Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13880 del 22/05/2019

Cassazione civile sez. I, 22/05/2019, (ud. 13/03/2019, dep. 22/05/2019), n.13880

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 19136/2018 proposto da:

D.A., elettivamente domiciliato in Roma, Piazza San

Salvatore in Campo n. 33, presso lo studio dell’Avvocato Nicolina

Giuseppina Muccio rappresentato e difeso dall’Avvocato Noemi Nappi

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di LECCE del 4/5/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/3/2019 dal cons. Dott. PAZZI ALBERTO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con decreto in data 4 maggio 2018 il Tribunale di Lecce respingeva il ricorso proposto da D.A. avverso il provvedimento di diniego di protezione internazionale emesso dalla Commissione territoriale di Lecce al fine di domandare il riconoscimento dello status di rifugiato, del diritto alla protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 2 e 14 e del diritto alla protezione umanitaria ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.

In particolare il Tribunale rilevava che il timore persecutorio rappresentato dal richiedente asilo non assumeva le caratteristiche previste per il riconoscimento del diritto al rifugio dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2 ed escludeva che sussistessero le condizioni necessarie per la concessione della protezione sussidiaria, in assenza dei presupposti richiesti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 sia perchè i fatti narrati dal richiedente asilo, di scarsa attendibilità, non integravano il pericolo di un grave danno, come previsto dalle lett. a) e b) della norma, sia perchè nella regione di provenienza del migrante non era possibile ravvisare una situazione tale da comportare per i civili, per la sola presenza nell’area in questione, il concreto rischio della vita o di un danno grave alla persona.

Nel contempo il collegio di merito considerava insussistente una condizione di elevata vulnerabilità all’esito di un eventuale rimpatrio, tenuto conto della situazione del paese di destinazione, della mancata rappresentazione di fattori soggettivi di vulnerabilità e della mancata allegazione dell’avvio di un serio percorso di integrazione in Italia.

2. Ricorre per cassazione avverso questa pronuncia D.A., al fine di far valere tre motivi di impugnazione.

Resiste con controricorso il Ministero dell’Interno.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

3.1 Il primo motivo di ricorso lamenta la violazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 5, comma 6: il Tribunale si sarebbe totalmente sottratto al dovere di cooperazione previsto da tali norme, senza ascoltare nuovamente il ricorrente ed omettendo di acquisire informazione attendibili sulla situazione del paese di provenienza.

3.2 Il secondo mezzo denuncia la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, lett. g) e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e il vizio di motivazione rispetto alla mancata concessione della protezione sussidiaria: il Tribunale, nell’escludere il diritto al riconoscimento della protezione sussidiaria, non avrebbe preso in considerazione le dichiarazioni del richiedente in merito all’esistenza di un’illegittima accusa nei suoi confronti e al timore di subire una detenzione ingiusta, oltre che inumana e degradante, in caso di rimpatrio; il rischio di essere ingiustamente arrestato e incarcerato, in un paese ove le carceri hanno un altissimo livello di decesso, e di subire così un ingiusto trattamento inumano avrebbe dovuto imporre l’applicazione del disposto del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b).

3.3 Ambedue i motivi, da esaminarsi congiuntamente, sono inammissibili.

La proposizione del ricorso al Tribunale nella materia della protezione internazionale dello straniero non si sottrae, invero, all’applicazione del principio di allegazione dei fatti posti a sostegno della domanda, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass. 17069/2018, Cass. 27336/2018, Cass. 3016/2019).

Nel caso in esame il Tribunale ha accertato da un lato la scarsa attendibilità e la contraddittorietà della narrazione dell’istante circa i motivi che lo avevano indotto ad abbandonare il paese di origine (avendo questi una volta affermato di essere accusato di avere ucciso un amico, un’altra di essere andato via per motivi meramente economici), dall’altro che dai fatti narrati non emergeva alcuna aggressione da parte dei familiari dell’ucciso e neppure una denuncia o la sottoposizione del richiedente a un procedimento penale.

Tali rationes decidendi non sono state specificamente impugnate (Cass. 19989/2017).

E l’invocato dovere di cooperazione, in difetto di un’allegazione dei fatti che sia credibile, non può essere attivato (Cass. 3016/2019, Cass. 27336/2018).

Nè è possibile ritenere che il primo giudizio sia in qualche modo inficiato dalla mancata audizione del ricorrente, pur in mancanza della videoregistrazione del suo colloquio avanti alla commissione territoriale, in quanto, ove ci si trovi in presenza di una domanda di protezione internazionale manifestamente infondata, non consegue automaticamente l’obbligo di procedere all’audizione del richiedente (Cass. 3029/2019).

4.1 Con il terzo motivo la sentenza impugnata è censurata per violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e vizio di motivazione rispetto alla mancata concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari: il Tribunale non avrebbe effettuato alcuna valutazione comparativa fra la situazione di integrazione in cui si trovava in Italia il richiedente asilo e la situazione di vulnerabilità, per violazione o impedimento all’esercizio dei diritti umani inalienabili, a cui sarebbe stato esposto in caso di rimpatrio.

4.2 Il motivo è inammissibile.

Vero è che il Tribunale era chiamato a valutare la sussistenza del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, comma 6, – nel regime previgente applicabile alla fattispecie concreta (Cass. 4890/2019) – all’esito di una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio potesse determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel paese d’accoglienza (Cass. 4455/2018).

Il che però è proprio quanto ha fatto il giudice del merito, il quale da una parte ha constatato come il migrante non avesse allegato motivi specifici di vulnerabilità nè fornito elementi utili a lasciar ritenere che egli avesse avviato un serio percorso di integrazione in Italia, dall’altra, laddove ha rimarcato il miglioramento in (OMISSIS) del rispetto per le libertà civili, ha nella sostanza reputato che le condizioni del paese d’origine non consentissero di ritenere che un eventuale rimpatrio avrebbe compromesso la titolarità e l’esercizio dei diritti umani al di sotto del loro nucleo ineliminabile.

A fronte di tale giudizio di fatto, incensurabile in questa sede, il mezzo si fonda su argomentazioni del tutto generiche e di principio, inidonee a minare la ratio decidendi posta dal giudice di merito a base della decisione impugnata.

5. In forza dei motivi sopra illustrati il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 2.100, oltre spese generali prenotate a debito, accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 13 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2019

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