Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13877 del 01/06/2017


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Cassazione civile, sez. I, 01/06/2017, (ud. 27/03/2017, dep.01/06/2017),  n. 13877

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. GENOVESE Francesco A. – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Fabrizio – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26929/2014 proposto da:

R.V., elettivamente domiciliato in Roma, piazza Di Pietra

n.26, presso l’avvocato Jouvenal Daniela, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato Podda Oscar, giusta procura in calce

al ricorso;

– ricorrente –

contro

T.R., elettivamente domiciliata in Roma, via Nizza n.59,

presso l’avvocato Giannini Patrizia, che la rappresenta e difende

unitamente agli avvocati Longo Marco, Parma Paola, giusta procura in

calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

F.F.A., Tacara S.r.l.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1198/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 26/03/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/03/2017 dal cons. ALDO ANGELO DOLMETTA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

AUGUSTINIS Umberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato D. Jouvenal che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato P. Giannini che ha chiesto

il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

R.V. ricorre per cassazione nei confronti di T.R. e nei confronti di F.F.A., articolando due motivi avverso la sentenza della Corte di Appello di Milano, 26 marzo 2014, n. 1198, che ha integralmente confermato la decisione emessa nel primo grado di giudizio dal Tribunale di Milano, 1 ottobre 2012, n. 10501.

Con tale pronuncia la Corte territoriale ha confermato, in particolare, l’accoglimento della domanda presentata da T.R. contro R.V. e contro F.F.A. per l’accertamento, con conseguenti condanne risarcitorie, dell’inadempimento degli stessi agli obblighi derivanti da un contratto parasociale stretto inter partes, come relativo alla società a responsabilità limitata Tacara (di cui i contraenti tutti erano soci) e come specificamente funzionale alla nomina dell’amministratore di tale società.

Nei confronti di tale ricorso resiste T.R. con apposito controricorso. Non ha invece svolto attività nel presente grado F.F.A., a cui pure era stato notificato il ricorso.

Il ricorrente R. ha anche depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- I motivi di ricorso formulati da R.V. denunziano i vizi qui in appresso richiamati.

Il primo motivo in via segnata lamenta “violazione e falsa applicazione dell’art. 1351 c.c. in relazione all’art. 2480 c.c.: impegno a modificare lo statuto di s.r.l. – forma pubblica necessità”.

Il secondo motivo, che risulta articolato in due distinti segmenti, a sua volta dichiara “violazione e falsa applicazione dell’art. 1218 c.c. e dell’art. 2475 c.c.: nomina di amministratore non socio difetto di deroga statutaria all’art. 2475 c.c. – invalidità della delibera – impossibilità della prestazione”; “(segue): l’art. 2479-ter c.c., comma 3, – nomina di amministratore privo della qualifica richiesta dalla legge – nullità”.

2.- Il primo motivo di ricorso viene, nello specifico, a comporsi dei passaggi qui si seguito testualmente riportati.

“La decisione della Corte, come quella del Tribunale che l’ha preceduta, si regge sull’esistenza di un “implicito impegno” dei sottoscrittori dei patti parasociali a modificare lo statuto della Società per consentire la nomina di un amministratore (unico) non socio”.

“L’art. 1351 c.c. prevede che il contratto preliminare – ossia l’impegno alla stipula di un successivo negozio giuridico – debba rivestire la medesima forma del definitivo”. “Nella fattispecie, la modifica statutaria (ossia il negozio definitivo) richiedeva la forma notarile (art. 2480 c.c.)”. “Pertanto non poteva esistere alcun valido impegno a stipulare tale modifica ove non fosse formalizzato nello stesso modo”.

Nella specie, peraltro, “non solo il patto parasociale fu stipulato per mera scrittura privata, ma addirittura l’impegno a modificare lo statuto – nel senso di consentire la nomina ad amministratore di persone estranee alla compagine sociale – sarebbe stato secondo la sentenza impugnata “implicito””.

3.- Il motivo è infondato.

Come si è appena riferito, il ricorrente qualifica il contratto parasociale, che è intercorso tra R.V., T.R. e F.F.A. nei termini di contratto preliminare. Lo stesso non indica, tuttavia, le ragioni che deporrebbero a suffragio di questa qualificazione. Nè il tenore del patto in questione risulta esprimere, in via diretta o anche solo indiretta, una simile qualificazione.

D’altra parte, nella tesi del ricorrente l’assunto del preliminare è funzionale alla pretesa di una necessaria forma pubblica del detto patto parasociale: dato che il definitivo, conseguente al preliminare, viene individuato in una “modifica statutaria”. Il ricorrente neppure indica, però, le ragioni per cui la modifica dello statuto – ovvero la delibera assembleare che questa delibera – andrebbero qualificate in simili termini. Indicazione che, per contro, sarebbe senza dubbio necessaria: anche perchè è principio comunemente ricevuto che i patti parasociali debbono essere tenuti distinti dagli atti di estrinsecazione e realizzazione dell’organizzazione societaria, quali appunto quelli di modificazione del contratto sociale, giacchè i patti parasociali propriamente attengono non al piano organizzativo dell’ordinamento sociale, bensì a quello dei rapporti interindividuali tra titolari di partecipazioni societarie.

Posti questi rilievi, il richiamo, che il ricorso rivolge alla norma dell’art. 1351 c.c. in punto di forma del preliminare, si manifesta non pertinente.

4.- Il secondo motivo di ricorso si incentra sulla rilevazione che – nel momento in cui avrebbe dovuto avere esecuzione il patto parasociale (e cioè nel momento della nomina assembleare del nuovo amministratore) – la prestazione posta dallo stesso a carico dei contraenti parasoci (“qualora il suddetto rag…. non volesse/potesse mantenere il suddetto incarico, le parti provvederanno alla sua sostituzione con altra persona, di idonea capacità e probità, scelta in ogni caso all’unanimità”) non era in realtà esigibile.

Rileva in particolare il ricorrente che, in quel momento, “la legge non consentiva la nomina di non-soci, salva diversa disposizione dell’atto costitutivo” (disposizione per l’appunto non presente, in quel dato momento, nello statuto).

“Se la designazione di un a.u. “terzo” non era giuridicamente lecita, l’obbligo corrispondente costituiva ex se prestazione non possibile ex art. 1218 cod. civ. – e quindi non poteva esservi inadempimento”; d’altra parte, prosegue ancora il ricorso, “la nomina di una persona carente dei requisiti di legge – nella fattispecie, della qualità di socio – non sarebbe stata meramente annullabile, come sostenuto dalla Corte, ma nulla”.

5.- Anche questo motivo è infondato.

La Corte di Appello di Milano ha fondato la propria decisione sulla rilevazione che nella fattispecie concreta, e dati gli specifici contorni della medesima, il patto stretto tra R., T. e F.F., quali parasoci della Tacara s.r.l., “prevedesse l’implicito impegno dei soci a modificare lo statuto nella parte in cui non prevedeva la possibilità di nomina di non socio come amministratore”. Con la conseguenza che la violazione di quest’obbligo, come in concreto strumentale all’effettivo conseguimento di una nomina unanime di un amministratore unico, integrava già di per sè stesso inadempimento al patto parasociale.

Ora, sia la ritenuta impossibilità della prestazione dei parasoci, sia la asserita nullità della delibera assembleare, che il ricorrente pure legge come fatto liberatorio dagli obblighi posti dal patto parasociale, sono affermazioni la cui tenuta comunque suppone (al di là di ogni rilevo sul loro merito specifico) il “superamento” della riportata rilevazione della Corte territoriale.

Sennonchè, questa lettura del patto, che è stata fatta dalla Corte territoriale, non risulta sia sta fatta oggetto di impugnativa da parte del ricorrente. La stessa, d’altra parte, si manifesta del tutto ragionevole e, anzi, propriamente sollecitata dai tratti caratteristici della fattispecie concretamente esaminata.

6.- In conclusione, il ricorso va rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo alla stregua dei parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014, seguono la soccombenza.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna R.V. al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 7.200,00 (di cui Euro 200 per esborsi), oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della prima sezione civile, il 27 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 1 giugno 2017

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