Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13880 del 07/07/2016


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Cassazione civile sez. lav., 07/07/2016, (ud. 20/04/2016, dep. 07/07/2016), n.13880

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19161/2010 proposto da:

PARK HOTEL S.R.L., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

CRESCENZIO 16, presso lo studio dell’avvocato GILBERTO CERUTTI,

che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.

(OMISSIS), in persona del Presidente e legale rappresentante pro

tempore, in proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A. –

Società di Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S. C.F.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CESARE BECCARIA

29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentati e

difesi dagli avvocati ANTONINO SGROI, LUIGI CALIULO, LELIO

MARITATO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6661/2008 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 24/09/2009 R.G.N. 4124/07;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/04/2016 dal Consigliere Dott. LUIGI CAVALLARO;

udito l’Avvocato GILBERTO CERUTTI;

udito l’Avvocato CARLA D’ALOISIO per delega orale Avvocato

ANTONINO SGROI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per l’inammissibilità del

ricorso.

Fatto

Con il primo motivo, la ricorrente denuncia contraddittorietà della motivazione in ordine al valore probatorio delle dichiarazioni dei lavoratori riportate nel verbale di accertamento redatto dagli ispettori INPS all’atto della visita ispettiva, avendo la Corte di merito fondato la propria decisione sulle “dichiarazioni rese dai singoli lavoratori ed allegate al verbale di accertamento” (così la sentenza impugnata, pag. 3), laddove peraltro si tratterebbe di dichiarazioni non presenti in forma autonoma in allegato al verbale, ma riportate in forma sintetica nel corpo di esso.

Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta falsa applicazione della L. n. 1369 del 1960, art. 1 e dell’art. 116 c.p.c. e art. 2697 c.c., per avere la Corte territoriale ritenuto sussistente la fattispecie del c.d. pseudo-appalto di cui alla L. n. 1369 del 1960, cit., art. 1, sulla sola base dell’elemento del controllo e della direzione, da parte di un’impiegata della ricorrente medesima, della manodopera formalmente dipendente dalla cooperativa appaltatrice, e senza alcun esame della documentazione comprovante la conclusione del contratto di appalto e la corresponsione del compenso ivi previsto.

Con il terzo motivo, la società ricorrente si duole di violazione e falsa applicazione degli artt. 2094 e 2222 c.c., per avere la Corte territoriale ritenuto che la prestazione effettuata dai lavoratori dipendenti dalla cooperativa avesse i caratteri propri del lavoro subordinato, nonostante che essi avessero sottoscritto un contratto di collaborazione coordinata e continuativa.

Con il quarto motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per falsa applicazione dell’art. 2094 c.c., avendo la Corte di merito ritenuto sussistente la prestazione di lavoro subordinato senza indagare le concrete modalità con cui si era atteggiato il rapporto inter partes.

Da ultimo, con il quinto motivo, la società ricorrente denuncia violazione degli artt. 1180 e 2036 c.c., per non avere la Corte territoriale accolto la sua richiesta di riduzione della somma oggetto della domanda riconvenzionale in relazione a quanto da essa già versato anche per errore all’INPS. Va preliminarmente disatteso il rilievo d’inammissibilità argomentato dal Pubblico ministero per essere stato il ricorso redatto con l’integrale riproduzione dei documenti acquisiti alla causa: vero è infatti che codesta tecnica di redazione si traduce di solito in un’esposizione dei fatti non sommaria, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3 e, comportando un mascheramento dei dati effettivamente rilevanti, può risolversi in un difetto di autosufficienza, ma è pur vero che a tanto può non pervenirsi quando – come nella specie – il coacervo dei documenti integralmente riprodotti, essendo facilmente individuabile ed isolabile, può essere separato ed espunto dall’atto processuale, la cui autosufficienza, una volta resi conformi al principio di sinteticità il contenuto e le dimensioni globali, ben può essere valutata in base agli ordinari criteri ed in relazione ai singoli motivi (cfr.

Cass. n. 18363 del 2015).

Ciò posto, il primo motivo è fondato.

Questa Corte di legittimità ha da tempo posto il principio secondo cui i verbali redatti dagli ispettori del lavoro o dai funzionari degli enti previdenziali (al pari di quelli redatti dagli altri pubblici ufficiali) fanno piena prova, fino a querela di falso, unicamente dei fatti attestati nel verbale di accertamento come avvenuti alla presenza del pubblico ufficiale o da lui compiuti, mentre la fede privilegiata non si estende alla verità sostanziale delle dichiarazioni rese da terzi al pubblico ufficiale, le quali, pur potendo essere valutate ai fini del raggiungimento della prova, non possono mai assurgere al valore di vero e proprio accertamento, addossando l’onere di fornire la prova contraria al soggetto sul quale esso non grava (cfr. Cass. n. 12108 del 2010): posto infatti che, per principio generale, le prove devono di norma raccogliersi nel processo nel contraddittorio delle parti e con le garanzie derivanti dalla responsabilità penale connessa alla falsa testimonianza, l’utilizzazione di fonti probatorie estranee al processo e con mero valore indiziario richiede che il giudice di merito dia adeguata ragione della non necessità di accertamenti ulteriori (arg. ex Cass. n. 11746 del 2007), i quali all’occorrenza possono e debbono disporsi eventualmente anche d’ufficio, in considerazione dell’ulteriore principio secondo cui, nel rito del lavoro e in particolare nella materia della previdenza e assistenza, caratterizzata dall’esigenza di contemperare il principio dispositivo con quello della ricerca della verità materiale, occorre che il giudice, allorchè le risultanze di causa offrono significativi dati di indagine, eserciti anche in grado di appello, ex art. 437 c.p.c., il potere-dovere di provvedere d’ufficio agli atti istruttori sollecitati dal materiale probatorio già acquisito e idonei a superare l’incertezza sui fatti costitutivi dei diritti in contestazione (cfr. Cass. n. 2379 del 2007).

Non essendosi la Corte di merito attenuta al superiore principio nel valutare la portata probatoria delle dichiarazioni dei lavoratori (le quali, peraltro, come correttamente denunciato da parte ricorrente, nemmeno risultano allegate al verbale, essendo semplicemente riportate per riassunto nel corpo di esso), la sentenza impugnata, assorbiti gli ulteriori motivi di censura, va cassata e la causa rinviata per nuovo esame alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo, assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 7 luglio 2016

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