la salute fisica o psichica della madre, volontà espressa o presunta di interrompere la gravidanza).

3. – Con riguardo al primo elemento – rilevanza delle malformazioni – osserva che le malformazioni del bambino non lascino inferire di per sè che avrebbero con certezza provocato nella madre una malattia psichica tale da porne in pericolo la salute; e che le stesse non siano gravemente deturpanti, non siano particolarmente gravi in quanto non investono la sfera psichica o cognitiva, e non precludano al bambino una vita dinamica e relazionale.

4. – Con riguardo al secondo elemento – grave pericolo per la salute fisica o psichica della madre -, il ricorrente osserva che, in assenza di altri elementi, non sia possibile sostenere che la E.K., se posta a conoscenza delle malformazioni fetali, avrebbe sviluppato una malattia psichica; e che dalla CTU risulti che non vi siano elementi che possano far pensare ad una patologia psichica preesistente alla nascita del figlio, nè allo sviluppo di una successiva patologia psichiatrica vera e propria.

5. – Con riguardo, infine, al terzo elemento – volontà espressa o presunta di abortire -, richiesto dalla giurisprudenza di legittimità, non contesta che, trattandosi di una prova vertente su un fatto psichico, la scelta abortiva possa essere provata anche per presunzioni, purchè gravi precise e concordanti. Piuttosto, lamenta come tali non fossero le due presunzioni individuate dalla Corte d’appello, in quanto: per un verso, avendo l’amniocentesi il fine (diverso rispetto all’ecografia morfologica) di rilevare malattie cromosomiche comportanti grave ritardo mentale e malformazioni plurime e rilevantissime tali da essere per lo più incompatibili con la vita, non poteva evincersi dalla effettuazione della stessa la volontà di abortire in presenza di una malformazione scheletrica non incidente sulla capacità intellettiva, relazionale e di movimento del bambino; e, per l’altro, rilevava che alla E.K. era stata riconosciuta nella CTU una micropermanente psichica, ma la stessa non risultava avere precedenti psichiatrici e anzi mostrava personalità forte e resilienza alle avversità -non essendo ricorsa a trattamenti medici, psicofarmacologici o specialistici nè per la nascita del bambino malformato nè per la fine della relazione col compagno – (con la conseguenza che – considerato anche il fatto che nella cartella clinica relativa al neonato la madre si era dichiarata cattolica, e che non risultava aver mai manifestato esplicitamente la propria volontà di abortire – potrebbero al contrario configurarsi presunzioni contrarie alla volontà di abortire).

6. – Il motivo è infondato.

6.1. – In primo luogo, occorre puntualizzare che il diritto del quale in questa sede si chiede tutela è il diritto al risarcimento dal danno da privazione della facoltà di esercitare una consapevole scelta se effettuare o no un aborto terapeutico. Appare più corretto qualificare infatti in questi termini il diritto al risarcimento dei danni in caso di deprivazione del diritto della madre, conseguente alla omessa informazione sulla esistenza di malformazioni del feto tali da consentire l’accesso all’aborto terapeutico, piuttosto che nei termini di “danno da nascita indesiderata”, talvolta usati, alquanto brutali e che non danno conto con sufficiente rispetto della sofferenza che c’è dietro sia alla scelta di procedere consapevolmente nella gravidanza che darà luogo alla nascita di un bambino menomato, sia alla scelta di interromperla.

Il motivo di ricorso pone innanzitutto la questione se debba preventivamente procedersi all’accertamento giudiziale o quanto meno alla delibazione della esercitabilità da parte della donna, nella fattispecie sottoposta all’esame del giudice adito in sede di risarcimento del danno, del diritto di aborto, e quindi alla verifica della sussistenza dei presupposti di legge per l’aborto.

6.2. – Alla domanda deve rispondersi positivamente – con le cautele del caso – laddove, come nella specie, si tratti di malformazione individuabile solo dopo il terzo mese di gravidanza, nel periodo in cui cioè la scelta della madre è circoscritta alle sole ipotesi di aborto terapeutico (“Nel giudizio avente ad oggetto il risarcimento del danno cosiddetto da nascita indesiderata (ricorrente quando, a causa del mancato rilievo da parte del sanitario dell’esistenza di malformazioni congenite del feto, la gestante perda la possibilità di abortire) è onere della parte attrice allegare e dimostrare – con riguardo alla sua concreta situnione – la sussistenza delle condizioni legittimanti l’interruzione della gravidanza ai sensi della L. 22 maggio 1978, n. 194, art. 6, lett. b), ovvero che la conoscibilità, da parte della stessa, dell’esistenza di rilevanti anomalie o malformazioni del feto avrebbe generato uno stato patologico tale da mettere in pericolo la sua salute fisica o psichica (Cass. n. 27528 del 2013 e Cass. n. 7269 del 2013).

6.3. – Si tratta di una valutazione necessaria che deve essere compiuta dal giudice di merito sulla base delle circostanze allegate e delle prove (in esse incluse le presunzioni) fornite da chi agisce per poter considerare esistente il diritto violato, e che deve prendere in considerazione i tre elementi previsti dalla legge (-rilevanza delle malformazioni, – grave pericolo per la salute fisica o psichica della madre-volontà espressa o presunta di abortire). Una valutazione che nel caso di specie è stata effettuata dal giudice di merito, che ha accertato sia la sussistenza delle gravi malformazioni al feto (pag. 6, rigo 36 e 37), sia il danno grave alla salute della madre, provato sia in termini prognostici che al momento della nascita del figlio (pag. 7 rigo 28 ss. della sentenza impugnata), sia la volontà della madre di optare per l’aborto terapeutico ove informata della situazione (pag. 7 ultimo capoverso della sentenza), e sul cui contenuto la Corte non può entrare, dovendosi limitare a verificare che il giudizio si sia compiuto nel rispetto dei parametri normativi di riferimento in presenza dei quali può legittimamente espletarsi, a tutela della condizione psicofisica della madre, la scelta di interrompere la gravidanza oltre il terzo mese.

6.4. – Non appare corretto infatti intervenire in questa sede valutando direttamente se la gravità delle malformazioni riportate dal bambino fosse o meno tale da determinare un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna, requisito imposto dalla L. n. 194 del 1978, art. 6, lett. b), per far luogo all’interruzione della gravidanza dopo i primi 90 giorni dal suo inizio, perchè in tal modo si eleverebbe la valutazione della situazione di fatto operata nel caso concreto (e centrata sul tipo di menomazione e sulle sue conseguenze sulla vita del nascituro) a principio di diritto dotato di valore generale, predicabile in tutte le situazioni analoghe e si produrrebbe anche l’effetto di spostare l’attenzione dal focus della norma – la tutela della condizione psicofisica della madre, ed il suo diritto di interrompere la gravidanza qualora l’anomalia del feto sia di tale gravità da determinare anche un pregiudizio alla propria salute psicofisica – al diritto di nascere del bambino.

6.5. – Avendo accertato la sussistenza dei presupposti di legge perchè la madre potesse legittimamente esercitare il proprio diritto all’aborto terapeutico, la corte d’appello si è poi mossa nel rispetto del principio di diritto fissato dalle Sezioni Unite di questa Corte (S.U. 25767 del 2015, principio di diritto poi ripreso da Cass. n. 19151 del 2018), procedendo all’accertamento, sulla base degli elementi presuntivi sottoposti dall’attrice, che ove adeguatamente informata ella avrebbe effettivamente esercitato il proprio diritto all’aborto terapeutico (“In tema di responsabilità medica da nascita indesiderata, il genitore che agisce per il risarcimento del danno ha l’onere di provare che la madre avrebbe esercitato la facoltà d’interrompere la gravidanza, ricorrendone le condizioni di legge – ove fosse stata tempestivamente informata dell’anomalia fetale; quest’onere può essere assolto tramite presunzioni, in base a inferenze desumibili dagli elementi di prova, quali il ricorso al consulto medico per conoscere lo stato di salute del nascituro, le precarie condizioni psicofisiche della gestante o le sue pregresse manifestazioni di pensiero propense all’opzione abortiva, gravando sul medico la prova contraria, che la donna non si sarebbe, anche se adeguatamente informata, determinata all’aborto per propria scelta personale”.).

7. Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione ed omessa applicazione del D.L. 13 settembre 2012, n. 158, art. 3, comma 3 nella liquidazione del danno non patrimoniale subito dalla danneggiata.

Lamenta che la Corte d’appello abbia liquidato il danno non patrimoniale sulla base della CTU (che ha accertato l’esistenza di un danno biologico contenuto nella percentuale del 6%) e in applicazione dei parametri previsti dalle Tabelle di Milano, nonostante il richiamo da parte del D.L. 13 settembre 2012, n. 158, art. 3, comma 3, convertito con L. n. 189 del 2012 (c.d. Legge Balduzzi) ai criteri risarcitori di cui agli artt. 138 e 139 cod. ass.

Osserva che la Corte d’appello abbia giustificato la soluzione adottata sulla scorta della giurisprudenza costituzionale e di legittimità, ma lamenta che la forzata interpretazione analogica della sentenza 235/14 della Corte costituzionale (riguardante, in realtà, esclusivamente la limitazione al risarcimento del danno conseguente alle lievi invalidità derivate da sinistro stradale) non possa legittimamente portare a disapplicare una norma di legge dal tenore inequivoco; e che anche la giurisprudenza di legittimità citata dal giudice d’appello non sia pertinente, in quanto antecedente alla Legge Balduzzi o inerente al diverso caso della responsabilità del datore di lavoro.

8. – Il motivo è fondato.

8.1. – Prima dell’entrata in vigore della L. n. 189 del 2012, questa Corte ha avuto modo di affermare che è esclusa la possibilità di liquidare le micropermanenti, al di fuori dal campo della responsabilità per danni da circolazione stradale, facendo uso dei criteri stabiliti dall’art. 139 codice delle assicurazioni in quanto esso costituisce norma eccezionale, nata per un campo circoscritto in cui sussiste peraltro una assicurazione obbligatoria, non suscettibile di interpretazione analogica. Pertanto, si è affermato che, al di fuori di questo settore, la liquidazione del danno non patrimoniale, anche se limitato alle micropermanenti si deve effettuare secondo le tabelle milanesi (v. Cass. n. 12408 del 2011).

8.2. – il D.L. n. 158 del 2012, art. 3, comma 3 conv. in L. n. 209 del 2012) prevede espressamente che: “3. Il danno biologico conseguente all’attività dell’esercente della professione sanitaria è risarcito sulla base delle tabelle di cui al D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209, artt. 138 e 139 eventualmente integrate con la procedura di cui al comma i del predetto art. 138 e sulla base dei criteri di cui ai citati articoli, per tener conto delle fattispecie da esse non previste, afferenti all’attività di cui al presente articolo”. Quindi, le norme vigenti prevedono che, anche in materia di responsabilità medica, il danno non patrimoniale, qualora contenuto nei limiti delle c.d. micropermanenti, debba essere liquidato facendo riferimento ai criteri normativi fissati dall’art. 139 cod. ass.

8. 3. – Quanto alla utilizzabilità del parametro di quantificazione del danno indicato nella Legge Balduzzi anche a fattispecie di danno verificatesi precedentemente all’entrata in vigore della legge, la questione è stata di recente esaminata da questa Corte, all’interno di quel progetto organico di riflessione sulle ricadute delle innovazioni normative in tema di responsabilità medica che ha determinato il rinvio a nuovo ruolo, tra le altre, di questa causa: i rilievi contenuti nel secondo motivo di ricorso devono ritenersi fondati, in conformità a quanto recentemente affermato da Cass. n. 28990 del 2019, il cui insegnamento è stato già ripreso da Cass. n. 1157 del 2020, alla cui affermazioni si ritiene di dare continuità.

8.4. – La disposizione contenuta nel D.L. n. 158 del 2012, art. 3, comma 3, nella parte in cui prevede il criterio equitativo di liquidazione del danno non patrimoniale fondato sulle tabelle elaborate in base al D.Lgs. n. 209 del 2005, artt. 138 e 139 trova applicazione anche nelle controversie relative ad illeciti commessi nello svolgimento dell’attività sanitaria ed a danni prodotti anteriormente alla sua entrata in vigore, nonchè ai giudizi pendenti a tale data – con il solo limite del giudicato interno sul quantum – poichè la disposizione, non incidendo retroattivamente sugli elementi costitutivi della fattispecie legale della responsabilità civile, non intacca situazioni giuridiche percostituite ed acquisite al patrimonio del soggetto lese, ma si rivolge direttamente al giudice delimitandone l’ambito di discrezionalità, indicando il criterio tabella quale parametro equitativo nella liquidazione del danno e costituendo, quindi, mera guida per il giudice nella determinazione dell’importo risarcitorio.

8.5. – Ha errato pertanto la corte territoriale nel non riconoscere l’operatività di tali criteri di determinazione del quantum. La sentenza impugnata deve pertanto essere cassata sul punto, e rinviata alla corte d’appello che si atterrà al principio di diritto richiamato al punto 8.4., già enunciato da Cass. n. 28990 del 2019, al quale si ritiene di uniformarsi.

9. – Con il terzo motivo, il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione dell’art. 112 c.p.c. (principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato).

9.1. – Lamenta che il Tribunale abbia ritenuto congruo corrispondere all’attrice il risarcimento dell’importo corrispondente alle future spese per il mantenimento del figlio, comprensivo di assistenza domiciliare ed educazione specialistica, nella misura di Euro 2.000,00 mensili fino ai 25 anni di vita del ragazzo; e che la Corte d’appello, nel respingere le censure di ultrapetizione mosse dal S., abbia incluso nella liquidazione anche somme richieste dalla danneggiata per il mantenimento vero e proprio.

9.2. – Osserva come, viceversa, queste ultime somme non siano dovute, in quanto la nascita del bambino era un evento desiderato (e non frutto di un errato intervento di sterilizzazione o di interruzione volontaria della gravidanza); e che, pertanto, la madre fosse al più legittimata a chiedere il maggior costo di mantenimento del bimbo, a causa delle malformazioni congenite, rispetto ad un bambino nato sano (maggior costo per il quale la E.K. aveva chiesto Euro 500.000,00 per 25 anni, pari a Euro 1.666,66 mensili).

9.3. – Lamenta pertanto che, avendo la danneggiata dato specifica quantificazione alle singole voci di danno richieste, il travalicarne i limiti integri il vizio di ultrapetizione.

10. – Con il quarto motivo, il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione dell’art. 116 c.p.c., dell’art. 2697 c.c., degli artt. 2727 e 2729c.c., degli artt. 2056 e 1223c.c. nonchè dell’art. 132 c.p.c., n. 4 con riferimento alla liquidazione del danno patrimoniale per le spese di mantenimento quotidiano del bambino.

10.1. – Denuncia, inoltre, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 con riferimento alla inesistente motivazione del diniego della richiesta di decapitalizzazione delle somme espresse a ristoro del danno futuro per mantenimento del figlio.

10.2. – Denuncia, infine, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, l’omesso esame della richiesta di applicazione di un coefficiente di abbattimento della capitalizzazione anticipata.

10.3. – Lamenta che la E.K. abbia chiesto la liquidazione di ingenti somme per mantenimento del bambino e assistenza specialistica dello stesso senza fornire sul punto alcuna prova, anche solo indiziaria; e che la Corte d’appello, nell’accordarle il relativo risarcimento, abbia pertanto violato le norme sull’onere della prova e sulla valutazione della stessa secondo il principio del prudente apprezzamento del giudice.

10.4. – In particolare, con riguardo al danno già maturato, osserva che il danno per il mantenimento del bambino in funzione delle sue particolari esigenze sia stato liquidato dal Tribunale e confermato in appello come se fosse nella sua integralità un danno futuro, nonostante che alla data della sentenza di primo grado il bambino avesse sei anni e mezzo e alla data della sentenza d’appello ne avesse quasi otto; e che la Corte d’appello non abbia preso posizione alcuna in ordine alla contestazione mossa dal S. circa la liquidazione di un danno già attuale come se si fosse trattato di un danno futuro da lucro cessante, senza altresì alcun elemento neppure indiziario che deponesse per la congruità della liquidazione di Euro 24.000,00 annui.

10.5. – Con riguardo al danno futuro, osserva che nulla giustifichi la liquidazione di Euro 2.000,00 al mese per costi di mantenimento speciali ed ulteriori rispetto agli usuali costi di mantenimento di un figlio, essendo il bambino intellettivamente normale e non comprendendosi di quale educazione specialistica o assistenza domiciliare debba necessitare in futuro fino ai venticinque anni. Lamenta inoltre che, a prescindere dal merito della liquidazione, e come segnalato dal S. sin dalla memoria di replica in primo grado, gli importi richiesti per il mantenimento del bambino siano esborsi non attuali ma destinati ad essere posti in essere ripetitivamente dopo un certo numero di anni, rendendo necessario ridurre il relativo ammontare in moneta attuale mediante l’applicazione di un coefficiente di capitalizzazione anticipata. Osserva pertanto che, liquidando sic et simpliciter l’importo di Euro 2.000,00 mensili espresso in moneta attuale, moltiplicato per 12 mesi e poi per 25 anni per un totale di Euro 600.000,00 in moneta attuale, senza peraltro giustificare la mancata applicazione di un montante di anticipazione, la Corte d’appello abbia omesso di considerare un fatto decisivo per il giudizio, con conseguente carenza di motivazione su un punto fondamentale.

11. Con il quinto motivo, il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione dell’art. 81 c.p.c., la violazione dell’art. 116 c.p.c., degli artt. 2727 e 2729 c.c. nonchè la violazione dell’art. 2056 c.c. e dell’art. 1223 c.c. con riferimento alla liquidazione del danno patrimoniale per le spese di protesi con riferimento a) alla liquidazione del danno già concretizzatosi, b) alla liquidazione del danno futuro.

11.1. – Denuncia, inoltre, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la violazione dell’art. 132 c.p.c., punto 4: motivazione solo apparente in ordine alla richiesta di decapitalizzazione delle somme espresse a ristoro del danno futuro.

Lamenta che nell’operare la riduzione dell’importo relativo al costo delle protesi, la Corte d’appello abbia preso in considerazione esclusivamente lo spostamento del lasso di tempo in relazione al quale calcolare l’obbligo risarcitorio (considerato non più dall’attualità fino ai 79 anni e 4 mesi del figlio, ma fino agli 86 anni della madre).

11.2. – In proposito, lamenta anzitutto la violazione delle norme in tema di sostituzione processuale, presunzioni semplici e valutazione delle prove. Osserva che la madre abbia agito esclusivamente iure proprio, con la conseguenza della cessazione della sua legittimazione ad agire al compimento della maggiore età del figlio (o, al più, al compimento dei 25 anni del figlio, termine indicato dalla madre stessa come limite al raggiungimento dell’indipendenza economica da parte del figlio). Osserva inoltre che siano contrarie a legge, notorio e presunzioni le argomentazioni adottate dalla Corte d’appello al fine di ampliare la legittimazione della madre per tutta la durata della vita della stessa (sulla base del presupposto che il bambino non diventerà mai economicamente autonomo, perchè invalido al 100% secondo la valutazione della commissione medica per l’accertamento delle invalidità civili), in quanto il verbale di accertamento delle invalidità civili ha valore meramente amministrativo, da cui non può ricavarsi neppure in via induttiva la valutazione dell’invalidità permanente biologica nel ben diverso ambito della responsabilità civile. Osserva infine che il giudice avrebbe dovuto fondarsi sulla diversa presunzione per cui, godendo il lavoratore disabile della tutela mediante assunzioni obbligatorie, il disabile fisico sia normalmente percettore di reddito (senza considerare che comunque, nel caso di specie, il bambino non troverebbe ostacoli all’esercizio di professioni intellettuali).

11.3. – Lamenta, in secondo luogo, la violazione dell’art. 116 c.p.c., degli artt. 2727 e 2729 c.c., nonchè la violazione dell’art. 2056 c.c. e dell’art. 1223 c.c. con riferimento al danno già concretizzatosi. Osserva che nel totale sia ricompreso anche quanto indicato dal CTU come costi di protesi per la fascia di età da O a 6 anni, benchè, attesi i tempi del procedimento di primo grado, il danno non doveva essere trattato come futuro, bensì come danno già concretizzatosi, che doveva essere oggetto di prova; e che la liquidazione sarebbe dovuta partire dal 7 anno d’età, perchè agli atti, nel periodo da O a 6 anni, non risulta alcuna spesa per protesi (osservazione, questa, prospettata dal S. tanto al Tribunale quanto alla Corte d’appello, ma dagli stessi asseritamente non considerata).

11.4. – Lamenta, ancora, la violazione dell’artt. 116 c.p.c., degli artt. 2727 e 2729 c.c., nonchè dell’art. 2056c.c. e dell’art. 1223 c.c. con riferimento alla liquidazione del danno futuro. Osserva che dall’importo capitale determinato a titolo di risarcimento per le spese di protesi debba essere detratto il c.d. montante di anticipazione; e che, tenuto conto che sino ad oggi non risulta che la E.K. abbia effettuato spese in linea con la valutazione massima espressa dal CTU nelle conclusioni della relazione, si sarebbe dovuto ipotizzare – in assenza di altre prove – che anche nel futuro l’attrice si sarebbe attenuta a tale comportamento.

11. 5. – Lamenta, infine, la violazione dell’art. 132 c.p.c., punto 4. Osserva, infatti, che la sentenza (nella parte in cui ha ritenuto di poter compensare il vantaggio dell’attribuzione dell’intera somma con la svalutazione intercorrente tra il 2008 e la data della pronuncia di primo grado ovvero l’anno 2015, ed ha ritenuto altresì di compensare la mancata decapitalizzazione con l’omessa considerazione del prezzo delle protesi performanti indicato non già dal CTU ma dal consulente di parte della E.K.) sia nulla per motivazione solo apparente in ordine alla richiesta di decapitalizzazione delle somme espresse a ristoro del danno futuro. Osserva inoltre che, per sostenere questa solo apparente motivazione, la Corte abbia falsamente affermato che gli appellanti Amissima Assicurazioni (già Carige Assicurazioni) e S. non avrebbero svolto considerazioni critiche specifiche nel calcolo delle somme liquidate per mantenimento e spese protesiche, riportandosi poi ad una pronuncia di Cassazione che il S. asserisce affermare esattamente il contrario di quanto la Corte d’appello ha fatto in concreto.

12. – I motivi tre quattro e cinque del ricorrente, connessi e in parte ripetitivi, sono in larga parte infondati, se non inammissibili in quanto si traducono sostanzialmente nella richiesta di riliquidazione del quantum liquidato perchè eccessivo e ripropongono quindi questioni aventi carattere tipicamente di merito, e quindi non censurabili in cassazione.

12. 1. – Nel caso di specie, la domanda della madre è stata impostata recisamente in termini di lesione del diritto ad esercitare l’aborto terapeutico, che la danneggiata avrebbe scelto di esercitare se fosse stata adeguatamente informata.

12.2.- Accertato positivamente che si rientrava nei limiti dell’aborto terapeutico e che la danneggiata, presuntivamente, avrebbe in effetti scelto di abortire, il danno patrimoniale è stato liquidato, in conformità alla domanda, includendo sia il costo del mantenimento del figlio (richiesto solo fino al 25 anno di età) sia le spese specifiche che la madre dovrà sopportare per diretta conseguenza delle invalidità del bambino (costi per l’adeguamento dell’abitazione, per l’assistenza, per una necessaria e rinnovata nel tempo protesizzazione delle mani e dei piedi).

12.3. – Quanto alla quantificazione complessiva delle spese di mantenimento, liquidate in Euro 2.000,00 mensili per i primi 25 anni di vita del figlio perchè così richieste, la decisione è immune dai vizi lamentati, avendo fatto corretta applicazione dei principi in tema di liquidazione equitativa del danno ed in particolare avendo ancorato la valutazione, necessariamente equitativa, a parametri di riferimento precisi indicati a pag. 10 della sentenza impugnata (necessità di assistenza domiciliare e di educazione specialistica, costo di tali prestazioni secondo i valori di mercato), fornendo a giustificazione della quantificazione una motivazione logica e plausibile.

12.4. – Quanto alle spese di assistenza protesica, la sentenza impugnata (pag. 6 e 7) è immune dai vizi denunciati, avendo fatto corretta applicazione del principio di diritto enunciato da Cass. n. 17815 del 2019, secondo il quale “”il danno consistente nelle spese per assistenza personale, patito dalla vittima di lesioni personali, va liquidato ai sensi dell’art. 1223 c.c. stimando il costo presumibile delle prestazioni di cui la vittima avrà bisogno in considerazione delle menomazioni da cui è afflitta, rapportato alla durata presumibile dell’esborso. Il risarcimento così determinato è dovuto per intero, senza alcuna riduzione percentuale corrispondente al grado di invalidità permanente patito dal danneggiato”. Nel caso in esame, la liquidazione è stata effettuata, correttamente, tenendo conto dell’intera durata della vita della madre, avendo ella agito iure proprio ed essendo comunque tenuta a sopportare le spese necessarie al figlio, in quanto portatore di un grave handicap, per tutta la durata della propria vita, ex art. 337 septies c.c..

12.5. – Peraltro, la corte è pervenuta ad una quantificazione unitaria e complessiva che da un lato tiene conto dell’intera durata di vita della madre, e dall’altro però personalizza la liquidazione al caso di specie in relazione alle spese di assistenza protesica sulla base dell’elaborato tecnico predisposto dal CTU per l’intera durata temporale sopraindicata, operando una riduzione delle stessa nella misura di un terzo in via equitativa rispetto a quanto quantificato in primo grado, come si legge a pag. 11 della sentenza impugnata.

12.6. – C’è uno però dei punti censurati con i predetti motivi in cui la sentenza ha errato applicando un criterio difforme da quelli indicati in sede di legittimità e troppo poco rigoroso per poter essere avallato.

12.7. – E’ fondato infatti il quarto motivo del ricorso principale, e la sentenza di merito cassata sul punto, soltanto in riferimento al mancato inserimento, all’interno del calcolo del danno correlato al sostenimento anche per il futuro da parte della madre delle necessarie spese di acquisto e di sostituzione delle protesi, di un meccanismo riequilibratore della ricezione anticipata di un capitale per ristorare un pregiudizio che continuerà a verificarsi nel tempo (c.d. montante di anticipazione). La sentenza deve essere cassata affinchè il giudice di merito ricalcoli l’importo da liquidare per l’anticipata liquidazione delle spese da sostenere nel futuro, integrando la base di calcolo tenuta in conto dalla corte d’appello, che non è scalfita idoneamente dalle critiche contenute nei motivi di ricorso, con uno dei meccanismi di riequilibrazione alternativamente segnalati da Cass. n. 7774 del 2016 in applicazione del principio di diritto da essa espresso: “Il danno permanente futuro, consistente nella necessità di sostenere una spesa periodica vita natural durante (nella specie, per assistenza domiciliare), non può essere liquidato attraverso la semplice moltiplicazione della spesa attuale per il numero di anni di vita stimato della vittima, ma va liquidato o in forma di rendita, oppure moltiplicando il danno annuo per il numero di anni per cui verrà sopportato e, quindi, abbattendo il risultato in base ad un coefficiente di anticipazione, ovvero, infine, attraverso il metodo della capitalizzazione, consistente nel moltiplicare il danno annuo per un coefficiente di capitalizzazione delle rendite vitalizie”. Non appare dotata del necessario rigore ai fini di una liquidazione del danno futuro (che, sebbene sia una proiezione, concernendo il futuro, deve purtuttavia essere ancorata a parametri certi), nè rispettosa del sopra indicato principio di diritto la valutazione della corte d’appello che consapevolmente non provvede al calcolo del montante di anticipazione ritenendo di poter “compensare” la mancata devalutazione dell’importo liquidato, per la capitalizzazione anticipata, con la mancata rivalutazione delle somme dal giorno della indicazione del CTU al giorno della sentenza, e col mancato aggancio della quantificazione dei costi di protesizzazione alle protesi in assoluto più performanti e più costose indicate dal CIP e richieste dalla danneggiata, appellante incidentale.

13. – Il ricorso Amissima.

I motivi del ricorso Amissima, presentato per l’iscrizione a ruolo successivamente a quello del S. e per questo solo formalmente ricorso incidentale, sostanzialmente coincidono con la linea del ricorrente principale, e quindi verranno diffusamente illustrati, ed autonomamente trattati, solo qualora non coincidenti.

14. – Con il primo motivo la compagnia di assicurazioni si duole della violazione e falsa applicazione della L. n. 194 del 1978, art. 6 e degli artt. 2729 e 116 c.p.c., in relazione alla presunta lesione del diritto della signora E.K. alla interruzione di gravidanza: esso è coincidente, anche nelle argomentazioni, con il primo motivo del ricorso S., e va rigettato per le stesse ragioni.

15. – Con il secondo motivo, la compagnia di assicurazioni lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione ed omessa applicazione del D.L. 13 settembre 2012, n. 158, art. 3, comma 3 nella liquidazione del danno non patrimoniale subito dalla danneggiata: esso è in tutto analogo al secondo motivo di ricorso del ricorrente principale, e per gli stessi motivi e negli stessi limiti va accolto.

16. – Con il terzo motivo, la Amissima si duole della violazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, in quanto la corte d’appello sarebbe incorsa in omessa pronuncia laddove non si è occupata delle critiche dell’appellante sull’aumento del 50% dell’importo liquidato ai fini del danno biologico, operata dal giudice di primo grado per procedere alla personalizzazione del danno morale subito dalla madre per la nascita del bimbo malformato.

17. – Con il quarto motivo, la compagnia di assicurazioni denuncia la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, particolarmente degli artt. 2043,2056,2059 e 1223 c.c. in quanto la corte d’appello avrebbe dovuto comunque respingere la domanda volta al risarcimento del danno morale in difetto di elementi probatori atti a dimostrarne la fondatezza.

18. – I motivi possono essere trattati congiuntamente in quanto connessi, e sono manifestamente infondati, laddove la corte d’appello ha ben messo in rilievo, e sono di tutta evidenza oltre che intuitivi, gli elementi in base ai quali ha ritenuto, in una situazione siffatta, di giungere alla liquidazione della componente di sofferenza personale del danno non patrimoniale subito dalla ricorrente (peraltro nella modesta misura del 50% su una percentuale di invalidità, rilevante ai fini della quantificazione del danno biologico, riscontrata nella misura del solo 6%), rimanendo ancorata, come da tradizionale affermazione della giurisprudenza di legittimità, ad una percentuale della liquidazione del danno biologico accertato (in una fattispecie in cui, giova ricordare, la responsabilità del medico non consegue alle lesioni colpose riportate dal nascituro, ma dall’omessa informazione in favore della partoriente dell’esistenza di una grave alterazione tale da legittimare la scelta abortiva).

18.2. – Sul punto della esiguità, al contrario, della liquidazione di tale voce di danno non patrimoniale, liquidato quale componente del danno morale conseguente alla lesione della salute e non autonomamente, come conseguenza della violazione del proprio diritto alla autodeterminazione alla scelta abortiva, non vi è ricorso incidentale della danneggiata, e quindi la questione non può essere in questa sede, sotto questo, diverso e contrapposto profilo, indagata.

18.3. – Sorprende comunque che la compagnia di assicurazioni non ritenga sufficiente, ai fini della prova di una sofferenza interiore che rilevi ai fini della liquidazione della componente di afflizione personale insita nella liquidazione unitaria del danno non patrimoniale, in primo luogo il fatto stesso della nascita di un bambino con gravi malformazioni non emendabili alle mani ed ai piedi, e poi il dissolvimento della propria promettente carriera di avvocato e la coincidente rottura, accompagnata anche da violenze personali, del rapporto con il proprio compagno – circostanze tutte che emergono dalla sentenza impugnata a pag. 5 – e di conseguenza l’impossibilità di fruire della solidarietà del proprio compagno nell’affrontare il percorso di sofferenza morale e di totale assorbimento delle proprie energie che si è improvvisamente aperto dinanzi alla signora.

19. – Con il quinto motivo, la ricorrente incidentale critica la sentenza impugnata per violazione dell’art. 116 c.p.c., artt. 2056 e 1223 c.p.c. in riferimento alla liquidazione del danno patrimoniale per spese di mantenimento assistenza ed educazione del bambino.

Esso svolge considerazioni omogenee a quelle contenute, su questo punto, nel quarto motivo del ricorso principale e va rigettato per gli stessi motivi.

20. – Infine, con il sesto motivo, la compagnia di assicurazioni denuncia la violazione degli artt. 81,112,116 c.p.c. e artt. 2729,2056,1223 c.c. nonchè dell’art. 132, comma 2, n. 4, in riferimento alla liquidazione del danno patrimoniale per le spese di protesi.

20.1. – Il motivo, che svolge considerazioni analoghe a quelle contenute nei motivi quarto e quinto di parte ricorrente sul punto, deve essere accolto per quanto di ragione nei limiti in cui è accolto il quarto motivo del ricorso principale (v. s’ora, punto 12.7.), in relazione alla mancata applicazione, nel calcolo di quanto dovuto per l’acquisto e la futura sostituzione delle protesi per un lasso di tempo ancorato alla vita residua della danneggiata, del montante di anticipazione, ovvero del vantaggio conseguente, in capo al creditore, nel percepire oggi e per l’intero una somma che egli avrebbe progressivamente perduto solo in futuro e progressivamente.

In accoglimento del secondo motivo del ricorso principale e di quello incidentale, nonchè, per quanto di ragione, del quarto motivo del ricorso principale e del sesto del ricorso incidentale, nei limiti di cui in motivazione, la sentenza impugnata deve essere cassata e la causa rinviata alla Corte d’Appello di Milano in diversa composizione, che si atterà ai principi di diritto enunciati e provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso principale e il secondo motivo di quello incidentale, nonchè, per quanto di ragione, il quarto motivo del ricorso principale e il sesto del ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Milano in diversa composizione, che si atterà ai principi di diritto enunciati e provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della corte di cassazione, il 18 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2020

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