Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13876 del 01/06/2017

Cassazione civile, sez. I, 01/06/2017, (ud. 27/03/2017, dep.01/06/2017),  n. 13876

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. GENOVESE Francesco A. – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25648/2014 proposto da:

M.S., elettivamente domiciliato in Roma, Via Donatello

n.23, presso l’avvocato Villa Piergiorgio, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato Sperandei Cinzia, giusta procura a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Fallimento (OMISSIS) S.r.l., in persona del Curatore dott.

P.L., elettivamente domiciliato in Roma, Via G.B. Morgagni n.2/a,

presso l’avvocato Segarelli Umberto, rappresentato e difeso

dall’avvocato Zingarelli Luigi, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 10/2014 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 09/01/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/03/2017 dal cons. FALABELLA MASSIMO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale DE

AUGUSTINIS Umberto, che ha concluso per l’inammissibilità, in

subordine rigetto del ricorso;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato C. Sperandei che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – In data 26 ottobre 2010 il Tribunale di Perugia accoglieva la domanda proposta dal Fallimento (OMISSIS) s.r.l. nei confronti di M.S., ex amministratore della società fallita, con cui era prospettata la violazione dei doveri incombenti, nella predetta qualità, al convenuto: le inadempienze denunciate – dispersione dei beni costituenti l’attivo patrimoniale, sottrazione di merci, soppressione della contabilità – avevano infatti provocato, secondo l’attore, il fallimento della società. Il Tribunale aveva quindi accolto la domanda risarcitoria liquidando il danno nella differenza riscontrata tra l’attivo e il passivo fallimentare della società, e cioè nella misura di Euro 499.503,99.

2. – La sentenza era impugnata sia da M. che dal Fallimento.

La Corte di appello di Perugia, con pronuncia pubblicata il 9 gennaio 2014, respingeva sia il gravame principale che quello incidentale.

3. – Ricorre ora per cassazione M.S., il quale articola la propria impugnazione in sei motivi. Resiste con controricorso il Fallimento (OMISSIS). Sono state depositate le memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo è invocato l’art. 360 c.p.c., n. 4, ed è lamentata la violazione o falsa applicazione dell’art. 355 c.p.c.. Assume il ricorrente di aver proposto, nel corso del giudizio di appello, querela di falso con riferimento ad alcuni documenti acquisiti in prime cure: la relazione L. Fall., ex art. 33, del curatore, una perizia di stima e una consulenza tecnica d’ufficio. In tali documenti si individuava il numero dei beni inventariati in soli 629 pezzi (632 dell’elaborato del c.t.u.). Con la querela di falso l’odierno ricorrente aveva evidenziato che da una lettura dell’inventario fallimentare emergeva che molti beni erano stati raggruppati in lotti e che il numero complessivo di tali beni era pari a 5.363. Si duole il ricorrente che la Corte di merito avesse dapprima ritenuto che i documenti impugnati per falso non fossero decisivi ai fini della pronuncia e poi fondato la propria decisione proprio su quelle risultanze.

1.1. – Il motivo va disatteso.

Il ricorrente censura la decisione della Corte di appello con riguardo al merito delle valutazioni da essa compiute in ordine al rilievo probatorio che i documenti contestati potevano assumere ai fini della definizione del giudizio. In passato questa Corte ha ritenuto che il giudizio preliminare di rilevanza del documento inteso a stabilire se la contestazione di autenticità e veridicità si presenti influente ai fini della decisione della controversia nella quale la querela di falso è stata incidentalmente proposta è demandato al giudice del merito e, se congruamente e correttamente motivato, risulta insindacabile in sede di legittimità (per tutte: Cass. 20 agosto 1980, n. 4951; Cass. 7 luglio 1971, n. 2130). Tale principio non contraddice il fondamentale insegnamento delle Sezioni Unite, secondo cui ove, col ricorso per cassazione, venga denunciato un vizio che comporti la nullità del procedimento o della sentenza impugnata, sostanziandosi nel compimento di un’attività deviante rispetto ad un modello legale rigorosamente prescritto dal legislatore, il giudice di legittimità non deve limitare la propria cognizione all’esame della sufficienza e logicità della motivazione con cui il giudice di merito ha vagliato la questione, ma è investito del potere di esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, purchè la censura sia stata proposta dal ricorrente in conformità alle regole fissate al riguardo dal codice di rito (Cass. Sez. U. 22 maggio 2012, n. 8077). Infatti, le stesse Sezioni Unite hanno precisato che nelle valutazioni che il giudice è chiamato a compiere in ordine alla rilevanza dei mezzi di prova è implicata una valutazione complessiva dei dati già acquisiti in causa e, in definitiva, della sostanza stessa della lite: il che spiega perchè siffatte scelte siano riservate in via esclusiva al giudice di merito e perchè, quindi, pur traducendosi anch’esse in un’attività processuale, le predette valutazioni siano suscettibili di essere portate all’attenzione della Corte di cassazione solo per eventuali vizi della motivazione che le ha giustificate, senza che a detta Corte sia consentito sostituirsi al giudice di merito nel compierle. Ciò implica che, nella vigenza dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nella versione modificata dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012, rilevi il difetto assoluto di motivazione o il mancato esame di un fatto decisivo (che può essere anche un fatto secondario, e quindi dedotto in esclusiva funzione probatoria) che sia stato oggetto di discussione tra le parti.

Tanto chiarito sui contorni dello scrutinio richiesto, va detto che la censura risulta carente di specificità, dal momento che l’istante non riproduce la motivazione posta a fondamento del provvedimento istruttorio (poi recepito nella sentenza impugnata), non trascrive i brani degli atti cui si era rivolta la querela, nè riporta il contenuto di quest’ultima.

Va osservato, al riguardo, che l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un error in procedendo, presuppone che la parte, nel rispetto del principio di autosufficienza, riporti, nel ricorso stesso, gli elementi ed i riferimenti atti ad individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il vizio processuale, onde consentire alla Corte di effettuare, senza compiere generali verifiche degli atti, il controllo del corretto svolgersi dell’iter processuale (Cass. 30 settembre 2015, n. 19410; cfr. pure Cass. 10 novembre 2011, n. 23420).

2. – Il secondo motivo censura la sentenza impugnata per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, nonchè per “motivazione apodittica”. Ricorda il ricorrente che con il proprio atto d’appello aveva impugnato la sentenza di primo grado nella parte in cui non aveva tenuto conto che egli era stato amministratore della società fallita solamente dal 4 giugno 2001, mentre nel periodo precedente la carica di amministratore era stata ricoperta dalla sorella Patrizia. La Corte territoriale aveva invece affermato – immotivatamente, e negando valore probatorio a una circostanza pacifica in causa – che M. era stato “amministratore in via congiunta della società fino al 4 giugno 2001 unitamente alla sorella Patrizia e comunque amministratore di fatto della società anche nel periodo precedente”. In tal modo erano state imputate al ricorrente condotte da riferirsi ad altro soggetto.

2.1. – Il motivo non ha fondamento.

In appello l’odierno ricorrente aveva censurato la sentenza del Tribunale avendo riguardo proprio al fatto che egli era stato amministratore di (OMISSIS) solo dal 4 giugno 2001 (cfr. ricorso, pag. 23): tale era, dunque, la questione di cui era investito il giudice del gravame; risulta pertanto non pertinente quando evidenziato dall’istante con riferimento al thema decidendum, asseritamente diverso, che sarebbe stato desumibile dalla citazione in primo grado.

La Corte territoriale ha poi preso in esame la questione oggetto del motivo e, sulla base di un apprezzamento di fatto, insuscettibile di sindacato nella presente sede, ha ritenuto che M. avesse svolto le funzioni di amministratore della società da prima del 4 giugno 2001. Nè, sul punto, può farsi questione di una inadeguatezza della motivazione spesa dalla Corte distrettuale, giacchè nella nuova formulazione del cit. n. 5, risultante dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012, è mancante ogni riferimento letterale alla “motivazione” della sentenza impugnata, con la conseguenza che è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8054). La pronuncia della Corte di merito, con riferimento alla questione investita dalla censura, non presenta alcuna delle suddette, radicali carenze motivazionali.

3. – Con il terzo motivo è sempre denunciato omesso esame cerca un fatto decisivo del giudizio che ha formato oggetto di discussione tra le parti. L’istante si duole, in sintesi, del fatto che la Corte di merito avesse ritenuto accertata, a suo carico, una condotta distrattiva senza esaminare precisi elementi probatori, e cioè, in particolare: la consulenza tecnica d’ufficio “depositata in sede di ammissione al concordato preventivo da parte di M.S. e allegata alla c.t.p. depositata unitamente alla comparsa di costituzione in primo grado”; le consulenze tecniche di parte prodotte dallo stesso odierno istante; la relazione L. Fall., ex art. 33, del curatore fallimentare; il verbale di inventario del 28 novembre 2005, prodotto in primo grado; la sentenza penale di assoluzione dello stesso M. (vertente sui medesimi fatti di distrazione, oltre che sull’omessa tenuta di scritture contabili, sull’effettuazione di indebiti pagamenti in favore dei creditori e sul reato di falso in bilancio); la consulenza tecnica d’ufficio disposta dal Tribunale. Da tali documenti risulterebbe, infatti: che il valore delle giacenze indicate al momento della domanda di concordato dovesse essere devalutato; che alcuni beni sociali erano stati distrutti o deteriorati dai terzi proprietari dei locali in cui essi erano custoditi; che i beni inventariati non erano raffrontabili con quelli elencati con la domanda di concordato, poichè nella stima degli uni e degli altri erano stati adottati criteri diversi di stima; che la sentenza penale di assoluzione aveva escluso il compimento, da parte di M., di condotte distrattive e fraudolente.

3.1 – Il quarto mezzo contiene una ulteriore censura di omesso esame cerca un fatto decisivo del giudizio oggetto di discussione tra le parti. Il motivo si dirige, anche in questo caso, al mancato apprezzamento, da parte del giudice del gravame, di specifici elementi probatori: la consulenza contabile redatta in sede di concordato preventivo, la sentenza penale di assoluzione, la consulenza tecnica d’ufficio disposta in primo grado, con la relazione integrativa. Sostiene il ricorrente che l’esame di tali risultanze processuali avrebbe condotto a ritenere non sussistenti le gravi irregolarità contabili lamentate dalla controparte. Di contro, la Corte di appello aveva fondato il proprio convincimento sulle congetture elaborate dal consulente tecnico d’ufficio, giungendo così a formulare illegittime presunzioni. Una specifica censura è poi prospettata con riguardo alla sopravvalutazione delle rimanenze, per come ricavata dalla consulenza tecnica d’ufficio e da un verbale dell’Agenzia delle entrate: assume il ricorrente che la detta sopravvalutazione era stata ritenuta sulla scorta di elementi dubbi e apprezzati in modo improprio.

3.2. – Con il quinto motivo la doglianza, pure vertente sull’omesso esame cerca un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, è indirizzata alla liquidazione del danno, che la Corte di appello aveva determinato equitativamente nella differenza tra l’attivo e il passivo fallimentare. Premesso che spettava al curatore dar prova del nesso causale tra le violazioni dei doveri dell’amministratore e il pregiudizio patrimoniale che ne era derivato, il ricorrente deduce che la Corte territoriale aveva omesso di considerare numerosi elementi probatori e richiama, anche a questo proposito, la consulenza tecnica d’ufficio disposta in primo grado, quella contabile prodotta al momento della costituzione avanti al Tribunale e la sentenza penale di assoluzione. Tali elementi di prova avrebbero infatti consentito di accertare che le irregolarità riscontrate non impedivano al curatore fallimentare di fornire la prova dell’esistenza del nesso di causalità. Assume inoltre il ricorrente che il danno avrebbe comunque dovuto determinarsi “sulla base della comparazione dei netti patrimoniali individuati nei diversi momenti dell’evoluzione dell’attività sociale vietata”, avendo riguardo alla disciplina di cui all’art. 2447 c.c..

3.3. – I tre motivi, che possono esaminarsi congiuntamente, sono infondati.

Essi denunciano il mancato apprezzamento di elementi di prova, e non l’omesso esame di un “fatto decisivo per il giudizio”, come invece prevede l’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo vigente. Va evidenziato che ai fini di quest’ultima fattispecie, il ricorrente per cassazione, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8054). E’ esclusa, del resto, la sindacabilità in sede di legittimità della correttezza logica della motivazione di idoneità probatoria,di una determinata risultanza processuale, non avendo più autonoma rilevanza il vizio di contraddittorietà della motivazione (Cass. 16 luglio 2014, n. 16300); più in generale, è a dirsi che il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito è estraneo alla previsione del nominato art. 360, n. 5 (Cass. 10 giugno 2016, n. 11892).

Per quel che concerne, nello specifico, il quinto motivo, è poi da osservare che anch’esso, al pari di quelli che lo precedono, ha ad oggetto l’omesso esame di un fatto decisivo (e non, quindi, la violazione o falsa applicazione delle norme giuridiche che presiedono alla liquidazione del danno). La censura secondo cui il danno avrebbe dovuto essere accertato ponendo a raffronto il patrimonio netto della società nelle diverse fasi della sua vita risulta essere generica non precisando il ricorrente a quali precisi momenti faccia riferimento, e quali siano, in conseguenza, i fatti specifici di cui è lamentato il mancato apprezzamento; peraltro, la censura è pure carente di autosufficienza, dovendosi rammentare che ove il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass. 18 ottobre 2013, n. 23675; cfr. pure: Cass. 28 luglio 2008, n. 20518; Cass. 26 febbraio 2007, n. 4391; Cass. 12 luglio 2006, n. 14599; Cass. 2 febbraio 2006, n. 2270).

4. – Il sesto mezzo, infine, denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 2447 c.c.. Viene esposto che la sentenza impugnata aveva posto a carico di M. gli obblighi, lo alternativi, di procedere all’aumento del capitale sociale e di mettere in liquidazione la società. Di contro, le determinazioni circa la ricostituzione del capitale sociale e la messa in liquidazione la società spettava unicamente all’assemblea, non all’amministratore. Inoltre, non erano stati forniti riscontri per affermare che M. avesse mancato di adempiere all’obbligo di convocare senza indugio l’assemblea dei soci, vista la susseguente domanda di concordato preventivo.

4.1. – Il motivo non ha fondamento.

E’ evidente che la Corte di appello, allorquando ha posto in risalto le necessità, tra loro alternative, di ricostituire il capitale sociale e di porre in liquidazione la società, abbia fatto riferimento al potere di iniziativa riservato all’amministratore quanto alla convocazione dell’assemblea incaricata di deliberare sui temi indicati. E’, poi, oggetto di una questione di fatto, sottratta al sindacato della Corte, l’accertamento circa l’inerzia di M. nel procedere alla predetta convocazione dell’assemblea dei soci.

5. – In conclusione, il ricorso deve essere respinto.

6. – Le spese del giudizio di legittimità possono essere compensate, in considerazione della materia trattata. L’ammissione del ricorrente al gratuito patrocinio determina l’insussistenza dei presupposti per il versamento dell’importo dovuto a titolo di contributo previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, stante la prenotazione a debito in ragione dell’ammissione al predetto beneficio (Cass. 22 marzo 2017, n. 7368).

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso; compensa le spese di giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Prima Civile, il 27 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 1 giugno 2017

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